TRE DEBUTTI AL
TEATRO ELFO PUCCINI DI MILANO
TEATRO ELFO PUCCINI DI MILANO
Leonardo, che genio!
Uno spettacolo pop-up
di e con Elena Russo Arman
musica a cura di Alessandra Novaga
luci di Giacomo Marettelli Priorelli
suono di Giuseppe Marzoli
produzione Teatro dell'Elfo
prima nazionale
Elena Russo Arman per tre stagioni ha
deliziato i giovani spettatori con il suo Shakespeare a merenda, un
piccolo best seller che ha convinto pubblico e critica. Dopo averci
fatto scoprire il “dietro le quinte” del Globe Theater all’epoca
della regina Elisabetta I, ora ci guida attraverso il mondo di
Leonardo.
Immaginate un grande libro, chiuso, che
attende di essere aperto. Immaginate che questo libro contenga la
storia del più grande uomo del Rinascimento: Leonardo da Vinci.
Immaginate ora che il racconto contenuto all’interno del libro, non
sia fatto solo di parole ma, come per incanto una volta aperto, ci
riveli un mondo in tre dimensioni che, pagina dopo pagina, ripercorre
le tappe fondamentali della vita del grande artista: l’infanzia nel
villaggio di Vinci, l’apprendistato a Firenze, il periodo felice
del primo soggiorno a Milano, l’incertezza e il suo continuo
peregrinare, fino agli ultimi giorni alla corte del re di Francia.
A raccontarci i successi ma anche le
difficoltà di questo incredibile personaggio, è Elena Russo Arman
che, come una cantastorie, ne ripercorre l’esistenza attraverso un
libro pop-up che ha interamente progettato e realizzato e che avrebbe
forse divertito Leonardo, sempre attento ad intrattenere e
sorprendere il suo pubblico.
Il mondo che prende vita davanti ai
nostri occhi è un mondo di carta, quella stessa carta di cui
Leonardo si è servito per tutta la vita, osservando e annotando
incessantemente ciò che lo circondava, con vivace curiosità e
desiderio di conoscenza.
Lui, che amava definirsi ‘omo sanza
lettere’, cioè uomo illetterato perché non aveva studiato il
latino, è stato tante cose al tempo stesso: pittore, disegnatore,
architetto, scienziato, urbanista, studioso di botanica, anatomia e
fisica; inventore di macchine da guerra, ingegnere idraulico,
musicista, scrittore e scenografo. Amava intrattenere e stupire il
suo pubblico e, grazie al suo talento di pittore, alla mente
brillante, alla sua eleganza e alla gentilezza dei modi, conquistò
le corti dei potenti, diventando una celebrità del suo tempo e non
solo.
Di un uomo così eclettico ed
enigmatico, la Storia e la leggenda si sono fuse, trasformandolo in
un archetipo, un artista per il quale viene comunemente usata la
definizione di genio.
Il misantropo
di Molière traduzione Cesare Garboli
adattamento e regia Monica Conti
con Roberto Trifirò, Nicola
Stravalaci, Flaminia Cuzzoli, Giuditta Mingucci, Stefano Braschi,
Antonio Giuseppe Peligra, Stefania Medri, Monica Conti, Davide Lorino
Elsinor Centro di produzione teatrale
Il misantropo, opera in cinque atti di
Molière, rappresentata per la prima volta nel 1666, ha visto nei
secoli le più diverse interpretazioni. La versione proposta da
Elsinor rappresenta il quarto incontro di Monica Conti con Molière,
dopo Medico per forza, Dispetto d’amore e Le intellettuali. Un
progetto la cui sostanza è la necessità di presentare dei classici
“riscritti” attraverso un grande lavoro attoriale che renda la
parola corpo come nuova.
La ricerca registica indaga gli stati
d’animo, le relazioni, le situazioni , i sotto-testi e la musica.
Già ne Le intellettuali importanti si sono rivelati la musicalità,
il ritmo dei dialoghi l’atletismo verbale che ne consegue. Nel
Misantropo prosegue questo lavoro, teso a dare rilievo al ritmo e al
suono non come forme estetiche, ma come forme di espressione
dell’inconscio.
Qui Alceste, interpretato da Roberto
Trifirò, non è un eroe tragico o romantico, ma tragicomico perché
infelice, disorientato e violento. È uno spettatore della vita
eternamente immobilizzato nel suo scontento.
NOTE DI REGIA
Nel Misantropo più che la trama,
contano le relazioni umane che sono poi la cosa più importante della
nostra vita. Nell’arco di una giornata Alceste rompe con la società
malata in cui vive. E’ un essere intelligente e ironico ma che
nutre un odio feroce per gli uomini che fa ingigantire in lui la
percezione dei loro difetti. È un essere contraddittorio,
contemporaneamente saggio e folle, che ama proprio la donna che
incarna tutti i vizi che lui odia o, forse, la ama proprio per
questo.
Ho cercato di approfondire al massimo
queste relazioni e, nello stesso tempo, di far diventare carne i
versi di Molière tradotti nell’italiano di Cesare Garboli.
Lavorando da anni su Molière e in particolare su questo testo, ho
cercato anche di cogliere ciò che sta sotto a un linguaggio
ricercato e “antico”, ma che, a tratti, pare scritto col sangue
da un poeta veggente. E se nei primi tre atti ancora, qua e là,
traluce il genio comico dell’autore, nel quarto sprofonda nella
follia e nel quinto nel disincanto, aprendo la strada al Teatro
moderno.
In uno spazio semplicissimo agito dagli
attori, sono essi stessi che creano coi loro corpi i luoghi ora
reali, ora onirici, in cui si svolge questa vana e folle giornata di
Alceste. Per ritrovarsi alla fine in un’alba di una qualsiasi città
e scoprirsi anime ingannate e perse, al di là dei vizi e delle
virtù, ma anche anime che transitano e si dibattono brevemente in
questo mondo prima di tornare alla natura.
Ho sempre pensato al Misantropo come a
una “ballata dell’essere umano” posto di fronte all’enigma
dell’esistenza e della percezione di una realtà che è sempre
sfuggente, multiforme e soggettiva.
Monica Conti
«Dopo Le intellettuali un altro
Molière messo in scena da Monica Conti. I toni satirici di queste
due opere sono diversi, gli stili di approccio (e d’interpretazione)
altrettanto. Ciò che ne Le intellettuali era asciutto, nel
Misantropo è sfuggente, quasi liquido; ciò che era realistico, oggi
è, in termini culturali, espressionista. Ma in termini non culturali
possiamo a ragion veduta definirlo eccessivo: tutto lo spettacolo è
fondato su furia e rabbia. La folle journée di Alceste diventa una
pazza giornata per tutti gli altri».
Franco Cordelli, Corriere della Sera
21/25 marzo | sala Shakespeare
di John Hodge
traduzione e regia Bruno Fornasari
con Tommaso Amadio, Emanuele Arrigazzi,
Michele Basile, Emanuela Caruso, Eugenio Fea, Enzo Giraldo, Marta
Lucini, Alberto Mancioppi, Daniele Profeta, Michele Radice, Chiara
Serangeli, Umberto Terruso, Elisabetta Torlasco, Antonio Valentino
scene e costumi Erika Carretta, disegno
luci Fabrizio Visconti
musiche originali Rossella Spinosa,
eseguite da New MADE Ensemble
produzione Teatro Filodrammatici di
Milano
Si rinnova la collaborazione tra Elfo e
Filodrammatici che si “scambiano” gli spettacoli di produzione
nella convinzione che la creatività si alimenti contaminando e
incrociando il pubblico, le idee e le generazioni. All’Elfo arriva
dunque Collaborators, lo spettacolo prodotto dal teatro guidato da
Fornasari e Amadio, mentre Ferdinando Bruni porta al “Filo” il
suo Racconto di Natale.
La commedia amara di John Hodge
(sceneggiatore di Trainspotting, Piccoli omicidi tra amici, The Beach
Trainspotting 2, diretti da Danny Boyle) affronta il delicato
argomento della relazione tra regime e cultura, tra potere e
creazione artistica.
Mosca 1939. A Michail Bulgakov, ex
scrittore di successo ora mal visto dall’intellighenzia sovietica,
viene proposto di scrivere una commedia su Stalin per celebrarne il
sessantesimo compleanno. Scrivere un testo che tinga di eroismo le
origini e la giovinezza dell’uomo che lui considera un tiranno
spietato, potrebbe salvargli la carriera, ma si trova a fare i conti
con le convinzioni che l’hanno fin qui portato a essere censurato e
sgradito al regime. Che fare? Per proteggere se stesso e la moglie
Yelena, Bulgakov accetta.
«Un testo onirico ma concretissimo.
Complimenti a Fornasari che ci ha visto lungo».
Diego Vincenti, Il giorno
«Collaborators è un miracolo di
equilibrio e intelligenza registica. Spiazza le aspettative dello
spettatore, facendo sentire sulla pelle tutta la fascinazione per il
male e l’irragionevolezza del Potere».
Roberto Rizzente, Hystrio
«La parte del leone la fanno Tommaso
Amadio nei panni di Bulgakov e Alberto Mancioppi in quella di Stalin,
visibilmente ispirati dalle rispettive parti, bravi a trascinare il
resto del solido cast».
Michele Weiss, La Stampa
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