"MOSE' IN EGITTO"
MUSICA DI GIOACHINO ROSSINI
TEATRO COCCIA DI NOVARA
Domenica 18 novembre 2018 ore 16.00 –
Turno B
L’OPERA
ATTO PRIMO - L’Egitto è avvolto in
una fitta tenebra, la nona delle dieci piaghe inflitte da Dio perché
il Faraone si risolva a lasciar libero lo schiavo popolo d’Israele.
Terrorizzati, gli Egiziani invocano il proprio Re affinché faccia
cessare questa sciagura e il Faraone è quindi costretto a far
chiamare Mosè e a promettergli la liberazione del suo popolo purché
torni a splendere la luce. Mosè rivolge quindi una preghiera a Dio
e, non appena scuote il proprio bastone, le tenebre si dissolvono
nello stupore generale.
Il Faraone esorta così gli Ebrei alla
partenza prima del pomeriggio. Tutti giubilano, tranne suo figlio, il
principe Osiride, che, immerso in tristi pensieri, una volta rimasto
solo dà sfogo a tutto il suo dolore: legato segretamente in
matrimonio alla giovane ebrea Elcia, sa che ora la perderà.
Raggiunto dal fido Mambre, mago e consigliere del Faraone, lo esorta
a seminare il seme della discordia fra gli Egizi affinché si
ribellino alla partenza, cosa che questi si impegna a fare, anche
perché odia Mosè e lo ritiene un ciarlatano. Giunge quindi Elcia
per dare l’ultimo saluto all’uomo che ama, e i due si confidano
tutto il loro strazio.
Il piano di Osiride è andato a segno:
la regina Amaltea, allarmata dalla folla che va radunandosi sotto il
palazzo per chiedere la revoca dell’ordine di congedo per gli
Ebrei, invita Mambre a chiamare il Faraone il quale, sobillato dallo
stesso Osiride che insinua una possibile alleanza degli Ebrei coi
Madianiti, nemici dell’Egitto, ritira la parola data, nonostante
gli inviti di Amaltea a mantenervi fede.
Gli Ebrei sono tutti riuniti nella
pianura e, pronti per l’esodo, stanno levando lodi a Dio. É
Osiride in persona a comunicar loro che la partenza è sospesa e che
ogni tentativo di ribellione sarà soffocato nel sangue. A nulla
valgono le rimostranze di Mosè, che ricorda il volere di Dio e la
tremenda punizione che colpirà l’Egitto. All’arrivo del Faraone,
che conferma quanto annunciato dal figlio, Mosè scuote di nuovo il
bastone: subito scoppia un tuono e cade una tempesta di grandine e
pioggia di fuoco, tra lo spavento e lo scompiglio generale.
ATTO SECONDO - A palazzo reale il
Faraone, piegato dall’ultimo flagello, consegna ad Aronne il nuovo
decreto che libera gli Ebrei, imponendo loro la partenza entro l’alba
del nuovo giorno. Allontanatosi Aronne, egli riceve Osiride e gli
comunica che la Principessa d’Armenia accetta di sposarlo; nel
vedere il figlio profondamente turbato, gliene chiede ragione.
Ma questi non riesce a confessargliela.
Intanto Mosè, al cospetto di Amaltea, la ringrazia della sua
intercessione ed ella esprimi i suoi auspici di pace. Uscita la
Regina, Aronne avverte Mosè d’aver visto Osiride allontanarsi con
Elcia; Mosè lo manda ad avvisare Amaltea ed esce.
Osiride ha condotto Elcia in un
sotterraneo per nasconderla e scongiurarne così la partenza; le
svela con sgomento la proposta di nozze ricevuta e il suo progetto di
fuggire con lei: per il loro amore egli è disposto a vivere anche da
semplice pastore purché insieme. Il commosso dialogo fra i due
giovani è interrotto dall’arrivo di Amaltea e Aronne accompagnati
dalle guardie egizie. Dopo un istante di smarrimento generale, a
fronte dei richiami alla ragione sia di Aronne che di Amaltea,
Osiride annuncia la sua intenzione di rinunciare al trono piuttosto
che ad Elcia, ma Elcia tenta di dissuaderlo e Aronne la conduce via
mentre Osiride è trattenuto da Amaltea.
Il Faraone ha convocato di nuovo Mosè
per comunicargli l’ennesimo voltafaccia: il possibile attacco dei
Madianiti e dei Filistei contro l’Egitto, una volta partiti gli
Ebrei, fa sì che egli abbia deciso di revocare l’impegno preso.
Mosè, sdegnato, minaccia la morte di tutti i primogeniti egizi, a
cominciare dal real Principe. Il Faraone ordina quindi alle guardie
di arrestare Mosè, poi convoca l’assemblea dei Grandi del regno e
annuncia loro la decisione di associare Osiride al trono. Mosè,
portato in catene al cospetto dei sovrani, viene sprezzantemente
minacciato da Osiride. Nello stupore generale, si fa avanti Elcia
che, scarmigliata e in affanno, rivela le nozze segrete con Osiride,
poi, rivolgendosi a lui, lo invita a obbedire alla ragion di stato, a
sposare la principessa d’Armenia e a liberare il popolo ebraico
riportando così la pace; per parte sua, a lei non resterà che
espiare il proprio errore lasciandosi morire. Per tutta risposta
Osiride, furente, snuda la spada e si scaglia contro Mosè ma viene
colpito da un fulmine e stramazza morto al suolo, nell’orrore
generale. Il Faraone si getta sul corpo del figlio e sviene mentre
Elcia dà sfogo al proprio dolore.
ATTO TERZO - Dopo aver attraversato il
deserto, gli Ebrei sono giunti alle rive del Mar Rosso e, con timore,
vedono così precluso il loro cammino verso la Terra promessa. Mosè
li invita ad aver fiducia in Dio, s’inginocchia, subito imitato dal
suo popolo, e intona una solenne preghiera. Un fragore d’armi
sempre più vicino terrorizza gli astanti: è l’esercito del
Faraone che sta per raggiungerli. Mosè, allora, tocca il mare con il
suo bastone e le acque si aprono lasciando passare indenne il popolo
d’Israele. Quando il Faraone e Mambre, con le truppe egizie, si
lanciano nel varco per inseguirli, le acque del mare si richiudono di
colpo su di loro sommergendoli per sempre.
Francesco Pasqualetti
È COME GUIDARE UNA FERRARI
SCAGLIETTI...
Scriveva Rossini alla madre nel 1818, a
proposito di Mosè in Egitto, che lui chiamava ‘oratorio’:
«Eccomi a Napoli sano e salvo e appresso all’oratorio che anderà
quanto prima» (2 gennaio); «Sto scrivendo notte e giorno l’oratorio
e ne spero bene» (9 gennaio); «Io scrivo l’oratorio, mi diverto e
cogliono il prossimo» (20 gennaio); «Io ho quasi terminato
l’oratorio e va benone, è di un genere però elevatissimo e non so
se questi mangiamaccheroni lo capiranno, io però scrivo per la mia
gloria e non curo il resto» (13 febbraio);
«L’oratorio mi costa assai fatica
perché di un genere non di molto effetto popolare ma sublime e fatto
per accrescere la mia radicale riputazione» (24 febbraio) e
chiudeva: «Mi scordavo di dirvi che la musica dell’oratorio è
divina e che sto per sposare la Colbran».
Sublime e divino. Sì, e in effetti
Mosè in Egitto è forse il Rossini migliore, è forse il Rossini più
ispirato, è certamente il Rossini di cui egli stesso ci scrive e ci
lascia traccia, quello dove egli concentra le sue più grandi energie
e le sue più grandi aspirazioni.
Oggi, chissà perché, il Rossini
serio, e Mosè in Egitto in particolare, è quasi sparito dai
cartelloni il nome della facilità di ascolto dell’Italiana in
Algeri, del Barbiere di Siviglia, de La Cenerentola… eppure proprio
Mosè in Egitto ci riserva delle sorprese, delle bellezze veramente
straordinarie che è perfino difficile descrivere a parole: vi invito
a lasciarvi stupire da una bellezza che non ci si aspetta. Qui ci
troviamo di fronte a un Rossini che è già romantico prima dei
Romantici, che è all’avanguardia prima delle avanguardie, che
compie scelte in orchestra che nessun compositore oserà per cento
anni. Bisognerà, per esempio, aspettare Bartók per avere un
compositore che chiede ai violinisti di pizzicare così forte la
corda da farla sbattere sulla tastiera e produrre un rumore di legno,
un effetto che Rossini nel 1818 fa suo come elemento espressivo per
sottolineare la morte del figlio del Faraone, e questo è solo un
esempio della costante ricerca che sottende a tutto il Mosè.
Avete presente la sensazione di guidare
un’auto all’avanguardia, come per esempio la mitica Ferrari
Scaglietti degli anni ‘60? Ecco, man mano che andavo avanti, nelle
prove, a dirigere questo Mosè, questa era la sensazione che provavo.
Una sensazione da brivido, perché si sperimenta il confine del
possibile.
Lorenzo Maria Mucci
Note di regia
POPOLI E INDIVIDUI NEL FLUSSO DELLA
STORIA
Non so se l’Esodo fu in effetti la
prima rivoluzione, come pensano molti commentatori. Il Libro
dell’Esodo però (assieme al Libro dei Numeri) con- tiene
certamente la prima descrizione della politica rivoluzionaria.
Michael Walzer, Esodo e rivoluzione
Bisogna ammettere che la coralità di
Mosè in Egitto è veramente qualcosa di rivoluzionario per l’opera
italiana di quel tempo (…).
Paolo Isotta, I diamanti della corona
Nella struttura drammaturgica e
musicale del Mosè in Egitto, per certi versi di incredibile
modernità (ad esempio nell’uso di ellissi narrative che la
avvicina alle odierne sceneggiature cinematografiche), il tema
politico è messo in rilievo dalla forte presenza del coro.
La coralità, intesa come
manifestazione del sentimento collettivo, determina la struttura
drammaturgica dell’opera, segnandone il ritmo e fornendo la cornice
alla vicenda privata della relazione tra Osiride e Elcia.
Coralità che si fa argomento politico
nella contrapposizione tra due popoli, l’uno oppressore, l’altro
schiavo e che aspira alla libertà; l’uno che spinge all’azione
Faraone, l’altro che attende con ferma fiducia un segnale da Mosè.
Penso ad esempio al coro d’apertura
“Ah! chi ne aita?”: gli Egiziani accusano Faraone di essere causa
delle proprie disgrazie e spingono affinché lo stesso Faraone trovi
la soluzione. Pressione che trova soluzione musicale nell’arrestarsi
subitaneo del coro e nella significativa pausa (“dopo qualche
pausa”) che precede il “Venga Mosè” di Faraone.
Penso anche al coro degli Ebrei nel
finale del primo atto (“All’etra, al ciel”) che, insieme ad
Aronne e Amenofi, canta le lodi di un dio patriota, che “I lacci fe
cader / Di rio servaggio” e di cui tutti potranno ammirare
giustizia e pietà. E sembra veramente lo stesso Dio manzoniano che
“nell’onda vermiglia / chiuse il rio che inseguiva Israele”
(Marzo 1821).
É una coralità in qualche modo laica
nonostante la severità oratoriale che trova poi forma agita nella
contrapposizione tra i due leader. Nel pensiero politico occidentale
il racconto biblico dell’Esodo è ancora considerato il paradigma
della rivoluzione, intesa come percorso – anche doloroso – per
arrivare alla terra promessa del cambiamento.
Da una parte dunque Faraone, in balia
di spinte diverse e fin troppo riflessivo, che argomenta e cerca
soluzioni per “ragion di Stato”. Dall’altra un Mosè
integralista che argomenta solo attraverso le minacce. Il rapporto
oppressore/schiavo che lega i due popoli è di natura
economico-politica e non culturale. Gli Egiziani infatti non hanno
mai obbligato gli ebrei a convertirsi ai loro Dèi (v. la lunga
battuta di Osiride nella quinta scena del primo atto) e Faraone si
affanna a spiegare a Mosè le ragioni politiche contrarie alla
partenza degli Ebrei per il mantenimento della stabilità ai confini
del regno (atto II, scena 4).
Nonostante l’argomento biblico, il
tema religioso appare piuttosto sfumato. Quello di Mosè è un Dio
che vuole la libertà per il suo popolo inteso come comunità che
crede in lui e quindi è un Dio pronto ad uccidere ma anche ad
accogliere: al termine del quintetto “Celeste man placata!”
Aronne e Mosè non esitano un solo secondo a fare proselitismo.
É un Dio che, pur presente fin dai
primi tre accordi all’unisono dell’introduzione, si manifesta
solo attraverso segni “naturali”. Le colpe degli oppressori sono
punite attraverso un movimento della natura ‘fuori ritmo’:
tenebre che permangono sostituendosi alla luce; grandine e fulmini
che cadono a ciel sereno; mare che si ritira e poi ritorna. Il tema
religioso trascolora così nella sacralità della Natura e nel
sovvertimento dei ritmi naturali.
C’è poi il tema tutto privato della
relazione tra Osiride e Elcia, di cui alcuni aspetti rischiano di
rimanere sepolti sotto l’ingombrante e generico tema amoroso.
Osiride, pur in una posizione di grande responsabilità politica, si
muove cercando con ogni mezzo di assoggettare il bene comune al suo
interesse privato e appare a tratti invasato al pari di Mosè. Lo
scambio dopo il duetto del primo atto ci mostra un Osiride che non
esita a usare la forza per trattenere Elcia che invece mette il
dovere al di sopra dei suoi desideri:
Os Chi sarà quell’uomo, quel Dio,
Che da me ti può involar? (trattenendola con impeto)
El Deh! Mi lascia…
Os Invan lo speri…
El Ah paventa!
E d’altronde, dopo aver tentato con
complotti e corruzione di ottenere ciò che vuole, morirà non
proprio da eroe nel disperato tentativo di rimuovere con la violenza
l’ostacolo principale al suo desiderio.
La presenza del coro ha il suo
contraltare nella presenza dei recitativi accompagnati. Da una parte
la storia di due popoli, dall’altra le singole storie individuali.
Dipanando scenicamente i recitativi è possibile mettere in luce i
desideri, le aspettative, i timori, le convinzioni, i dubbi dei
personaggi. L’assenza di azione è in realtà solo apparente perché
la parola si fa azione nel costante sforzo di modificare l’altro e
permettendo quindi l’emersione delle peculiarità dei singoli.
Faraone è un sovrano attento ai suoi sudditi e dunque sempre alla
ricerca di una soluzione politica che lo tenga “a galla” (è
proprio il caso di dire) rispetto agli eventi, che siano catastrofi o
tumulti, ma è anche un padre orgoglioso del proprio rampollo.
Osiride non ha alcun rispetto per il bene comune e men che meno per
il suo ruolo che anzi utilizza solo per il suo tornaconto personale.
Amaltea è una sorta di mater misericordiosa nei confronti del genere
umano ed è anche l’unica capace di leggere nell’animo dei suoi
congiunti. Mosè è un uomo di fede, granitico nella sua convinzione
che gli deriva da un rapporto privilegiato con la divinità e che ha
comunque un costo in termini di energia vitale.
Poi c’è Elcia che
non si fa illusioni e che è disposta a sacrificare i propri
sentimenti e desideri per qualcosa di più grande. Ma anche Aronne,
Amenofi e finanche Mambre hanno spazi, seppur piccoli, per dimostrare
tratti del proprio carattere.
Popoli e individui immersi nel flusso
della storia che a volte
accelera, a volte rallenta in un
vortice ma sempre prosegue implacabile la propria strada incurante di
chi accompagna o di chi travolge. Come un fiume lascia detriti
incagliati intorno ai piloni dei ponti, così il flusso della storia
lascia scorie nelle storie e nell’animo degli uomini.
Su questi elementi fondamentale è
stato il contributo di Josè Yaque, artista cubano, nelle cui opere è
possibile rintracciare l’attenzione agli eventi naturali che
spazzano via l’esistente e favoriscono la creazione di nuovi
equilibri, in uno scorrere continuo e costante della storia dei
popoli. Nella ricerca dell’artista è forte l’interesse per i
fenomeni che riguardano la collettività, la visione del fluire della
vita dove il singolo si perde nella molteplicità, nella pluralità
di fatti e passioni.
Per materiali utilizzati e poetica il
segno visivo di Josè Yaque è talvolta intimo e domestico, talvolta
monumentale e potente, al contempo attuale e fuori dal tempo,
legandosi dunque strettamente con l’intenzione del disegno
registico.
ILARIA MARIOTTI
Storica dell’arte e curatrice, è
docente di Storia dell’Arte contemporanea presso l’Accademia di
Belle
Arti di Brera e direttrice del Centro
Attività Espressive Villa Pacchiani a Santa Croce sull’Arno.
JOSÉ YAQUE: LA STORIA E IL DIVENIRE
La forza delle immagini create da Josè
Yaque sta, a mio parere, in due elementi che contraddistinguono la
sua ricerca e la sua produzione: sta, parimenti, nella loro essenza
che senti provenire da lontano, da quel mondo cubano dove l’uomo e
la natura devono convivere fronteggiandosi, dialogando e subendo
l’uno la presenza dell’altro. Dall’altra parte la forza viene
dall’energia del gesto di Yaque che plasma, dirotta, lega e unisce,
scava e porta alla luce, in un’energia unica che, da rivoli
differenti, si riversa poi nel prodotto finale.
L’uomo vive nel mondo in diretto
contatto con le forze della Natura: benigna e materna, ma che può
sfoderare il suo animo più cupo e distruttivo. Di fronte a lei
l’uomo è minuscolo, le sue storie personali possono essere
spazzate via in un attimo, nelle pieghe delle ere geologiche – il
tempo della natura – la vita dell’uomo è un respiro.
La vita è energia e trasformazione:
tutto è connesso in uno sguardo che non si sofferma sugli uomini ma
comprende l’ambiente, non si sofferma sulle storie ma ha a che fare
con la Storia.
Qui il tempo e lo spazio vengono calcolati con
parametri diversi che, in ordine a ampiezza, sono quelli in cui il
destino del singolo sbiadisce e riprende spessore nel confluire nel
percorso dell’umanità intera e in un comune destino, pone in primo
piano la consapevolezza di essere parte di un universo, misterioso,
dominato da imprevedibilità e bizzarria, dove gli sconvolgimenti
della Natura generano caos e, nel loro placarsi, riorganizzano il
mondo in inedite forme di armonia e bellezza. Questi eventi, che sono
la punteggiatura del fiume della Storia, garantiscono il cambiamento,
il Devenir che è condizione essenziale per la prosecuzione
dell’umanità. Materia dell’artista sono i gorghi della storia,
che con il loro caos e irrazionalità diventano materiale poetico:
l’opera è un’immagine metaforica e simbolica, un osservatorio
temporaneo dal quale, nella sua temporanea risoluzione, è possibile
fermarsi per contemplare e analizzare il flusso del cambiamento e del
Divenire.
Realizzate per movimentazione di
materiali, accumuli e sedimentazioni le opere di Yaque, dalle
installazioni alle pitture, fatte con le mani e condizionate dalle
plastiche, conservano una sorta di energia originaria che deriva
dalla consapevolezza di trarre forza dalla terra su cui si poggiano i
piedi e dagli alberi, dal modo in cui essi si protendono verso il
cielo, e dalle acque che la attraversano o sui cui la terra si
affaccia. Non solo lo sguardo dello spettatore è chiamato in causa:
lo spazio dell’installazione diventa lo spazio dell’azione e
dell’interazione dell’opera con lo spettatore i cui sensi, tutti,
sono coinvolti nel processo di avvicinamento e di relazione con
l’opera. Le recenti impressionanti installazioni di Tumba abierta
(opera in progress dal 2009 e che Yaque ha realizzato in formato
monumentale per il Padiglione Cuba alla Biennale di Venezia del 2017
e per la sezione unlimited di Art Basel nel giugno 2018) confermano
la necessità dell’artista di lavorare in chiave installativa e di
inglobare lo spazio. Opere che affrontano il tema del mistero
dell’universo in cui l’uomo vive aldilà della necessità di
comprenderlo analiticamente e scientificamente mettendo al centro la
bellezza della trasformazione.
Il rapporto fisico con i materiali,
necessario per l’artista e per lo spettatore, affonda le sue radici
in un eterogeneo sistema di riferimento culturale di Yaque in cui
trovano posto e dialogano letteratura e filosofie, miti e leggende
della cultura cubana (raccolti, ad esempio, dall’etnologo Samuel
Feijòo) così come il pensiero di Arthur Schopenhauer e di Michel
Foucault, e insieme costituiscono un immaginario complesso dove
l’esperienza empirica si trasfigura in misticismo e viceversa.
Non è la prima volta che Yaque affonda
le mani negli scarti della nostra società organizzandoli, poi, in
immagini ricche di potenza: da Cavidad (2010), una cappella
incorniciata da un arco a sesto acuto riempita da una monumentale
quantità di oggetti di scarto che la trasformano in una sorta di
grande ventre, evocando gli aspetti organici e anatomici
dell’architettura destinata, come il corpo, a deperire.
Nel 2014 Yaque tratta i supporti
espositivi dei dipinti presenti nel Museo Nacional de Bellas Artes,
(La Habana, Cuba) come piloni di ponti attorno ai quali si sono
accumulati detriti (recuperati dalle rive del fiume Almendares),
trasportati da un fiume in piena. Le opere e i loro supporti
arrestano temporaneamente il flusso del divenire del quale anche loro
fanno parte. Il fiume, i detriti sulle sue sponde quale metafora del
mondo dei fenomeni osservabili dall’uomo quali frammenti del reale
è presente fin dal 2008 nella ricerca di Yaque (Horizontes de
succesos, Galería de la facultad de Artes Plásticas, La Habana).
É del 2015 Interior con Huracán
(2015), un vortice che sembrava divorare con forza centripeta quanto
a lui si avvicinava, pronto a inglobare cose e persone.
Suelo Autóctono è il titolo di una
serie di opere (2012 - 2017, realizzato all’Avana, Varsavia,
Detroit e Milano, sempre diverso per via di cosa, nei luoghi diversi,
viene utilizzato e poi buttato o inghiottito dalla terra e poi
riportato alla luce) realizzate come carotaggi monumentali in un
nostro ipotetico passato, dove oggetti sedimentati e compressi
testimoni di attività umane si alternano a strati di terra che
costantemente pare rigenerarli.
A Santa Croce sull’Arno, per la
mostra Alluvione d’Arno (2017) Yaque ha realizzato due diverse
installazioni con i rifiuti: in Devenir brandelli, cordami, zaini,
cinture, borse di plastica si annodavano a qualunque elemento
verticale fosse nelle vicinanze dell’entrata di Villa Pacchiani,
luogo dove si è tenuta la mostra. Depositati lì, pareva, in seguito
all’esondazione del fiume Arno che corre proprio dietro l’argine
che fa da spalla alla Villa.
Bellezza e poesia generate da una furia
distruttiva appena passata.
Alluvione d’Arno era la seconda
installazione realizzata all’interno della Villa costituita da un
paesaggio fatto di scarpe dismesse che occupava una sala intera, la
più grande e decorata: un’immagine che portava con sé l’eco dei
passi dei tanti che hanno percorso le strade del paese e le strade
del mondo migrando in questo luogo da tanti luoghi diversi, in un
fiume di persone del quale anche noi facciamo parte, perennemente
minacciati dall’alluvione della storia (nel nostro essere
collettività), da quello della vita (nel nostro essere individui).
Sempre nel 2017 per El Río y la fabricas – nell’ambito della
mostra CUBA MI AMOR, presso Les Moulins, la ex cartiera di
Boissy-le-Châtel oggi una delle sedi di Galleria Continua – Yaque
ha usato i materiali elettrici appartenenti al sito dismesso
costruendo una sorta di fiume perenne che si snoda nello spazio.
Nel 1912 Pablo Picasso compì un gesto
rivoluzionario attaccando un pezzo di tela cerata con un motivo di
paglia stampata su un dipinto (Nature morte à la chaise cannée,
oggi al Museo Picasso, Parigi): il reale irrompe nella pratica
artistica, in una sequenza di stratificazioni semantiche e di
metafore (la paglia non è vera ma stampata sulla tela cerata). Da
lì, così come dai collage di Braque e ancora di Picasso il reale
entra nel dominio dell’arte, si compie quel processo che porterà
poi, andando ben più lontano e passando da Boccioni e dai futuristi,
da Marcel Duchamp, Kurt Schwitters, Dada, alla pratica di invadere lo
spazio e renderlo percorribile dal corpo dello spettatore e non solo
contemplabile e indagabile attraverso la vista.
I materiali, i più vari, che entrano
nel processo di creazione dell’opera di Yaque non rappresentano,
sono. Essi sono evidenza di loro stessi e reclamano di essere
percorsi non solo con lo sguardo ma in qualche misura agiti. Se non
nell’azione immediata, essi rimandano all’idea di poter essere
afferrati, toccati, in una dimensione esperienziale che non riguarda
tanto il presente quanto una loro vita passata. La rigenerazione
degli oggetti e della materia passa attraverso la memoria di quanto
sono stati e hanno rappresentato per l’uomo, per le società che li
hanno prodotti e utilizzati. La loro rinascita riguarda il modo in
cui il corpo dell’uomo ne ha fatto esperienza perché è attraverso
il corpo che l’uomo fa esperienza del mondo. Questa dimensione è,
all’interno di un movimento in continuo fluire e divenire, un
cortocircuito: le dinamiche di movimento si fanno più complesse: gli
oggetti che furono, nell’opera d’arte cambiano di segno
attraverso uno scarto che li ribalta su loro stessi, pronti a
reimmettersi, anch’essi, nel fiume della storia.
MAURIZIO GIANI
Amministratore Delegato Waste Recycling
- Società Gruppo Herambiente
SCART® IL LATO BELLO E UTILE DEL
RIFIUTO
Tradizione, innovazione e sostenibilità
al servizio della creatività
É un anno importante il 2018.
Esattamente venti anni fa nasceva il progetto SCART, pensato per
integrare e completare la mission di Waste Recycling, oggi società
toscana del Gruppo Herambiente che si occupa del trattamento e dello
smaltimento dei rifiuti industriali. Nel 1998, quando per la prima
volta provammo ad utilizzare i rifiuti raccolti nei nostri impianti
come materia prima per la realizzazione di nuovi oggetti di uso
quotidiano e creazioni artistiche, sentivamo con forza l’esigenza
di lanciare un messaggio concreto sull’importanza del riuso e del
recupero di materia, nobilitando un settore – quello del
trattamento dei rifiuti – che all’epoca era ancora molto
demonizzato e poco conosciuto. Desideravamo avere a disposizione un
linguaggio che fosse il più trasversale possibile e che arrivasse ad
un pubblico molto vasto.
Dal nostro ingresso in Hera nel 2016 si
sono moltiplicate le opportunità e la forza del progetto ha preso
ancora più corpo portandoci a veder realizzate nel 2017 ben cinque
mostre itineranti che hanno toccato le città di Ravenna, Imola,
Modena, Udine e Pisa, ma anche partecipazioni artistiche di rilievo
come l’aver realizzato le scenografie e i costumi per alcune tra le
più importanti opere della tradizione lirica italiana ed europea
come Il Flauto Magico, Cavalleria Rusticana, Il Barbiere di Siviglia
o Tosca andate in scena in Toscana e in Veneto; o ancora la recente
collaborazione con Opera on Ice 2018 svoltosi a Marostica.
Per due edizioni sul palco di XFactor e
per ben cinque edizioni a Lajatico per il Teatro del Silenzio di
Andrea Bocelli, SCART ha realizzato centinaia di costumi e accessori
per gli spettacoli toscani del grande Maestro. Vent’anni di
iniziative ricche e suggestive in contesti di straordinaria capacità
evocativa come l’ultima mostra bolognese realizzata proprio
all’inizio 2018 e che ci ha visto esporre le nostre opere nel ricco
programma della 42^ edizione di Arte Fiera: oltre 13 mila sono stati
i visitatori che in poco più di due settimane hanno ammirato le
nostre creazioni nella splendida cornice di Palazzo Pepoli
Campogrande facente parte della Pinacoteca Nazionale di Bologna.
Con tanta passione, creatività e la
voglia di fare del nostro meglio, SCART è oggi un progetto che si
alimenta di importanti collaborazioni con istituti di ricerca e
formazione come le Accademie di Belle Arti di Firenze e di Bologna,
nonché con artisti e critici di fama internazionale. Una collezione
d’arte di oltre 900 pezzi tra costumi di scena, quadri, sculture,
elementi di arredo, strumenti musicali, abiti e lampade hanno fatto
la storia di questo progetto. Sono passati vent’anni ed è una
sorpresa ed una grande soddisfazione per noi constatare come quella
scelta risulti anche oggi straordinariamente attuale. Nel contesto
dell’Economia Circolare, SCART si inserisce infatti con una grande
forza comunicativa, confermandosi uno strumento di grande valore
etico ed estetico per incentivare comportamenti responsabili in
materia ambientale.
FRANCESCO PASQUALETTI si diploma in
pianoforte e composizione nei conservatori di Lucca e Firenze, e si
perfeziona in direzione d’orchestra alla Royal Academy of Music di
Londra con Sir Colin Davis, all’Accademia Musicale Chigiana di
Siena con Gianluigi Gelmetti e alla Accademia Musicale di Stresa con
Gianandrea Noseda.
Il 2018 lo ha visto impegnato in una
nuova produzione de Il Trovatore per il Teatro Verdi di Trieste, nel
nuovo allestimento di Ugo Nespolo de L’Italiana in Algeri a Pisa e
Rovigo, ne Il barbiere di Siviglia a Lubecca e al Festival Verdi di
Parma e Busseto con Un giorno di Regno.
Il 2017 ha visto il suo debutto
all’Opera di Firenze – Teatro del Maggio Musicale Fiorentino con
una produzione di Madama Butterfly che ha raccolto unanimi ed
entusiasti consensi. É stato invitato per la terza volta in Nuova
Zelanda, dove ha diretto Carmen per la New Zealand Opera in Auckland
e Wellington ed è stato inoltre il direttore de Il Cappello di
Paglia di Firenze di Nino Rota per LTL Opera Studio a Pisa, Lucca e
Livorno con l’Orchestra Giovanile Italiana.
La stagione 2015/2016 ha visto il suo
debutto al Gran Teatro La Fenice di Venezia con La Scala di Seta di
Rossini, quello nella stagione sinfonica dell’Orchestre d’Auvergne
in Francia, al Teatro dell’Opera di Colonia con Così fan tutte, al
Kimmel Center di Philadelphia con Le Nozze di Figaro, all’Accademia
del Maggio Musicale Fiorentino con il Macbeth di Verdi, ed è inoltre
tornato nei Teatri di Pisa e Lucca con Mefistofele e nei Teatri di
Como e Pavia con Così fan tutte per Opera Lombardia.
Tra le sue recenti produzioni
operistiche ricordiamo Il Matrimonio Segreto e Die Zauberfloete per
il Teatro Regio di Torino, La Scala di Seta per il Festival
d’Aix-en-Provence, La Bohème e Madama Butterfly per New Zealand
Opera, Il Barbiere di Siviglia per il Festival di Stresa con
l’Orchestra Giovanile Italiana, L’Italiana in Algeri e La
Traviata per il Circuito Lirico Lombardo, Le Nozze di Figaro e Don
Giovanni a Pisa, L’Elisir d’amore per il Teatro di Sassari, per
il Teatro Lirico di Cagliari e per il RNCM di Manchester. Francesco è
inoltre visiting professor per il repertorio lirico italiano presso
il National Opera Studio di Londra.
è più volte invitato per concerti
sinfonici sul podio dell’orchestra de I Pomeriggi Musicali di
Milano, dell’ORT-Orchestra Regionale Toscana, della BBC
Philharmonic di Manchester, dell’OJM-Orchestre des jeunes de la
Mediterranee (in residence al Festival d’Aix-en-Provence)
dell’Orchestra del Regio di Torino, dell’Orchestra Filarmonica di
Torino, della RNCM Symphony Orchestra di Manchester e de I Virtuosi
del Teatro alla Scala, collaborando con solisti di fama
internazionale come Boris Belkin, Bruno Canino, Francesca Dego e
Marie-Josèphe Jude.
Francesco è stato assistente di
Gianluigi Gelmetti, Gianandrea Noseda, Sir Colin Davis e Trevor
Pinnock al Teatro dell’Opera di Roma, alla Sydney Symphony
Orchestra, all’Opéra de Monte Carlo, allo Stresa Festival e al
Festival d’Aix-en-Provence. Nel 2009 Sir Colin Davis invita
Francesco sul podio della London Symphony Orchestra per un concerto
nell’ambito del LSO Discovery Scheme.
Francesco è stato direttore principale
dell’OGU - Orchestra Giovanile dell’università di Pisa dal 2002
al 2008, e dal 2012 ad oggi è Direttore Artistico e Musicale
dell’Orchestra Archè a Pisa.
Numerosi i premi ed i riconoscimenti
internazionali: l’Accademia Chigiana gli conferisce il “Diploma
d’Onore”, la Royal Academy of Music premia la conclusione dei
suoi studi con l’Henry Wood Prize e con il Gordon Foundation Prize.
Nel 2017, inoltre, il Consiglio dei
Governatori della Royal Academy of Music di Londra elegge Francesco
“Associate of the Royal Academy of Music” (ARAM), un onore
riservato agli ex-allievi dell’Academy che si sono particolarmente
distinti nella professione musicale.
É inoltre laureato con lode in
Filosofia a Pisa, con una tesi sul “De Infinto universo et Mondi”
di Giordano Bruno, relatore Prof. Tommaso Cavallo.
LORENZO MARIA MUCCI, regista e docente
di recitazione, collabora da oltre vent’anni con la Fondazione
Teatro di Pisa, dove in particolare ha seguito a lungo i progetti
formativi. Come insegnante ha collaborato con molto docenti nazionali
e internazionali: Peter Clough (Guildhall School of Music and Drama,
London), Agustì Humet (Institut del teatre, Barcelona), Michel
Azama, Valeria Benedetti Michelangeli (Scuola Naz. di Cinema, Roma),
Massimiliano Farau (Accademia Naz. d’Arte Drammatica, Roma),
Roberto Romei. Ha inoltre tradotto e pubblicato Medea-Black di Michel
Azama (ETS, 2004) e Ancora la tempesta di Enzo Cormann (ETS, 2007).
Sempre per la Fondazione Teatro di Pisa ha diretto numerosi
spettacoli tra cui le prime nazionali di Michel Azama: Croisades
(2002) e Iphigenie ou le péché des dieux (2004).
Da diversi anni è docente di dizione e
recitazione nell'ambito dei laboratori di Opera Studio. É
cofondatore della compagnia Altredestinazioniteatro per la quale ha
scritto e diretto 7900 meli, storia di Sophja e Lev Tolstoj (tour
Fondazione Toscana Spettacolo stagioni 2011/12 e 2012/13) e diretto
Variazioni Frankenstein di Francesco Niccolini.
Ha esordito nella regia lirica al
Teatro Verdi di Pisa, nella stagione 2012/13, con la prima assoluta
di Falcone e Borsellino di Antonio Fortunato; successivamente ha
firmato le regie delle opera da camera Si camminava sull’Arno di
Marco Simoni (anche questa in prima assoluta, Stagione 2013/14) e Il
Convitato di Pietra di Dargomyžskij (Stagione 2014/13); nella
Stagione successiva sono state sue le regie di Simon Boccanegra, Il
Convitato di Pietra di Giovanni Pacini e del dittico di Bruno Coli,
da Poe, The Tell-Tale Heart e The Angel of The Odd (quest’ultimo
selezionato anche per l’Armel Opera Festival); nella stagione
2016/17, sempre per il Teatro Verdi di Pisa, ha curato la regia del
Trittico Hindemith/Puccini (Sancta Susanna, Suor Angelica, Gianni
Schicchi) e de Il Cappello di Paglia di Firenze di Nino Rota,
ottenendo sempre più che positivi giudizi dalla critica e dal
pubblico.
Personaggi e Interpreti
Faraone ALESSANDRO ABIS
Amaltea SILVIA DALLA BENETTA
Osiride RUZIL GATIN
Elcia NATALIA GAVRILAN
Mambre MARCO MUSTARO
Mosè FEDERICO SACCHI
Aronne MATTEO ROMA
Amenofi ILARIA RIBEZZI
Direzione
FRANCESCO PASQUALETTI
Regia
LORENZO MARIA MUCCI
Assistente alla regia
MARIKA PETRIZZELLI
Scene e costumi
JOSÈ YAQUE
con VALENTINA BRESSAN
realizzati da
OFFICINA SCART® DI WASTE RECYCLING -
GRUPPO HERAMBIENTE
Disegno luci
MICHELE DELLA MEA
ORCHESTRA DELLA TOSCANA
CORO ARS LYRICA
Maestro del Coro MARCO BARGAGNA
Nuovo allestimento del TEATRO DI PISA
Coproduzione TEATRO DI PISA, TEATRO
COCCIA DI NOVARA e
FONDAZIONE HAYDN DI BOLZANO,
in collaborazione con OPÉRA THÉÂTRE
DE METZ MÉTROPOLE
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