"CUORE DI CANE"
DAL ROMANZO DI BULGAKOV
REGIA DI GIORGIO SANGATI
PICCOLO TEATRO GRASSI DI MILANO
Dal 22 gennaio al 10 marzo
Cuore di cane, prima produzione del 2019 firmata Piccolo
Teatro di Milano, va in scena al Teatro Grassi di via Rovello, dal 22 gennaio
al 10 marzo. Alla sua seconda regia per il Piccolo - la prima fu Le donne
gelose di Goldoni nel 2015 - Giorgio Sangati si confronta con la potenza della
scrittura di Bulgakov, drammaturgicamente ‘restituita’ da Stefano Massini. In
scena un cast straordinario che, vede Paolo Pierobon nei panni del cane
randagio Pallino e Sandro Lombardi in quelli del Professore. Accanto a loro
Lorenzo Demaria, Giovanni Franzoni, Lucia Marinsalta, Bruna Rossi. Le scene
sono di Marco Rossi e i costumi di Gianluca Sbicca, recentemente premiati con
l’UBU per Freud o l’interpretazione dei sogni.
La trasformazione di Pallino da cane a uomo si traduce nella
sua “disumanizzazione”: sorta di “anti-Arlecchino post sovietico”, preso a
calci, ustionato, reclutato, operato, “rieducato”, registrato e sfruttato,
schiacciato tra l'esperimento positivista del Professore e quello sociale del
nuovo sistema politico, Pallino-Pallinov diventa il grimaldello che scardina le
contraddizioni di un mondo fondato sull’ipocrisia e sull'opportunismo, diventando
pericoloso, distruttivo e devastante, perché portatore di un’animalità/umanità
crudele, irriverente e violenta ma, per contro, naïve e sincera.
La riscrittura di Stefano Massini indaga con particolare
attenzione il funzionamento del linguaggio, il suo potenziale espressivo, il
processo che ne permette l'apprendimento, che forma il pensiero (e che lo
omologa), che permette le relazioni sociali e perfino una consapevolezza
politica.
Uomini e cani
Conversazione con Giorgio Sangati
(dal programma di sala dello spettacolo)
Perché hai scelto di portare in scena Cuore di cane?
La proposta di dirigere uno spettacolo tratto dal romanzo di
Bulgakov è nata dal Piccolo Teatro, da Sergio Escobar e Stefano Massini.
Ricordavo l’impressione profonda che la lettura di quel capolavoro aveva
lasciato su di me e mi sono detto che, tra tanti progetti possibili, era il più
giusto nell’attuale frangente storico, un’occasione da non perdere per proporre al pubblico un autore estremamente
efficace, oggi più che mai.
Come ti sei rapportato con il passaggio dal romanzo alla
scena?
Una delle cose più interessanti del testo originale è la sua
capacità di giocare con i punti di vista dei personaggi, con il concetto di
tempo e con i codici letterari. La versione teatrale di Stefano Massini coglie
e valorizza tutte queste caratteristiche, a partire dal talento di Bulgakov nel
sintetizzare in poche pagine avvenimenti che occupano settimane o viceversa nel
dilatare singoli istanti con effetti da rallenty cinematografico. Ho eliminato
le ambientazioni troppo realistiche, gli esterni e le stanze dell’appartamento
del Professor Preobraženskij, per sostituirli con uno spazio altro,
estremamente funzionale, che fosse un laboratorio ma anche il contenitore
teatrale dentro al quale far accadere le varie fasi dell’esperimento, ossia la
creazione dell’uomo nuovo.
In realtà il Professor Preobraženskij non sta cercando di
creare l’uomo, ma di renderlo eternamente giovane…
Il professore borghese che non ha alcun interesse per
l’umanità, mira semplicemente ad arricchirsi con la ricetta dell’elisir di
giovinezza, incappa in una scoperta non cercata: l’elemento capace di mutare la
bestia in uomo. Riportata al contesto di Bulgakov, all’Unione Sovietica del
1925, quando fu scritta la prima stesura del romanzo, la ricerca “disumana” del
professore è il simbolo di una società distopica che impone le proprie scelte,
a prescindere dagli impulsi, dalle aspirazioni, dalle singole individualità.
Qualunque aspetto spirituale è spazzato via, a vantaggio di un approccio
falsamente scientifico, in realtà viziato dal delirio di onnipotenza e
controllo.
E Bulgakov, secondo te, da che parte sta? È con il
professore o con Pallino?
Bulgakov non salva nessuno. Forse risparmia soltanto il cane
prima dell’esperimento, cioè l’emarginato, il vagabondo, il disperato, il cui
sguardo sul mondo è puro, privo di arroganza, animato dal solo istinto di
sopravvivenza. Bulgakov non assolveva neanche se stesso: pur avendo sempre
condannato le degenerazioni della rivoluzione e la guerra civile, provava un
forte senso di colpa, in quanto intellettuale, per non essersi opposto più
fermamente alle violenze di cui era stato testimone. Spesso, durante le prove,
ho ricordato a Sandro Lombardi e a Paolo Pierobon che il professore e Pallino
umanizzato sono le due facce della stessa medaglia, due emisferi di un unico
cervello che si è scisso. Da quella frattura si è generato un dolore, forse
anche una tragedia, cui si può porre fine soltanto ripristinando la situazione
precedente.
Come hai lavorato con gli attori?
Attori come Paolo Pierobon e Sandro Lombardi, Pallino e il
Professore, lavorano sul corpo e sul linguaggio partendo da punti di vista
quasi opposti. Nel corso dello spettacolo, questi due poli si incontrano e si contaminano,
esattamente come accade ai personaggi. Il mio ruolo è governare
l’incontro-scontro, l’energia di amore-odio che si genera tra Preobraženskij e
Pallino, tra padre e figlio, tra creatore e creatura. Se vorrà, lo spettatore
potrà leggere, al di là del racconto, anche una dimensione più profonda di
quell’intreccio che consiste nello scambio di saperi teatrali, intellettuali ed
emotivi tra i due protagonisti.
Peraltro uno dei due personaggi, per lo meno all’inizio, è
un cane…
Mi sono domandato in che modo un attore potesse impersonare
uno “sguardo animale”. Qualunque cane vede l’umanità e la realtà da un punto di
vista più basso del nostro. Per di più, questo nostro specifico cane è un
randagio morente, praticamente “spiaggiato” sul marciapiede: era fondamentale
che l’attore avesse una percezione marcatamente diversa dagli altri interpreti.
Grazie alla scena di Marco Rossi, abbiamo dato vita a un underground che è
tante cose: gabbia di contenzione, tunnel della metropolitana, mondo “basso”.
Paolo non impersona un cane, ma qualcuno che è trattato come un cane, è
emarginato, inascoltato, controllato, imprigionato. Mi sembra che oggi
abbondino gli esempi di questo atteggiamento verso chi, per qualche motivo, non
reputiamo uguale a noi, non pienamente uomo, perché non parla la nostra lingua,
non la capisce, non vive secondo le nostre convenzioni. In questo modo potevamo
valorizzare una parola chiave del testo: elevazione. Continuamente il
professore dice a Pallino Ti ho elevato. Ma la risposta sarà: Ah mi hai
elevato. E chi te l’ha chiesto?
Per i costumi quale chiave avete scelto?
Non volevamo raccontare un mondo confinato ai soli Anni
Venti della Russia sovietica, ma sottolineare anche le ripercussioni sulle
epoche successive. Gianluca Sbicca ha inventato dei tagli che evocano un 1925
“distopico”, che reca cioè le tracce del secolo che ci separa dal momento in
cui il romanzo è stato scritto.
Anche la luce gioca un suo ruolo drammaturgico.
Per quanto riguarda l’illuminazione, insieme a Claudio De
Pace abbiamo pensato di utilizzare anche molte fonti reali a vista: luce come
ulteriore strumento di osservazione, di contenzione e controllo. Per Bulgakov
la luce elettrica era un’ossessione, in quanto creata dall’“uomo nuovo” in
opposizione alla luce divina.
Linguaggio, denaro e civiltà: il corto circuito di Bulgakov
Conversazione con Stefano Massini
(dal programma di sala dello spettacolo)
Chi e cosa rappresenta Bulgakov per te e per il tuo percorso
di scrittore?
Ho sempre pensato che il percorso di avvicinamento a un
testo sia qualcosa di solo apparentemente fortuito. È come se i libri e gli
autori si cercassero a vicenda. Ebbene, nel 2016 mi fu chiesto di
scrivere la prefazione alla nuova edizione italiana del romanzo Il Maestro e
Margherita. E fu proprio durante quella stesura che, dopo molti anni, incontrai
di nuovo sulla mia strada Cuore di cane, con tutta la sua dirompente vena
caustica, incendiaria e antisistema. Potrei dire che è impossibile comprendere
a fondo il Bulgakov del suo più noto romanzo “mefistofelico” se non si rilegge
con attenzione la parabola lucidissima, spietata, di questo libriccino dalla
trama all’apparenza così infantile. Ebbene, con questo dittico, l’autore ci
racconta qualcosa di toccante: quanto sia terribile avvertire intorno a sé una
deriva politica e sociale, e opporsi a essa con l’arma intrepida (ma ahimè
debole) della propria penna. Avere solo quella. Contare solo su quella, e farlo
con il massimo dell’ostinazione, mentre sotto i tuoi piedi il Titanic sta
colando a picco. La scrittura di Bulgakov è formidabilmente intrisa allo stesso
tempo di un’ironia irresistibile e di una rabbia disperata. È questa
coesistenza di piani a sigillare ai miei occhi il suo magistero.
Qual è stata la difficoltà maggiore che hai incontrato nel
lavoro e quale elemento ti è stato invece di supporto?
In realtà sono abituato a invertire i due elementi, sempre:
ciò che mi crea difficoltà deve diventare il vero punto di partenza del lavoro,
altrimenti non fai altro che assecondare la tua maniera. In questo caso, debbo
dire, le resistenze maggiori le avvertivo proprio nel fatto che il racconto si
adattava perfettamente a tradursi in una classica commedia di dialogo, troppo
classica per interessarmi. Decisi allora di alternare i registri, spezzando il
realismo con inserti dei diari clinici tenuti dal Professore e dal suo
assistente. Questa prospettiva mi permetteva di creare uno strano impasto fra
linguaggi diversi, e di giocare con la cosiddetta quarta parete, cosa che mi
intriga sempre molto perché antinaturalistica. Alla fine mi sono reso conto che
tutto il testo poteva assumere la forma di un trattato anatomo-fisiologico,
condito di osservazioni sociali e comportamentali. Insomma: un vero giornale di
bordo di questo balzano esperimento chirurgico, suo malgrado divenuto una
questione politica.
Il percorso di Pallino verso l’acquisizione di una identità
umana ha nell’apprendimento del linguaggio la chiave di volta.
Penso che il baricentro del testo di Bulgakov sia davvero in
questo laboratorio linguistico: Pallino è un cane, si esprime scodinzolando,
latrando e abbaiando, mentre il professor Preobražénskij trascorre le prime due
scene a pavoneggiarsi in un trionfo di parole. In questa iniziale
contrapposizione abbiamo il ritratto dei due, nella loro abissale distanza che
è innanzitutto nel possesso di quel mistero terribile che Freud attribuiva alle
parole: sintetizzare la pluralità delle cose, verbalizzarne la complessità.
Come sei riuscito a preservare e a valorizzare l’ironia, il
tratto grottesco, la leggerezza dello stile di Bulgakov adattandoli a una
scrittura “contemporanea”?
La peculiarità di Bulgakov sta nella ferocia della sua
lievità. Egli riesce a raggiungere vette di spietata denuncia proprio perché
usa un tono ingenuo, talmente esile da sembrarti candidamente disinteressato.
Basta prendere l’ossatura della trama: questa è in fondo la vicenda di un
cagnolino trasformato per errore in uomo, con lo spiacevole incidente che a
toccargli in sorte è l’ipofisi di un mezzo criminale, da cui l’indole
disgraziata del nuovo essere. Tutto qui. Sembra una storiella da libro
illustrato, un po' come avviene nella Fattoria degli animali di Orwell. Ed è
proprio questa cornice a farti accettare, mimetizzata, la durezza sostanziale
di un atto d’accusa violentissimo, contro tutto e tutti, contro le nostre
idiozie e i nostri finti equilibri, contro le pochezze e le miserie che neppure
ci saltano più agli occhi, tanto fanno parte della giostra sociale. Senza poi
tralasciare che l’essere umano si concepisce da secoli come il padrone del
pianeta terra, in posizione di primato (auto-conferito) su tutti gli altri
animali. Bulgakov sembra chiedersi (e chiederci): quando la finiremo di
chiudere gli occhi sui baratri immondi di questa umanità sovrana, sempre
celebrata e giustificata in nome della sua eccellenza razionale? Siamo davvero
così degni di una corsia preferenziale? Non è che magari un cane (oppure un
cavallo, avrebbe detto Tolstoj…) mantiene più dignità nel suo status animale
senza dover essere per forza promosso al blasone degli uomini? Il tema è
altissimo. Talmente alto che l’unica via per disaminarlo è ricorrere a una
semplicità disarmante, elementare. Portare in scena Bulgakov implica il
rispettarne l’apparente candore.
Giorgio Sangati
Classe 1981, si è diplomato attore alla Scuola di Teatro del
Piccolo di Milano all’epoca diretta da Luca Ronconi e si è laureato in Scienze
della Comunicazione presso l’Università degli Studi di Padova.
Al Piccolo ha lavorato come attore in diverse produzioni
dirette da Luca Ronconi (per tutte, I soldati di Jakob Lenz), Robert Carsen,
Marco Rampoldi, Caterina Simonelli ed è stato parte della compagnia
dell’Arlecchino servitore di due padroni di Goldoni, storica regia di Giorgio
Strehler.
Tra gli altri registi che lo hanno diretto, Gianfranco de
Bosio, Stefano Tomassini e Claudio Longhi.
Al cinema ha recitato in Sanguepazzo di Marco Tullio
Giordana, La prima linea di Renato de Maria e Vallanzasca di Michele Placido.
Dal 2006 si occupa di formazione attoriale, (Accademia del
Teatro Stabile del Veneto, Accademia Teatrale Veneta, Corso di perfezionamento
del Teatro Vachtangov di Mosca), di regia (prosa e lirica) e di drammaturgia. È
stato assistente di Luca Ronconi per La compagnia degli uomini di Edward Bond,
La modestia di Rafael Spregelburd (entrambi del 2011), Celestina di De
Rojas/Garneau e Lehman Trilogy di Stefano Massini (2015), ruolo svolto anche al
fianco di Fausto Russo Alesi per Natale in casa Cupiello di Eduardo. Nel 2009 ha fondato la
compagnia Teatro Bresci, con cui mette in scena testi classici e contemporanei,
ma anche drammaturgie originali. È autore delle drammaturgie Malabrenta, Premio
Off del Teatro Stabile del Veneto (2011); Arbeit, al Teatro Grassi di Milano,
nell’ambito rassegna di nuova drammaturgia Tramedautore (2011); Buco (finalista
al premio nazionale Playfestival 2012) e Massacritica (stagione 2013/14), gli
ultimi due prodotti dallo Stabile del Veneto. Nel 2012 ha messo in scena
presso il Centro Teatrale Santa Cristina diretto da Luca Ronconi, L’inappetenza
di Spregelburd e Commedia dei matti assassini di Giuliano Scabia.
Per il Piccolo Teatro, ha diretto Le donne gelose di Goldoni
(2016); per lo Stabile del Veneto Arlecchino, il servitore di due padroni dal
Servitore di due padroni di Goldoni (2015) e I due gentiluomini di Verona di
Shakespeare (coprodotto con CTB Brescia, stagione 2017/18); per ERT/CTB Brescia
Lettere a Nour di Rachid Benzine (2018). Le sue regie liriche comprendono La
stanza terrena di Antonio Miari per il Teatro Comunale di Belluno (2010),
Rosicca e Morano di Francesco Feo (2016) e Mahagonny Songspiel di Brecht/Weill
(2017) per il Teatro Lirico Sperimentale di Spoleto, Le donne vendicate di
Niccolò Piccinni (2017) e Rinaldo di Händel nella versione napoletana del 1718
(2018), con la direzione musicale di Fabio Luisi, per il Festival della Valle
d’Itria.
Piccolo Teatro Grassi (Via Rovello, 2 – M1 Cordusio), dal 22
gennaio al 10 marzo 2019
Cuore di cane
di Stefano Massini, regia Giorgio Sangati
libera versione teatrale dal libro di Michail Bulgakov
scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca
luci Claudio De Pace, trucco e acconciature Aldo Signoretti
personaggi interpreti
Pallino, la cavia Paolo
Pierobon
Il prof.Filìpp Filìppovič Preobražénskij Sandro
Lombardi
Il dottor Ivàn Arnòl’dovič Bormentàl’, suo braccio destro Giovanni Franzoni
Darj’a Petrovna, cuoca Bruna
Rossi
Zina Prokof’evna, giovane cameriera Lucia Marinsalta
Commissario del Popolo Lorenzo
Demaria
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
coproduzione Compagnia Lombardi Tiezzi
foto di scena Masiar Pasquali
Orari: martedì,
giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30;
domenica, ore 16. Lunedì riposo.
Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro
Informazioni e prenotazioni 0242411889 -
www.piccoloteatro.org
News, trailer, interviste ai protagonisti su
www.piccoloteatro.tv
Gli incontri al Chiostro
In occasione dello spettacolo Cuore di cane, il Piccolo
Teatro organizza un ciclo di incontri per approfondirne i temi: la messa in
scena, la drammaturgia, il lavoro degli attori.
Inoltre si parlerà dell'URSS, dei miti e dell'iconografia ai
tempi di Bulgakov.
Tutti gli incontri si terranno alle ore 17 al Chiostro Nina Vinchi (via Rovello 2).
Ingresso gratuito con prenotazione su www.piccoloteatro.org
giovedì 24 gennaio
Incontro con Giorgio Sangati
martedì 29 gennaio
Incontro con Stefano Massini, introduce Damiano Rebecchini
venerdì 8 febbraio
‘Miti e iconografia sovietica negli anni di Bulgakov’
con Gian Piero Piretto
venerdì 15 febbraio
Incontro con la compagnia
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