"LA TRAGEDIA DEL VENDICATORE"
DECLAN DONNELLAN DIRIGE
LA SUA PRIMA PRODUZIONE
AL PICCOLO TEATRO E IN ITALIA
Il pubblico ha applaudito al Piccolo
Teatro le sue geniali regie di testi shakespeariani: Cymbeline nel
2007, Macbeth nel 2010 e Racconto d’inverno nel 2016.
Ora, Declan Donnellan, uno dei più
grandi registi europei, Leone d’Oro alla carriera, sceglie, per la
sua prima produzione al Piccolo e in Italia, La tragedia del
vendicatore del giacomiano Thomas Middleton. In scena, una
compagnia di attori italiani, per la maggior parte cresciuti alla
Scuola del Piccolo. Intrighi, corruzione, lussuria, narcisismo e
brama di potere in una corte del Seicento spaventosamente
contemporanea.
«Middleton e Shakespeare – spiega
Donnellan – si affermarono in una Londra teatro di cambiamenti
dirompenti. Era un tempo di boom economico e bancarotta, dominato da
un disagio sociale destinato a sfociare nella rivoluzione che
avrebbe, alla fine, completamente distrutto il contesto culturale dei
due autori. Leggendo Middleton si percepisce una minaccia incombente,
che cresce come un tumore invisibile fino a scoppiare, alimentata dal
rancore e dall’ingiustizia.
Ci parla di un governo corrotto,
invischiato in loschi affari, di un popolo che si compra al prezzo
dei beni di consumo. Descrive una società ossessionata dalla
celebrità, dalla posizione sociale e dal denaro, dominata dal
narcisismo e da un bisogno compulsivo di auto rappresentarsi per
convincere gli altri – ma soprattutto se stessi – di essere buoni
e belli».
«All’epoca l’Italia – conclude
Donnellan – era un luogo proibito che ben pochi inglesi avrebbero
visitato. L’Europa cattolica rappresentava, per gli Inglesi
protestanti, un altrove simile a quel che la Russia sovietica
incarnava quando eravamo ragazzi: era il potenziale invasore, latore
di un’ideologia perniciosa».
Lo spettacolo, in italiano, sarà
sovratitolato in inglese nelle recite del 9, 13, 17, 20, 27 ottobre e
3, 10 novembre. Sovratitoli a cura di Prescott Studio.
Gli incontri al Chiostro di via Rovello
Venerdì 5 ottobre, ore 17
Incontro con Declan Donnellan
modera Francesco Bianchi, introduce Anna Piletti
modera Francesco Bianchi, introduce Anna Piletti
Martedì 9 ottobre, ore 17
Thomas Middleton: quattro secoli di silenzio
con Daniela Guardamagna, introduce Anna Piletti
Thomas Middleton: quattro secoli di silenzio
con Daniela Guardamagna, introduce Anna Piletti
Giovedì 18 ottobre, ore 17
Incontro con la compagnia dello spettacolo
Incontro con la compagnia dello spettacolo
La tournée
Torino, Fonderie Limone – dal 20 al
25 novembre 2018
Lugano, LuganoInScena – 29 e 30
novembre
Pavia, Teatro Fraschini – dal 6 all’8
dicembre
Firenze, Teatro della Pergola – dal
12 al 16 dicembre
Bologna, Arena del Sole – dal 10 al
13 gennaio
Modena, Teatro Storchi – dal 17 al 20
gennaio
Roma, Teatro Argentina – dal 23
gennaio al 3 febbraio
Pordenone, Teatro verdi – 7 e 8
febbraio 2019
Piccolo Teatro Strehler (largo Greppi –
M2 Lanza), dal 9 ottobre al 16 novembre 2018
La tragedia del vendicatore
di Thomas Middleton
drammaturgia e regia Declan Donnellan
versione italiana Stefano Massini
scene e costumi Nick Ormerod
luci Judith Greenwood, Claudio De Pace
musiche Gianluca Misiti
personaggi ed interpreti (in ordine
alfabetico)
Ivan Alovisio Lussurioso
Alessandro Bandini Junior
Marco Brinzi operatore TV /
giudice / guardia
Fausto Cabra Vindice
Martin Ilunga Chishimba operatore TV
/ guardia
Christian Di Filippo Supervacuo
Raffaele Esposito Ippolito
Ruggero Franceschini operatore TV /
vescovo / guardia
Pia Lanciotti Duchessa / Graziana
Errico Liguori Spurio
Marta Malvestiti Castiza
David Meden Ambizioso
Massimiliano Speziani Duca
Beatrice Vecchione operatore TV /
medico / guardia
coproduzione Piccolo Teatro di Milano –
Teatro d’Europa, ERT – Emilia Romagna Teatro Fondazione
foto di scena Masiar Pasquali
Orari: martedì, giovedì e sabato ore
19.30; mercoledì e giovedì ore 20.30 (salvo mercoledì 7 novembre,
ore 15 per le scuole);
domenica ore 16. Tutti i lunedì e
giovedì 1 novembre riposo. Durata: un’ora e 50 minuti
senza intervallo
Prezzi: platea 40 euro, balconata 32
euro
Informazioni e prenotazioni 0242411889
- www.piccoloteatro.org
News, trailer, interviste ai
protagonisti su www.piccoloteatro.tv
Thomas Middleton, il dissenso e la
censura
di Daniela Guardamagna*
(dal programma di sala dello
spettacolo)
La figura di Thomas Middleton,
relativamente sconosciuta al grande pubblico, ha suscitato una
profonda accensione di interesse in Inghilterra e in America
nell’ultimo decennio. Pressoché contemporaneo di Shakespeare (è
nato nel 1580, sedici anni dopo il Bardo, e ha smesso di scrivere per
il teatro nel 1624, otto anni dopo la morte di Shakespeare a
Stratford-upon-Avon), è stato assai famoso ai suoi tempi e ha
addirittura collaborato con il grande drammaturgo. La sua fama è
stata oscurata, nei secoli successivi alla sua morte, principalmente
per due ragioni: innanzi tutto, per problemi di censura, in quanto
nella sua opera è chiaramente leggibile un ritratto esplicito della
corruzione della Corte inglese; in secondo luogo, molte sue opere
sono state per secoli attribuite ad altri autori: prima fra tutte
proprio The Revenger's Tragedy, cioè La tragedia del vendicatore, la
cui paternità è stata assegnata fino alla fine del Novecento, con
poche eccezioni, al drammaturgo Cyril Tourneur. […]
Pochi testi middletoniani sono stati
messi in scena in Italia: la presaga attenzione di Luca Ronconi gli
ha fatto scegliere di produrre, negli anni Sessanta e Settanta del
secolo scorso, ben tre fra i suoi capolavori: The Changeling, in
italiano I lunatici, con la Compagnia Fortunato-Fantoni, nel 1966;
per l’Accademia Silvio D’Amico, nel 1973, A Game at Chess, cioè
La partita a scacchi; e, nel 1970, proprio La tragedia del
vendicatore, recitata tutta al femminile (con Mariangela Melato,
Edmonda Aldini, Paola Gassman, Liù Bosisio e altre), ma attribuita,
come è avvenuto praticamente fino all’inizio del nostro secolo, a
Cyril Tourneur. Oggi sappiamo che Middleton, oltre a produrre
ritratti satirici della Londra del suo tempo nelle city comedies
(rappresentate nei teatri privati), ha lavorato a lungo per la
compagnia di Shakespeare, i King’s Men, mettendo in scena varie
tragedie, prevalentemente attribuite ad altri in passato; ha
collaborato con Shakespeare per il Timon of Athens, e in seguito, su
commissione dei King’s Men, ha certamente riadattato il Macbeth
(nel 1616, poco dopo la morte del grande drammaturgo), e
probabilmente altre opere shakespeariane: Misura per misura, Tutto è
bene quel che finisce bene e il Tito Andronico. Shakespeare deve aver
stimato e apprezzato il suo giovane collega, per scegliere proprio
lui, nel 1606, per scrivere il Timone d’Atene, quando era al
vertice della sua fama: di quegli anni sono King Lear, Macbeth,
Antonio e Cleopatra. La dura storia di Timone è basata su una
critica violenta al potere del denaro e alla modificazione dei
rapporti umani alla luce del suo prevalere sull’amicizia e la
solidarietà: Middleton, che aveva violentemente criticato queste
nuove mostruosità nelle sue city comedies, dev’essere sembrato
particolarmente adatto, a Shakespeare, per collaborare alla denuncia
della mercificazione dei valori e alla perdita all’aspirazione, se
non alla realizzazione, di un mondo meno crudele e meno ingiusto.
L’apprezzamento per l’opera drammaturgica di Middleton, tuttavia,
è dei “colleghi” suoi contemporanei e del pubblico: ma Re e
potenti gradiscono meno quello che è stato definito il suo “dissenso
programmatico”.
Quindi, come si diceva, Middleton è
colpito da gravi problemi di censura: quasi tutta la sua opera fonde
elementi grotteschi o tragici (a seconda che si tratti di commedie o
tragedie) con una verve satirica violenta, quasi swiftiana. La sua
ultima opera, La partita a scacchi, messa in scena al Globe Theatre
nel 1624, registra un afflusso di pubblico senza precedenti. Il Globe
aveva circa tremila posti; in genere le opere di successo rimanevano
in scena quattro o cinque giorni, salvo riprese successive. La
partita a scacchi registra un tutto esaurito di nove giorni, mentre
la compagnia dei King’s Men, vari copisti e Middleton stesso si
affaccendano a produrre copie in quarto (una sorta di tascabile)
della commedia che tutti volevano vedere, o di cui volevano almeno
sapere qualcosa. Ma, siccome in questo caso (sia pure attraverso il
velame della contrapposizione degli scacchi bianchi, metafora degli
Inglesi, e neri, degli Spagnoli) la satira colpisce bersagli
estremamente precisi, soprattutto l’ambasciatore spagnolo in
Inghilterra ma anche la politica filospagnola del sovrano inglese, la
censura interviene con insolito rigore: Middleton rischia la prigione
ed è costretto, tre anni prima della morte, ad abbandonare il
teatro. Dato che il suo primo capolavoro dopo le city comedies è La
tragedia del vendicatore (del 1606), ma che sono sempre state
considerate opere fondamentali anche Women Beware Women (Le donne si
guardino dalle donne, del 1621) e The Changeling (I lunatici, del
1622), viene spontaneo chiedersi che cosa abbiamo perduto, quando
Middleton ha dovuto abbandonare la scrittura teatrale.
È stato sottolineato come la sua opera
coincida quasi perfettamente con il cosiddetto periodo giacomiano: si
usa dividere il teatro rinascimentale inglese, detto anche teatro
elisabettiano in senso lato (circa 1578-1642), in tre periodi, che
ricevono il nome dai regnanti assisi sul trono inglese: il periodo
elisabettiano vero e proprio, dal nome della grande Elisabetta I, che
regna dal 1558 al 1603: l’inizio del periodo è datato al 1577 o
1578, la data di costruzione del primo teatro pubblico inglese, The
Theatre. Segue il periodo giacomiano, da Giacomo I Stuart, che regna
dal 1603 al 1625, e poi il periodo carolino, da Carlo I Stuart,
figlio di Giacomo, che è deposto dai puritani nel 1642. Seguono la
chiusura dei teatri (disapprovati per motivi religiosi dai puritani),
e, nel 1649, la morte per decapitazione di Carlo I: una battuta
ricorrente tra gli specialisti è che dopo quella data gli Inglesi
non hanno mai più messo in questione l’istituzione monarchica, per
lo shock causato dall’uccisione violenta del sovrano e dal suo
sangue illegittimamente versato. Quando Carlo II salirà al trono
dopo l’interregno repubblicano di Oliver Cromwell (al periodo
successivo al 1660 viene dato il nome di Restaurazione), la vitalità
travolgente del teatro rinascimentale è ormai spenta. L’opera
teatrale di Middleton si dipana tutta fra il 1603 (l’anno di ascesa
al trono di Giacomo I) e il 1624, l’anno di A Game at Chess;
Giacomo muore nel 1625, Middleton nel 1627. La sua opera presenta
tutte le caratteristiche del teatro di quel tempo: non si narrano più
le grandi avventure di tiranni e regnanti, non si pongono più le
grandi domande del teatro di Christopher Marlowe e del primo
Shakespeare; imperano le condanne alla corruzione della Corte, la
satira, la visione di un mondo irredento e appiattito sulle due
dimensioni di una realtà quotidiana non trascendente.
La tragedia del vendicatore
[…] Si è detto che La tragedia del
vendicatore è “un unicum, un burlesco tragico che attinge a vari
generi: la revenge tragedy, la satira, il morality play e l’omelia
medievale, la danza macabra”. La tragedia di vendetta era un genere
codificato, nel teatro elisabettiano-giacomiano: il primo e più noto
esempio è la Spanish Tragedy di Thomas Kyd (1588); ne fa parte
l’Amleto shakespeariano, e il genere si prolunga fino agli anni
Quaranta del Seicento. Inizialmente il vendicatore, che è il
protagonista, gode della simpatia dell’autore, e quindi del
pubblico: anche perché spesso chi ha commesso il delitto che lo
affligge è colui che detiene il potere (dal Re Claudio dell’Amleto
al Duca della Revenger's Tragedy), e il protagonista non può sperare
in un giudizio e una punizione terreni. Nei decenni successivi le
tragedie mostrano come il progetto tragico del vendicatore si
contamini con pulsioni negative; “la vendetta è un piatto che va
servito freddo”, e quindi non ha spazio la passionalità impetuosa
che farebbe perdonare all’uccisore la sua colpa; il suo progetto
assume toni machiavellici. E in Inghilterra la figura di Machiavelli
era interpretata in modo completamente negativo. I personaggi della
Revenger's Tragedy hanno “nomi parlanti”: Vindice il vendicatore,
Castiza la sua casta sorella, e poi i figli del Duca, Lussurioso,
Ambitioso, Supervacuo, Spurio: tutti nomi derivati dal grande
dizionario italiano-inglese di John Florio. Come spesso avveniva
nelle tragedie del periodo, il testo è ambientato in una lussuosa
Corte italiana rinascimentale; lo spostamento in un paese cattolico,
Italia o Spagna, era abituale nel periodo, da un lato per evitare che
la condanna della corruzione e delle macchinazioni della Corte riveli
troppo direttamente il suo bersaglio; dall’altro, si attribuiscono
ai paesi “papisti” colpe che sarebbero aliene dalla presunta
virtù anglicana.
Fin dalla contemplazione del teschio
dell’amata da parte di Vindice (un’evidente eco dell’Amleto),
in tutto il testo la morte perde la sua dignità e la sua stessa
serietà. Imperversano battute farsesche e azioni che potrebbero aver
posto in un film di Tarantino, Greenaway o Jarman; i corpi mortali di
fratelli e fidanzate sono sottoposti a un’ignominia grottesca,
usati come personaggi o addirittura come attrezzi di scena: con la
testa spiccata dal corpo di uno si percuotono i suoi uccisori, con la
bocca coperta di veleno di un altro si procura l’assassinio
dell’omicida. Vindice, lungi dal proseguire nei toni elegiaci con
cui interpella “la cerea figura” del suo amore, “involucro di
morte”, ha da un lato l’autorità tragica di chi piange un lutto,
dall’altro la verve satirica del buffone.
Il tempo frenetico dell’azione lo
vede assumere di volta in volta la maschera del mezzano e del
sicario; la sua caratteristica è il paradosso. Con le maschere che
lo nascondono o lo rivelano, il protagonista gioca, si traveste, le
gode, come in una partita mortale di cui esalta l’ingegnosità che
gli farà conseguire il suo scopo. La rappresentazione finale del
masque – risolutiva come in molte tragedie di vendetta e come nel
‘teatro-nel-teatro’ shakespeariano, precedendo di quattro secoli
quello di Pirandello – si raddoppia parossisticamente, creando un
balletto mortale di assassini potenziali in cui il pubblico non può
non apprezzare da un lato l’abilità machiavellica del
protagonista, dall’altro la ferocia spietata che, non appagata
dall’uccisione dell’antagonista, vuole anche ‘uccidere la sua
anima’. Il teatro della crudeltà, la definizione sacrale che
Artaud applica all’opera di John Ford, è già presente in
Middleton.
*ordinario di Letteratura inglese,
Università di Roma “Tor Vergata”
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