AL DOPPIO TEATRO DI ROMA
"AFFETTI STRETTI"
Domenica 29 Maggio, ore 18,00 e 21,00.
“Ciò che trattiene dall’essere
presente, non è altro che la speranza nel futuro; la speranza in qualcosa che deve
accadere tiene in vita una certa fantasia sul futuro, questa speranza
è un miraggio; nessuno ci arriva e questa speranza ci trattiene dal
vedere l’evidenza, la preziosità dell’essere. È una grande
distorsione, una grande incomprensione di ciò che può dare
soddisfazione. Quando insegui un miraggio o l’amore, stai
rifiutando te stesso.”
A. H. Almaas
Tre donne, tre caratteri diversi, tre
storie di mancanze affettive. E un uomo assente, sbagliato,
ingombrante, lontano. Un uomo verme che si nutre del corpo di lei,
della vita di lei ma soprattutto dell’amore di lei. Perché
l’affetto tiene in vita il legame e quando questo è a senso unico
si tira sempre più il filo e il nodo si stringe, finché non ci
soffoca.
Tre donne che amano.
Spesso l’innamoramento può
somigliare ad una forma estrema di dipendenza affettiva. In esso infatti ritroviamo tutti i
sintomi della dipendenza: l’idealizzazione, il desiderio di stare
continuamente con la persona amata, l’ansia di separazione,
l’ossessione per l’altro, le manifestazioni somatiche come
batticuore, rossore, eccitazione.
Ci sono persone che sono riuscite a
sperimentare una qualità profonda di amore e che sentono il
desiderio interiore di condividere la loro pienezza con l’altra
persona.
Poi ci sono le personalità dipendenti,
queste, mancano di fiducia, di forza, di autostima e sono alla
continua ricerca di compensazioni esterne.
Quando si perde di vista il proprio
valore o non si riesce a riconoscerlo si crea un senso di mancanza e
di incompiutezza. Si finisce per disconoscere le proprie qualità più
intime restando come stranieri a se stessi.
Tre monologhi appassionati di donne
sole, donne fragili ma pronte a tutte pur di seguire il proprio
cuore. I testi, scritti dalle attrice performers, alternano momenti
brillanti e drammatici in un susseguirsi di situazioni toccanti e
alle volte persino esilaranti che portano lo spettatore alla
riflessione.
Queste eroine moderne fanno rivivere le
storie e i conflitti che si ripetono nei secoli perché appartengono
ai meccanismi che regolano da sempre i rapporti affettivi. Così lo
spettatore si troverà di fronte a personaggi a lui familiari ma al
contempo completamente stravolti, per questo Arianna è una
rockettara un po' alcolizzata, Eva un’insoddisfatta casalinga alla
ricerca di nuovi giochi erotici e Penelope una donna asociale chiusa
in casa a guardare programmi di cartomanzia.
Arianna è una donna, forte,
emancipata, moderna. Ha amato follemente Teseo, senza esserne stata
in verità mai ricambiata. Ha scelto di tradire la famiglia, di
lasciare dietro di sé la patria, per salire su una nave ateniese
sperando di diventare, un giorno, regina di Atene. Una fanciulla
coraggiosa al punto da fuggire senza guardarsi più indietro,
seguendo il suo cuore, ma incapace di trattenere l’attimo e di
amare riamata. Abbandonata quindi senza rimedio dall’eroe incontra
Dioniso, un dio che si innamora perdutamente di lei, che la corteggia
e la chiede in moglie.
E qui comincia la storia della nostra
eroina nel momento in cui deve prendere la decisione più importante
della sua vita. Sposare un Dio che non ama dimostrando a sé stessa e
al mondo di non esser più legata all’uomo che l’ha ingannata?
Oppure rifiutare? Quel filo rosso, che lei ha donato a Teseo nel
momento stesso in cui ha scelto di amarlo, si potrà mai spezzare?
“I labirinti creati dal tempo
svaniscono. Rimane solo il deserto. Il cuore, fonte del desiderio,
svanisce. Rimane solo il deserto. L'illusione dell'aurora e i baci
svaniscono. Rimane solo il deserto; l'onduloso deserto.”
Federico Garcia Lorca
Eva è la prima donna sulla Terra,
costretta a stare tutto il tempo assieme ad un uomo, senza mai averne
visti altri. E tutto il tempo, nel Paradiso terrestre, equivale
all’eternità. La convivenza forzata provoca inevitabilmente
l’insofferenza nella donna, che aumenta ancora di più di fronte ad
un uomo pigro, inerme, che trascorre le sue giornate sul divano a
mangiare.
Per cercare di riaccendere la passione
nell’uomo, Eva ogni sera indossa i panni di una donna diversa,
inscenando per lui degli spettacoli privati tra le mura domestiche.
Ma Adamo non reagisce, l’accidia è più forte di qualsiasi
tentazione.
La donna, al contrario, ha bisogno di
stimoli sempre maggiori e non si accontenta di vivere nella comodità
senza mai farsi delle domande. E per cercare le risposte bisogna
mettere in dubbio il dogma, assaggiare la mela per capire cosa si
cela dietro la fede, per avvicinarsi alla conoscenza.
Ed è proprio il suo desiderio di
conoscere la causa dei suoi sensi di colpa per aver fatto rinunciare
ad entrambi a quello stato di benessere eterno a cui non si potrà
mai più fare ritorno. E il senso di colpa lega la donna al suo uomo,
lo stesso senso di colpa che immobilizza anche molte donne vittime di
abusi.
“Non conosco peccato che, per
un'anima nobile, non sia il suo castigo.”
Nicolás Gómez Dávila
Penelope è una donna che attende. Lei
ha visto suo marito partire per la guerra e la sua vita si è fermata
quel giorno. Passa le giornate ad aspettare che torni, a guardare il
mare e a canticchiare canzoni che parlano di amori lontani.
La madre non accetta di veder la figlia
appassire, sempre chiusa nelle sue stanze, e cerca in tutti i modi di
convincerla ad uscire per vedere altre persone, a rifarsi una nuova
vita, a sposare un altro uomo, così da riaprire il suo cuore ad un
nuovo amore.
Ma la donna non può far altro che
continuare ad amare il suo eroe lontano, il suo amato invisibile, il
suo uomo-monumento. Il paese, le dicerie, le amiche invidiose,
l’imbrogliona maga Circe circondano questa figura rendendola sempre
più fragile, sempre più sola.
Lei in cuor suo sa che tornerà, perché
lui gliel’ha promesso e quelle parole per lei diventano l’unica
legge da seguire. Attendere, aspettare lui, solo lui e nessun altro,
riconoscere in quest’amore una fede più grande dei voti nunziali,
più forte del tempo e resistente anche alla morte. E questo lascia
posto a molte domande. Dove finisce l’amore e dove inizia la
dipendenza? Si può amare un uomo che non c’è?
“io lo creo e lo ricreo continuamente
a cominciare dalla mia capacità di amare, a cominciare dal bisogno
che ho io di lui”
Donald Winnicott
Arianna, Eva, Penelope sentono una
mancanza, un vuoto tanto forte e persistente da togliere senso e
valore a sé stesse e alla vita.
Le loro ferite principali sono connesse
ad un senso di abbandono, di deprivazione, di vergogna e ad un
vissuto del loro passato che rimanda al non sentirsi meritevoli di
amore. Si sentono tradite e sentono dentro di sé un incolmabile
vuoto affettivo che tentano di riempire col bisogno dell’uomo,
dell’eroe, del Dio. Col bisogno dell’altro. E più intima è la
relazione con lui e più queste donne sentono di valere perché
l’altro le apprezza, affidano all’altro il potere di misurare il
loro valore, poiché fanno propria l’immagine che l’altro ha di
loro.
Ricercano spasmodicamente la condizione
della coppia per sentirsi “una cosa sola” perché l’uno
compensa le mancanze dell’altro, perché l’uomo impedisce loro di
diventar consapevoli delle proprie carenze.
Ma cosa accade quando la scelta del
partner ricade su uomini incapaci di creare dei legami, narcisisti e
anaffettivi?
La mancanza diventa una voragine e la
convinzione di non meritare l’altro, di non meritare il suo amore,
di non meritare di stare bene diventa sempre più forte.
Così per queste donne, come per tante,
se lui muore, o la relazione finisce, la perdita è sperimentata non
come perdita di una persona separata, ma come perdita di una parte di
noi stessi, e la sensazione di vuoto e di angoscia è insostenibile.
Chi resta, si sente come svuotato, amputato, e nuovamente privato di
valore, di sicurezza, di forza, di volontà.
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