AL TEATRO RIDOTTO DI BOLOGNA
"TUTTO QUELLO CHE SO DEL GRANO"
DI PAOLA BERSELLI E STEFANO PASQUINI
Arriva al Teatro Ridotto di Bologna
giovedì 20 aprile (ore 21) il Teatro delle Ariette con “Tutto
quello che so del grano” ultima creazione di Paola Berselli e
Stefano Pasquini, anche in scena insieme a Maurizio Ferraresi, regia
di Stefano Pasquini.
Una focaccia, una lettera, un uomo e
una donna, che vivono insieme da più di trent’anni, coltivano la
terra, allevano animali e fanno teatro: questi i soggetti del nuovo
lavoro della Compagnia. Forse la sera prima hanno litigato. Per
questo l’uomo si sveglia presto e impasta una focaccia per lei, con
la farina del grano che hanno coltivato.
È da venticinque anni che
seminano il grano insieme, così lui decide, nelle pause, tra una
lievitazione e l’altra, di scriverle una lettera, una sorta di
testamento, per dirle tutto quello che sa del grano, tutto quello che
crede di avere imparato o pensa di avere capito. Scrive per lei,
perché è un’attrice, per regalarle un monologo così bello da
vincere tutti i premi e avere un grande successo, perché lei possa
leggere e dire le sue parole di fronte agli spettatori e lui possa,
nascosto tra loro, ascoltarle, pronunciate dalla sua voce, ogni sera,
per sempre.
L’intenso racconto del proprio
vissuto tra crisi e rinascite, del teatro che si radica alla terra e
alle sue leggi, diventa condivisione di un’idea di storia come
inizio, del cibo come relazione umana, esperienza dei riti della
civiltà contadina, che possono rivivere oggi nel rito del teatro e
dove il grano non è altro che simbolo della vita, del futuro e del
ritorno all’origine.
Un percorso di ricerca verso un teatro
umano e necessario, civile e poetico.
‹‹Tutto quello che so può essere
niente – scrive il Teatro delle Ariette quest’anno giunto al suo
ventennale di attività - E il grano? Alle soglie dei sessant’anni,
qualcosa devi pure avere imparato, qualcosa devi sapere, e questo
qualcosa non puoi tenerlo per te, perché fai teatro, perché sei
un’attrice “Tutto quello che so del grano” è una sorta di
pausa, una meditazione collettiva su quello che sappiamo di noi
stessi, dei nostri simili e della terra che abitiamo. Quel “sapere”
che cerchiamo, che vogliamo ascoltare e raccontare, non è solo un
sapere scientifico. Cerchiamo piuttosto di condividere un sapere
intuitivo e sentimentale, che appartiene al campo dell’esperienza
materiale: i ricordi, le emozioni, i sentimenti, la farina, l’acqua,
il pane e il vino››.
Agli spettatori è richiesto di portare
una focaccia, una pizza o un pezzo di pane.
Teatro delle Ariette
TUTTO QUELLO CHE SO DEL GRANO
di Paola Berselli e Stefano Pasquini
con Paola Berselli, Maurizio Ferraresi,
Stefano Pasquini
scenografia e costumi Teatro delle
Ariette
luci e audio Massimo Nardinocchi
video Stefano Massari
regia Stefano Pasquini
segreteria organizzativa Irene
Bartolini
comunicazione e ufficio stampa
Raffaella Ilari
→Link trailer
http://www.teatrodelleariette.it/spettacoli-grano-promo.html
→Link sito
http://www.teatrodelleariette.it/spettacoli-grano.html
TUTTO QUELLO CHE SO DEL GRANO
[…] Tutto quello che so del grano è
un antidoto alla fretta. Mentre lo spettacolo va in scena, mentre i
protagonisti mimano gesti lenti, fatti di storia e abitudine
trasmessa di generazione in generazione, cuoce nel forno la focaccia,
impastata sul grande tavolo al centro del palcoscenico. Una focaccia
fatta con il grano coltivato nei campi zappati da Stefano, raccolto e
portato al mulino per essere macinato. […] Il pane, il grano non
passano “di moda” (anche se per qualcuno non sono più
“interessanti” e possono essere soppiantati da altri più moderni
cereali), così come i sentimenti. Non esiste la ricetta per cucinare
la focaccia perfetta o il pane migliore, così come non esiste la
ricetta per mantenere viva e felice una relazione: bisogna prendersi
cura della persona con la quale si vive, bisogna mettere cura nella
preparazione. Attraverso la cucina può esprimersi questa cura, che
implica a volte anche la perdita di tempo, o meglio la
riappropriazione di momenti per volersi bene e voler bene.
Tutto quello che so del grano esprime
con forza un ritorno alla sincerità, ad una semplicità che non è
mai banale, ma essenziale, a valori che non sono universali, ma
estremamente personali e che, proprio per questo, richiedono tempo e
pensiero per essere individuati e coltivati. […] In poco meno di
un’ora e mezza Stefano, Paola e Maurizio Ferraresi (muto
accompagnatore di scena), raccontano tutto questo e nel pubblico
ciascuno evoca il suo racconto: la nostra casa d’infanzia, la
lettera a cui non abbiamo risposto o che non abbiamo spedito, il
sapore del pranzo della domenica a casa dei nonni, il tempo perso nel
migliore dei modi, rivendicandolo per noi e per la persona amata
soltanto. Nessuna “verità” viene rivelata e quando cala il
sipario si condivide un pezzo della focaccia cucinata in scena, il
pane, i dolci che gli spettatori sono stati invitati a portare per la
serata. Non si va subito a casa dopo l’applauso, si rompe la
finzione scenica e attori e pubblico si mescolano: non c’è
spazio per la fretta e ognuno può prendersi il suo tempo. Qualcuno
saluta ed esce, qualcuno si ferma a chiacchierare, qualcuno prende la
focaccia e si siede nuovamente per commentare quanto ha appena visto.
E nella sua semplicità il senso è forse proprio questo.
Caterina Bonetti,
www.glistatigenerali.com, 6 novembre 2016
[…] Ci sono ben più di vent’anni
in questa nuova creazione della compagnia emiliana, c’è una vita
intera, c’è un percorso che abbraccia le memorie di un’esistenza
in continuo dialogo tra poesia e trattori. Nutrimento primario di
questo viaggio è l’autobiografia, radice fruttuosa che plasma lo
spettacolo in una sorta di rito agreste. Abolita ogni separazione tra
scena e pubblico, il Teatro delle Ariette immerge lo spettatore in un
ambiente conviviale, cifra stilistica di tutta la loro ricerca, per
abbandonarsi in una appassionata saga familiare, che dai più lontani
ricordi d’infanzia fino al presente ripercorre tappe, difficoltà,
rimpianti e nostalgie di un magico connubio tra saperi antichi come
il teatro e il lavoro rurale. È il grano stesso, insieme alla
rugiada e alla nebbia, a scrivere la drammaturgia di uno spettacolo
che sembrerebbe quasi sussurrato attorno al tepore di un caminetto
accesso.
In un’epoca in cui anche solo il
concedersi una passeggiata in campagna appare a molti come un
privilegio, Pasquini e Berselli, insieme all’amico Maurizio
Ferraresi, ci insegnano che l’arte, il fare arte, è indissolubile
dall’esperienza materiale, che una staccionata da riparare o
l’aratro mentre dissoda la terra sono fonti preziose per una regia
teatrale, perché “si dice che il teatro non è la vita, ma
un’ora e mezza dello spettacolo è vita” […] La ricetta di
“Tutto quello che so del grano” si basa sostanzialmente sulla
narrazione più schietta e sincera, sulla sedimentazione organica di
un vissuto e la sua urgenza di essere rivelato, senza per questo
accantonare le istanze del presente. C’è tutta la grazia e la
seduzione dell’artigianato teatrale, uniti ai tempi e alle
dinamiche di una orchestrazione consapevole delle tendenze attuali: è
come ascoltare i racconti della nonna con il blues di Tom
Waits come accompagnamento, autore del resto amatissimo e
onnipresente nelle opere del duo bolognese. Paradossalmente, quello
delle Ariette è un teatro sperimentale, un teatro che fruga nel
contatto diretto col pubblico, condividendone umori e partecipazione;
dovendosi confrontare con un ambito teatrale che tende sempre più a
tenere alla larga lo spettatore, o semmai ad attrarlo con strategici
ammiccamenti, questo teatro estende invece la piena cittadinanza a
chi è oltre la quarta parete, usufruendo della condivisione per
inseminare senza pregiudizi i linguaggi creativi, che poi
restituiscono in scena.
Andrea Alfieri, www.klpteatro.it, 23
novembre 2016
[…] Ci sono, infatti, una
drammaturgia e una regia forti, che definiscono con precisione i
tempi delle azioni ma che nello stesso momento riescono ad abbattere
la quarta parete, co-involgendo in modo empatico i presenti. E’ qui
che davvero il teatro diventa uno dialogo in ascolto del mondo, dove
dialogo è da intendersi profondamente: mettere in comune il logos
che è tanto oltre che parola; è anche relazione, legame, studio,
causa, ragionamento, ragione. Stefano Pasquini e Paola
Berselli con il loro spettacolo dialogano, in questo senso,
profondamente. L’intenzione di con-dividere un pensiero su ciò che
sappiamo di noi, attraverso il passaggio inevitabile (come passare
del grano attraverso l’imbuto di un mulino instabile) sul passato,
si realizza pienamente. Rendono il triplice piano di lettura
accessibile anche ai non addetti ai lavori, grazie ad un linguaggio
semplice, ma non semplicistico, non basso. Così come non c’è
nulla di semplice nel fare una focaccia: in fondo, è vero, è solo
farina, acqua, sale, lievito e olio, ma se non si è bravi abbastanza
nell’impastare gli ingredienti, se non si ha la pazienza di
aspettare la lievitazione e se non si sa sentire il profumo che esce
dal forno che dice ‘è pronta’…la focaccia-spettacolo non sarà
buona come quello proposta dal Teatro delle Ariette […]
Sarebbe tutto molto più facile se chi scrive, chi sale sul palco e
chi è seduto di fronte ad esso si accontentassero di maschere ma
tradirebbe la sua funzione: far riflettere la società su se stessa.
C’è ancora chi ha intenzione di resistere, nonostante la fatica
(soprattutto economica) nel portare avanti i progetti, e c’è
ancora chi ha volontà di ritagliarsi uno spazio altro per riflettere
attraverso l’arte. Tutto ciò che so del grano rispetta in modo
professionale e profondamente umano le sue intenzioni più profonde.
E questo lo spettatore lo ha compreso: molti gli occhi lucidi alla
fine.
Serena Falconieri, www.rumorscena.com,
8 novembre 2016
[…] Quest’ultimo lavoro del Teatro
delle Ariette chiama in causa argomenti sostanziosi e li offre con
estrema semplicità. Si parla di amore, di cose felici e di
difficoltà, di tradizione ma anche di tendenze contemporanee (col
buffo dialogo al mulino dei due coniugi che parlano di
vegetarianesimo e di macinatura a pietra, dell’attitudine al
divorzio e della loro vita insieme), si parla di teatro, di vita e di
morte e lo si fa con la stessa genuinità di quando si racconta come
si fa il pane.
Francesca Di Fazio,
paneacquaculture.net, 11 novembre 2016
Forse davvero stare insieme è già di
per sé un’opera d’arte. Forse non è eccessivo pensare che
amarsi e, soprattutto, comprendersi è una impresa teatrale di grande
portata (senza velleità ironica). Viene da chiederselo, a più
riprese, guardando lo spettacolo “Tutto quello che so del grano”
di Paola Berselli e Stefano Pasquini, gli attori-contadini che,
insieme all’amico Maurizio Ferraresi, costituiscono il nucleo
artistico del Teatro delle Ariette, realtà teatrale hors-catégorie
sorta vent’anni fa nell'omonima azienda agricola Le Ariette, vicino
Bologna. Teatro e vita si mescolano, si fondono, s’impastano in un
amalgama che sa di sentimenti e valori autentici, di profumi, colori,
luci, sapori che esulano dal mero racconto autobiografico per
comporre, con grazia poetica, un quadro di ricordi da cui ognuno può
attingere qualcosa per sé, riconoscere una traccia, un volto, una
immagine del proprio vissuto. Sono pochi e semplici gli ingredienti
che servono per questa ricetta creativa. Ma, come spesso accade, è
proprio in questa semplicità, sempre più rara da trovare (anche a
teatro), che risiede la bontà, la bellezza, la riuscita […]
“Quello che so del grano è che questa focaccia l’ho fatta per
te” cita l’ultima battuta. Noi non possiamo che essere grati per
quanto ci viene offerto, per questo momento di teatro intimo,
prezioso e benefico, per le parole intrecciate con tanta cura e
delicatezza, come un ricamo antico, per averci coinvolti in quella
sorta di gioiosa danza cerimoniale delle stagioni (a mimare con le
mani i gesti coreografati della Season March di Pina Bausch) e per il
cibo fragrante assaporato, insieme, nel bel momento conviviale a fine
spettacolo. Per nutrire lo spirito e così pure il corpo.
Francesca Ferrari, www.teatropoli.it, 6
novembre 2016
[…] Sempre sulla traccia
dell’autobiografia che diventa storia, storia vera e credibile
perché vissuta, sta Tutto quello che so del grano del
Teatro delle Ariette: un bilancio di una vita passata tra campagna e
teatro, dopo le delusioni della politica, a scoprire un mondo nuovo,
fatto di animali, di cose coltivate e raccolte, di silenzio e di
nuove possibilità di relazioni, ad attraversare crisi, occultarsi,
oscurarsi e rifiorire, proprio come il seme che si interra tra le
zolle, proprio come il cibo, essenziale e superfluo, oggetto di
dissennato consumo, indispensabile nutrimento, momento insostituibile
di relazione umana. Le Ariette si raccontano per scoprire, quasi fino
a scorticarsi: senza paura di parlare di amore, di vecchiaia che
avanza anche per la generazione forever young, di
incomprensioni, di fantasmi, di cose e persone che sembrano per
sempre svanite, memorie abbandonate che vogliono rivivere. Molto
bello. Molto intenso.
Massimo Marino, www.doppiozero.com, 25
agosto 2016
Il Teatro delle Ariette torna nel bosco
psichiatrico alla periferia di Milano per tirare le somme
di una carriera lunga e fruttuosa in cui vita e lavoro si sono fuse
indissolubilmente insieme, contaminandosi a vicenda. Con questo
secondo studio nato dalla necessità di restituire al pubblico tutte
le nozioni apprese durante un vissuto fatto di «momenti intensi»,
il trio agreste intraprende un percorso di ricerca incentrato sul
senso stesso di tutte le azioni, piccole e grandi, che li hanno
condotti, negli anni, fino a qui.
Semina, mietitura, battitura e
macinazione, quattro atti dolcemente pastorali che si riflettono
nelle altrettante lettere dedicate dal Pasquini alla Berselli in
seguito a una rottura, una crepa nella superficie piana della loro
esistenza di coppia. Il processo creativo (in tutti i sensi) viene
quindi paragonato alla trafila agricola per produrre il grano che, da
esperienza personale quale è per i due attori-braccianti, «diventa,
nel tempo di una sera, evento teatrale collettivo» […]
Annullando qualsiasi divisione tra
attore e pubblico, il duo dichiara allora il proprio intento e
inscena una performance di difficile classificazione. Tra canzoni
waitsiane, danze druidiche e momenti culinari, Tutto quello che
so del grano sembra a tutti gli effetti un messaggio d’addio
al passato, ai tempi andati, a una convivenza con la natura perduta,
forse, irrimediabilmente («avremmo sempre potuto fare di più, fare
meglio, fare prima»). […] Si tratta quindi di una presa di
coscienza al contempo umana e artistica, confermata anche da scelte
registiche già proposte in passato, che fanno delle Ariette una
realtà sui generis oramai classica.
Francesco Chiaro, teatro.persinsala.it,
7 luglio 2016
Inchiodati sul confine tra la resa e la
voglia di trovare uno slancio, indecisi su cosa fare delle nostre
vite e della nostra fiducia, su cosa pensare e sentire – se sia
meglio vivere liberi o in coppia, se la carne faccia male o no, se
convenga crescere i figli in campagna o in città, se sia bene
leggergli solo favole gender friendly, se il biologico sia poco meno
di una truffa, se l'arte e la storia siano morte col romanticismo o
meno, se abbia ragione Heidegger o Bloch, se sia meglio il
manicheismo o il relativismo, se il teatro sia parola, gesto, o tutte
e due, o nessuna delle due... – guardiamo Stefano, Paola e Maurizio
che in scena impastano, cuociono, tagliano, servono, mentre
raccontano la loro biografia di uomini donne e artisti, dandoci la
sensazione che sappiano esattamente cosa stanno facendo con le mani,
e che qualsiasi cosa uscirà dal forno o dai pentoloni sarà
sicuramente, incontrovertibilmente, straordinariamente squisito e
sano. E noi li guardiamo, appunto, come profeti di una vita e di un
teatro pieni di altissima dignità: per il pubblico sanno di buono,
di naturale, di salutare, di emozionante, di santo, di verissimo, per
gli addetti ai lavori di un aggiornato teatro popolare di ricerca […]
Le Ariette, dal canto loro, avanti anni
luce rispetto al nostro immaginario da mulino bianco e alle nostre
strategie da spettatori o da impresari – ma sempre gentili come i
veri saggi con i nostri limiti – mentre impastano e raccontano e
profondono fascino in tutte quelle cose di cui qualcuno si è preso
personalmente cura e che saranno destinate a durare, ad avere una
storia (così, senza neanche sfiorare l'argomento, ci fanno venire
voglia di indossare un cappotto di lana invece che un piumino in
poliestere, e di mangiare nei piatti di ceramica invece che in quelli
di plastica), ci conducono ben lontano dal mulino che vorrei, dritti
nel loro e nel nostro soffrire, a colloquio con le ombre, la
tristezza nera e la nostalgia di felicità che ci portiamo nel cuore
nel dubbio atroce che sia tutto inutile: il teatro, il corredo
ricamato a mano, la vita […]
Rossella Menna, www.doppiozero.com, 30
marzo 2016
Noi cittadini del grano non
sappiamo proprio niente, ignoriamo o diamo per scontato, tra Mulino
Bianco e intolleranze al glutine. Pare improvvisamente divenuto un
nemico, il grano […]
Le Ariette, Paola, Stefano, Maurizio,
lo conoscono bene il frumento come se in Tutto quello che so del
grano umilmente si piegassero davanti al mistero, alla fantasia del
creato in una preghiera laica che sa di alchimia e
fascinazione, di costruzione e trasformazione, di divenire e di
attesa, di pazienza e contemplazione. […] Le Ariette rispettano i
tempi, le fasi, le stagioni, rispettano i silenzi e la fatica,
rispettano le persone, quella grande comunità che in questi
venticinque anni è cresciuta e si è accoccolata dolce attorno a
loro, alla loro semplicità, poetica e di lavoro pesante, piena di
pathos ma anche ancorata rigidamente alle fondamenta della terra,
alle radici che sondano e tengono, alle foglie spazzate dal vento,
alle cortecce bitorzolute dove è piacevole passarci il palmo della
mano e sentire il brivido dell’irto, il graffio, il solco delle
spine. […]
Un grande racconto d’amore, in
definitiva, dove la commozione fa da spartitraffico e cuscino dove
immergere la testa proteggendola, in forma di missive, di lettere
scritte a mano come una volta, dove la calligrafia è
segno e disegno e stato d’animo e stile e carattere, che piega e
affonda il foglio, anch’esso figlio e prodotto dell’albero.
Lettere d’amore che sono pezzi di ricordi e sogni, di
nostalgie e desideri, passaggi e sentieri, percorsi di vita,
scambiata, diffusa come acqua ad irrigare, pioggia a ristorare. […]
Le Ariette sono disarmate, le loro storie toccanti ma non
lacrimevoli, la loro arma principale è la parola “insieme”. Che
cos’è l’amore? Forse è questa focaccia fatta per te. Le
Ariette fanno bene: al cervello, al cuore, al respiro.
Tommaso Chimenti, ilfattoquotidiano.it,
30 marzo 2016
[…] Il sapere che le Ariette ci
raccontano è soprattutto intuitivo e sentimentale, appartiene al
campo dell’esperienza materiale: quella dei ricordi, delle
emozioni, dei sentimenti, della farina, dell’acqua, del pane e del
vino. Dal racconto della passione per la musica di Tom Waits –
colonna sonora all’inizio dello spettacolo con la
canzone Chicago che parla di semi piantati che non
cresceranno –, Pasquini passa a chiedere: “Chi, oggi, scrive
ancora lettere?”. E ancora: “Se vi obbligassi stasera a scriverne
una, a quale persona cara la scrivereste?”. Lui la scrive a Paola.
Ed è quella che ascoltiamo alternandosi entrambi davanti o attorno
al tavolo, col grano sparso per terra o raccolto dentro una vasca
dove lei immerge i piedi, rievocando, col semplice sovrapporsi di una
veste, ricordi d’infanzia, o dialogando ironicamente con lui seduto
di fronte […] Fra autobiografia e parabola di valori universali,
dove s’insinua, tra le righe, la storia di ieri e quella
tecnologica e televisiva di oggi, dove affiorano temi ecologici ed
esistenziali, le Ariette ci fanno sentire commensali attivi del loro
“sapere” del grano coinvolgendoci, infine, nel mimare insieme a
loro quei gesti delle mani che Pina Bausch creò in Kontakthof per
danzare il ritmo della natura nel trascolorare delle quattro
stagioni. Un omaggio alla grande coreografa che, indirettamente,
forse, ha ispirato il loro teatro. Quel teatro che affonda le radici
nella vita reale. E di essa continua a nutrirsi.
Giuseppe Distefano, artribune.com, 8
aprile 2016
[…] Come Stefano Pasquini, uno dei
tre attori, ha dichiarato parlando dello spettacolo, «per andare
avanti bisogna fare i conti con ciò di cui si è fatti». Ecco
allora che all’interno di questo teatro, in cui il cibo da sempre
rappresenta un elemento essenziale, l’ingrediente del grano –
emblema di una memoria legata alla terra – è stato sapientemente
mescolato alle forme della lettera, del racconto e del dialogo, per
dare vita ad una pièce dal sapore nostalgico e di grande sostanza,
con una ricetta ancora in farsi. […] Ciò che colpisce in questo
studio di pièce è la totale messa in gioco di se stessi da parte
degli attori, l’empatia prodotta dall’espressività della
Berselli, la sensazione di convivialità data dall’intimità
dell’ambiente e dal reale scambio fra i presenti durante il
banchetto finale. Resta una riflessione sul teatro quale luogo di
sospensione del tempo e strumento di rielaborazione delle esperienze.
E poi, se è vero che una focaccia
cambia gusto sulla base di chi la prepara, perché chi impasta vi
mette dentro un po’ di sé, questa è la conferma del valore
dell’esperienza umana che sta dietro al teatro delle Ariette:
quella focaccia era buonissima.
Martina Vullo, paneacquaculture.net, 5
aprile 2016
[…] Tutto quello che so del grano è
una raccolta di memorie, della vita vissuta insieme negli ultimi
trent’anni da Paola e Stefano. C’è il teatro, ovviamente, c’è
l’amore, la campagna, l’infanzia, i ricordi, la felicità,
l’attesa, la tristezza, l’incertezza. C’è tutto quello che è
importante, e vero. Cosa succede: un uomo e una donna una sera
litigano, non sappiamo bene perché. Tutto quello che abbiamo
fatto lo abbiamo fatto insieme. Molta gente si è innamorata di noi,
insieme. […] Lei ama il teatro, ma adesso lo mette in
dubbio. Forse ha ragione Pasqui, stiamo facendo cose inutili,
lui lo dice sempre che fa teatro solo per me e che altrimenti avrebbe
fatto altro. Ha ragione, non ne vale la pena. E invece sì, e lo
sanno bene entrambi, e se non vale in assoluto vale per il loro, di
teatro, che coincide quasi interamente con la vita, che è vero come
non si è visto mai, vero come il grano che l’amico Maurizio
Ferraresi versa in un’artigianale e traballante composizione di
tubi di plastica, e che finisce dentro una bacinella, direttamente
sui piedi di Paola, vero come la focaccia che sta cuocendo in forno,
di cui si spande in sala il profumo, che nessuno ha certo intenzione
di mettere in dubbio e che tra un po’ tutti quanti andremo a
mangiare, pancia piena o no, insieme sul palco, insieme agli attori e
insieme all’uovo al tegamino, al formaggio e al vino […].
Giulia Foschi,
nonfarneundramma.wordpress.com, 9 maggio 2016
Con Paola Berselli, Maurizio Ferraresi,
Stefano Pasquini
scenografia e costumi Teatro delle
Ariette
luci e audio Massimo Nardinocchi
video Stefano Massari
regia Stefano Pasquini
Servizio del TG2 di Loretta Cavaricci
(al minuto 00:58)
http://www.rai.tv/dl/RaiTV/programmi/media/ContentItem-376d0a6f-897b-4000-92f5-ab62fc5d09a5-tg2.html#p=
Servizio di Memo l'Agenda Culturale,
Rai5 - canale 23 (puntata del 22 luglio, dedicata al Festival
VolterraTeatro)
http://www.rai5.rai.it/articoli-programma/memo-lagenda-culturale-del-22-luglio-2016/34130/default.aspx
Nessun commento:
Posta un commento