"HUMAN PROSA E..."
DI E CON MARCO BALIANI E LELLA COSTA
CENTRO EVENTI MULTIFUNZIONALE
IL MAGGIORE
«D’armi io canto e dell’eroe che,
primo, dalle coste di Troia venne all’Italia, profugo per suo
destino». La prima ispirazione è stata l’Eneide, il poema di
Virgilio che celebra la nascita dell’impero romano da un popolo di
profughi: in una lectio magistralis tenuta nell'aula magna dell'Alma
Mater Studiorum di Bologna, Marco Baliani è partito dal mito per
interrogarsi e interrogarci sul senso profondo del migrare. Poi
l'incontro con Lella Costa e la reminescenza di un altro mito, ancora
più folgorante nella sua valenza simbolica e profetica: Ero e
Leandro, i due amanti che vivevano sulle rive opposte
dell’Ellesponto. Prende avvio così HUMAN, dal tema delle
migrazioni e dalla volontà di raccontarne l'odissea ribaltata.
Ma nel suo farsi vira, incalzato dagli
eventi: al centro si pone lo spaesamento comune, quell'andare incerto
di tutti quanti gli human beings in questo tempo fuori squadra.
HUMAN sarà in tournée sui
palcoscenici italiani nella stagione 2016/17 per arrivare, nella
stagione successiva, alle sedi istituzionali d'Italia e d'Europa in
forma di oratorio, nel tentativo di innescare un rito di
partecipazione sul significato profondo di UMANITA’. Le
testimonianze dirette, i brandelli di vita vissuta, le narrazioni
tramandate e quelle elaborate sui fatti contingenti; le riflessioni
degli autori, i loro ripensamenti, i contributi in video o scritti di
quanti accetteranno di esprimersi sull’argomento contribuendo ad
arricchirlo di sfumature, faranno parte del diario di viaggio dello
spettacolo che sarà possibile seguire on line giorno dopo giorno sul
sito: www.progettohuman.eu.
HUMAN
Il titolo lo abbiamo trovato, la parola
HUMAN sbarrata da una linea nera che l’attraversa, come a
significare la presenza dell’umano e al tempo stesso la sua
possibile negazione.
Umano è il corpo nella sua integrità
fisica e psichica, nella sua individualità.
Quando questa integrità viene
soppressa, o annullata con la violenza, si precipita nel disumano.
Umani sono i sentimenti, le emozioni,
le idee, le relazioni, i diritti.
Li abbiamo sognati eterni e universali:
dobbiamo prendere atto - con dolore, con smarrimento - che non lo
sono.
La storia del nostro novecento e ancora
le vicende di questo primo millennio ci dicono che le intolleranze e
le persecuzioni, individuali o di massa, nei confronti degli inermi e
degli innocenti, continuano a perpetrarsi senza sosta.
Con la nostra ricerca teatrale vorremmo
insinuarci in quella soglia in cui l’essere umano perde la sua
connotazione universale, utilizzare le forme teatrali per indagare
quanto sta accadendo in questi ultimi anni, sotto i nostri occhi,
nella nostra Europa, intesa non solo come entità geografica, ma come
sistema "occidentale" di valori e di idee: i muri che si
alzano, i fondamentalismi che avanzano, gli attentati che sconvolgono
le città, i profughi che cercano rifugio.
Ma se ci fermassimo qui sarebbe un
altro esempio di cosiddetto teatro civile, e questo non ci basta: non
vogliamo che lo spettatore se ne vada solo più consapevole e
virtuosamente indignato o commosso.
Vogliamo spiazzarlo, inquietarlo,
turbarlo, assediarlo di domande.
E insieme incantarlo e divertirlo, ché
è il nostro mestiere.
E per riuscirci andremo a indagare
teatralmente proprio quel segno di annullamento, quella linea che
sancisce e recide: esplorare (e forse espugnare?) la soglia fatidica
che separa l’umano dal disumano, confrontarci con le parole,
svelare contraddizioni, luoghi comuni, impasse, scoperchiare
conflitti, contraddizioni, ipocrisie, paure indicibili.
Vorremo costruire un teatro
spietatamente capace di andare a mettere il dito nella piaga, dove
non si dovrebbe, dove sarebbe meglio lasciar correre. E andare a
toccare i nervi scoperti della nostra cultura riguardo alla dicotomia
umano/disumano.
Senza rinunciare all’ironia, e
perfino all’umorismo: perché forse solo il teatro sa toccare nodi
conflittuali terribili con la leggerezza del sorriso, la visionarietà
delle immagini, la forza della poesia.
Marco Baliani e Lella Costa
Appunti di regia
L’incontro con l’Altro ha a che
fare con lo sguardo, è soltanto guardando l’altrui esistenza che
misuro la mia. La qualità di questo sguardo non è sempre identica
e, a seconda di come si guarda, con che intensità, profondità,
indifferenza, empatia, rifiuto, si possono generare dialoghi e
confronti oppure scontri e conflitti.
Lo spettacolo Human è costruito sul
tema dello sguardo verso l’Altro. Quando, con Lella Costa, abbiamo
cominciato a pensare a uno spettacolo che parlasse di questo incontro
con la Diversità, con le tante anime racchiuse dentro la definizione
di Profugo, da subito ci siamo detti che occorreva evitare ogni
retorica e ogni enfasi, e che l’impresa non era affatto semplice.
Bisognava mettere al centro il nostro
stesso sguardo, non avere paura di essere sprovvisti di solide
risposte, dovevamo provare a declinare, di quell’incontro con
l’Altro, ciò che più metteva in crisi le nostre sicurezze, le
nostre sedimentate convenzioni, fino a rivelare la nostra fragilità
e il nostro smarrimento. Non è uno spettacolo che denuncia, fa
indignare, informa, spiega, prende posizione, lancia messaggi o
appelli. No, è piuttosto un teatro che inquieta, che pone domande e
non conosce risposte, che lascia disorientati. Non è composto da una
trama o da uno sviluppo drammatico circoscritto. Al contrario, è
multiforme, costruito da tanti quadri a sé stanti che aprono e
chiudono una situazione, senza rimandi a quella successiva se non per
analogie, o per trascinamento, per esempio attraverso un dattero
lanciato dal ponte di una nave di crociera e raccolto da una donna in
fuga.
Lo spettacolo è declinato dalla
presenza di un’umanità profuga e dall’ineludibile confronto che
questa presenza genera in questa parte di mondo che chiamiamo
Occidente. Ma di volta in volta questo confronto genera risposte
diversificate, che necessitano di diversi linguaggi, di differenti
registri linguistici, di inaspettati punti di vista fuori dal coro.
Ci sono dialoghi a più voci, a volte serrati, a volte distesi, ci
sono monologhi e ci sono narrazioni, c’è un canto epico, ci sono
immagini di corpi impauriti, c’è un frammento di operetta buffa,
ci sono inserti di acido cabaret, c’è una poesia, un canto, una
musica.
È uno spettacolo che ci interroga su
quella parola troppo abusata, Umanità, e interroga prima di tutto il
gruppo degli attori e attrici, il nostro stare in scena dentro quella
parola, con una adesione materica, corporea, al susseguirsi dei cambi
di personaggi e situazioni. E materici sono anche la scena e i
costumi ideati da Antonio Marras, un agglomerarsi di vestimenti
dismessi, sperduti, come dilavati dalla salsedine di un mare sempre
presente, ma anche dilavati dal tempo, consumati da un vivere in
corsa, da un esistere in perenne fuga.
Le luci di Loïc François Hamelin sono
un altro tassello della drammaturgia, un altro composto linguistico
che svela e apre una babele di spazi uno all’altro compenetrati,
moltiplicantesi, pur nella ridotta realtà di un palco teatrale. Le
musiche composte da Paolo Fresu tracciano un filo rosso per l’intero
spettacolo, guidano la successione delle scene, tessono gli
interstizi dell’intero arazzo, aprono a improvvise visioni.
Gianluca Petrella a volte lo asseconda col suo trombone, a volte crea
una partitura sonora, anch’essa fortemente materica, di voci,
acqua, colpi, echi di vita vissuta.
C’è infine un’altra possibilità
di incontrare l’Altro, erigere muri, quello che sta accadendo in
questa Europa impaurita. In questo caso lo sguardo si richiude in sé
stesso, si fa buio.
Ma in teatro questo non può mai
avvenire. È la sua fortuna e il suo destino, essere sempre di
fronte, faccia a faccia. Rischiare sempre lo sguardo altrui. Il buio
in teatro è solo un modo per riposare gli sguardi e attendere, se
meritato, l’applauso.
Marco Baliani
Con la collaborazione drammaturgica di
Ilenia Carrone
e con David Marzi, Noemi Medas, Elisa
Pistis, Luigi Pusceddu
Musiche Originali di Paolo Fresu
realizzate da Paolo Fresu e Gianluca
Petrella
Scene e Costumi di Antonio Marras
scenografo associato Marco Velli
costumista associato Gianluca Sbicca
disegno luci Loïc François Hamelin
Regia di Marco Baliani
Una co-Produzione Sardegna Teatro,
Mismaonda, Marche Teatro
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