TEATRO ELFO PUCCINI DI MILANO
"IL PADRE"
REGIA DI GABRIELE LAVIA
Dopo Brecht e Pirandello, Gabriele
Lavia si confronta per la terza volta nella sua carriera con Il padre
di Strindberg.
La nuova produzione della Fondazione
Teatro della Toscana, diretta e interpretata da uno dei maestri della
scena italiana, ha debuttato al Teatro Era di Pontedera sabato 13
gennaio. La casa, la famiglia, la resa dei conti, motivi simbolici
per il drammaturgo svedese, vengono qui portati a un confronto
ultimativo, che si impone con la lucidità dell’allucinazione.
Il Capitano di cavalleria Adolf si
scontra con la moglie Laura sull’educazione da impartire alla
figlia Berta. La consorte non esita a instillare nell’animo
dell’uomo un dubbio atroce: la sua stessa paternità. Il lungo
calvario mentale di Adolf lo sprofonda in un’angoscia devastante,
fino a farlo precipitare, racconta Lavia, “nell’abisso della
perdita di ogni ‘certezza ontologica’ dello statuto virile della
paternità”. Una partita inesorabile di dare e avere, dove ogni
segno sposta la bilancia di una macchinosa contabilità cosmica.
Sul palco Lavia interpreta il marito,
il Capitano di cavalleria Adolf, Federica Di Martino è la moglie
Laura. Il cast si compone poi di Giusi Merli (La Balia), Gianni De
Lellis (Il Pastore), Michele Demaria (Il Dottor Östermark), Anna
Chiara Colombo (Berta, la figlia), e dei giovani attori diplomati
alla Scuola ‘Orazio Costa’ del Teatro della Toscana, Ghennadi
Gidari (Nöjd), Luca Pedron (L’Attendente). Le scene sono di
Alessandro Camera, i costumi di Andrea Viotti, le musiche di Giordano
Corapi, le luci di Michelangelo Vitullo.
“L’azione di quest’opera –
afferma Gabriele Lavia – è tutta interiore e stretta nella morsa
tragica dell’unità di tempo, luogo e azione nella quale deve
essere compiuto il ‘delitto perfetto’: l’omicidio psichico. Il
nostro spettacolo precipita l’azione dentro una vertigine di
velluto rosso sangue dove il quieto salotto familiare comincia ad
‘affondare’ nel naufragio di ogni certezza. È il naufragio del
mondo e della storia. Ma forse la vita non è altro che un
naufragio”.
“Scritto con un’ascia, non con la
penna”. Cosi August Strindberg definisce Il padre composto in una
manciata di mesi nel 1887 che della tragedia, nel senso più
autentico del termine, rivendica tutti i paradigmi, mettendo a nudo i
nodi irrisolti di un rapporto coniugale inaridito in regole che hanno
reso moglie e marito estranei l’una all’altro, rivali, nemici.
“L’intreccio del Padre – precisa
il regista – è semplicissimo. Un marito sospetta che la moglie lo
abbia tradito e che la figlia sia figlia di un altro. Marito, moglie,
figlia e… l’altro. Un intreccio, diciamolo pure, banale, che
nelle mani di Strindberg diventa un ‘abisso’. O, meglio, il
precipitare nell’abisso della perdita di ogni ‘certezza
ontologica’ dello statuto virile della paternità e l’avvento
della condizione di ‘incertezza dell’essere’ dell’uomo che,
dunque, deve fare i conti con la cultura, la storia e addirittura,
poiché Strindberg scrive una tragedia classica, con il mito”.
“Siamo alla fine dell’Ottocento e,
quindi, ci si muove – prosegue Lavia – in un ambito nel quale,
ancora, non è possibile scientificamente provare con certezza la
‘paternità certa’ di un uomo. Solo la madre è certa. Il padre
non è certo. Così il Capitano. Il Padre, cioè l’uomo del
comando, privato di ogni certezza è condannato a soccombere di
fronte alla donna che è più forte, perché ha la ‘certezza
dell’essere’. La certezza dell’essere contro l’incertezza del
non essere. E se l’essere uomo diventa ‘non essere’, diventa
proprio come Amleto, follia”.
La vicenda personale alla quale più o
meno precisamente può venir ricondotta l’opera è in sostanza il
matrimonio di Strindberg con Siri von Essen, da lui conosciuta quando
è la baronessa Wrangel. Divorziatasi dal marito, Siri sposa
Strindberg nel 1877 e gli dà quattro figli, dei quali tre hanno
molta parte nella vita di lui. Ma il matrimonio attira e respinge
insieme lo scrittore, e con tale veemenza, che egli dopo la prima
avrà altre due mogli, ma resterà sempre inquieto e infelice.
Il periodo in cui scrive Il padre è
quello che precede il divorzio da Siri, sancito nel 1891, ma è pure
il momento di sue intense e abbastanza sistematiche letture di
psicologia, storia, politica, scienze naturali, e in cui si occupa
anche di pittura, fotografia e ipnotismo.
Conclude Gabriele Lavia: “È proprio
nel precipitare nella follia che il Capitano Adolf riesce ad
affondare il suo ‘caso banale’ di sospetto di ‘corna’
nell’abisso della storia dell’uomo, fino al mito di Ercole
(salvatore del mondo) e di Onfale (la grande de-virilizzatrice) che
si scambiano i vestiti. Cosicché l’uomo diventa donna e la donna
diventa uomo. Onfale con l’inganno s’impossessò della clava di
Ercole e della sua pelle di leone, simboli della virilità e della
forza. Ed Ercole, ingannato, indossò le vesti della bellissima
Onfale, simboli della fragilità e dell’obbedienza. Il nostro
Capitano, privato del potere economico e interdetto, impazzito e
stretto nel vestito dei ‘pazzi’ (la camicia di forza), indosserà
simbolicamente lo scialle profumato della moglie in una vertiginosa
proiezione del mito”.
Di August Strindberg
con Federica Di Martino
e con Giusi Merli, Gianni De Lellis,
Michele Demaria, Anna Chiara Colombo, Ghennadi Gidari, Luca Pedron
scene Alessandro Camera
costumi Andrea Viotti
musiche Giordano Corapi
luci Michelangelo Vitullo
regia Gabriele Lavia
produzione Fondazione Teatro della
Toscana
Dal 15 al 25 febbraio, sala Shakespeare
Teatro Elfo Puccini, corso Buenos Aires 33, Milano – Martedì /
sabato ore 20.30, domenica ore 16.00 – Info e prenotazione: tel.
02.0066.0606 – biglietteria@elfo.org - Prezzi: Intero € 32.50,
Ridotto € 17, Martedì € 21,50 www.elfo.org
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