TEATRO COCCIA DI NOVARA
"I MISERABILI"
DI VICTOR HUGO
ADATTAMENTO TEATRALE DI LUCA DONINELLI
Domenica 3 marzo 2019 ore 16.00 –
Turno B
“I Miserabili” di Victor Hugo,
spettacolo che andrà in scena nell’adattamento di Luca Doninelli,
per la regia di Franco Però, con Franco Branciaroli nel ruolo di
Jean Valjean e con un eccellente cast d’interpreti è il nuovo
imponente progetto di produzione del Teatro Stabile del Friuli
Venezia Giulia, il CTB- Centro Teatrale Bresciano e il Teatro de gli
Incamminati.
In scena, assieme a Franco Branciaroli
un assieme di ottimi attori (spesso impegnati in più ruoli):
Alessandro Albertin, Silvia Altrui, Filippo Borghi, Federica De
Benedittis, Emanuele Fortunati, Ester Galazzi, Andrea Germani,
Riccardo Maranzana, Francesco Migliaccio, Jacopo Morra, Maria Grazia
Plos, Valentina Violo.
Ma il debutto nazionale de “I
Miserabili” è già prossimo: va in scena infatti il 25 aprile a
Napoli, al Teatro Mercadante, dall’8 maggio è in programma a
Brescia, ed è a tutti gli effetti un inedito molto atteso nel
panorama del teatro italiano.
Tutti – i creatori e gli attori –
affrontano questo progetto con grande emozione: portare “I
Miserabili” su un placoscenico è infatti un’impresa sicuramente
temeraria, e si trema davanti a «millecinquecento pagine – ha
sottolineato Luca Doninelli, che ha accettato la sfida
dell’adattamento – che appartengono non solo alla storia della
letteratura, ma del genere umano, come l’Odissea, la Divina
Commedia, il Don Chisciotte o Guerra e Pace».
L’idea nasce da Franco Però:
«Un’importante induzione verso questa scelta – spiega – viene
dal momento che stiamo vivendo nelle società occidentali, dove si
assiste all’inesorabile ampliarsi della forbice fra i “molto
ricchi” e i “molto poveri”, fra chi è inserito nella società
e chi invece ne è ai margini. Dopo anni in cui, allo Stabile,
attraverso la drammaturgia, abbiamo indagato il microcosmo della
famiglia (“Scandalo” di Schnitzler, “Play Strindberg” di
Dürrenmatt), apriamo ora lo sguardo al macrocosmo della società.
C’è un’altra considerazione: il
pubblico, a teatro, sembra sempre più attratto da operazioni legate
alla narrativa. La narrativa sulla scena è un medium che permette
anche di attrarre fasce non abituate a frequentare le platee,
trattando argomenti dal valore universale… Naturale dunque guardare
ai grandi romanzi. Poi subentrano le passioni, le vicinanze culturali
che ognuno possiede.
Io ho sempre frequentato soprattutto la
letteratura francese (ha diretto più edizioni de “Lo Straniero”
di Camus, tratto da uno dei più grandi romanzi del secondo
Novecento), accanto a quella mitteleuropea: da qui “I Miserabili”,
che – concordo con il recente parere di un critico francese – è
forse il romanzo più famoso che esista in occidente, ma che
pochissimi hanno letto per intero, tanto è imponente».
È però anche un’opera capace come
rare di parlare al nostro tempo: «Non c’è stata una giornata
delle prove – evidenzia il regista – in cui per sistemare una
battuta, per cercare una parola non ci si sia imbattuti in concetti
universali, pensieri che toccano il mondo di oggi, la nostra società,
il pensiero francese di questi momenti… Un giorno mi suonava strana
la battuta di uno dei giovani rivoluzionari e ho riguardato il
romanzo, certo che ci fosse stato qualche aggiustamento
drammaturgico: sembrava scritta nel ’68. Invece Luca Doninelli
aveva preso esattamente la frase di Hugo, che continua a stupirci e
impressionarci per queste sue assonanze con l’attualità, per la
capacità di affrontare temi diversissimi, di mettere assieme momenti
alti e momenti bassi (questa è un’altra sua grandezza)».
«“I Miserabili” – conclude – è
veramente un fiume in piena di cui noi restituiremo un’onda o poco
più» concordando con Doninelli che fin dall’inizio ha
sottolineato come ogni capitolo, ogni parte, ogni quadro, ogni scena
dell’immenso romanzo meriterebbe uno spettacolo a sé. Non potendo
fare questo, in ogni caso si dovrà costruire uno spettacolo che, nel
proprio ventre, possa contenere in qualche modo anche ciò che non si
riuscirà a raccontare.
Ma la storia di Jean Valjean, di
Fantine, Cosette, Javert, dei Thénardier, di Gavroche, Eponine, di
Marius e di tutti gli altri studenti rivoltosi, deve essere
ripercorsa e, possibilmente, per intero, individuando la metonimia
giusta per restituire il significato, il colore e l’emozione di
questa sterminata “sinfonia”.
Importante e appassionato sarà in ciò
l’apporto degli interpreti che daranno vita a questi immensi
personaggi, a partire dal Jean Valjean di Franco Branciaroli che per
la prima volta – dopo uno spettacolo interpretato assieme a inizio
carriera, il “Gesù” di Dreyer per la regia di Aldo Trionfo –
lavora con Franco Però.
«Ogni personaggio – osserva Però –
è quasi protagonista di un proprio romanzo all’interno de “I
Miserabili”, ogni attore ha un ruolo fondamentale: mi è sembrato
giusto partire dagli otto attori della Compagnia dello Stabile del
Friuli Venezia Giulia, strumento prezioso del nostro Teatro, poi ho
integrato il cast con alcuni altri attori tutti di qualità… e poi
esiste Jean Valjean. Un personaggio “monstre” che aveva bisogno
di un attore altrettanto “monstre”: Franco Branciaroli. Diverse
ragioni mi hanno indirizzato a lui, oltre al piacere di “incontrarlo”
finalmente sulla scena: certo mi ha favorito sapere che aveva già
collaborato con lo Stabile in un bellissimo “Galileo”, poi mi
hanno colpito alcune sue dimostrazioni di generosità nel recente
passato, e naturalmente ho ammirato la sua carriera, i lavori con
Ronconi… Ho messo in rapporto la sua bravura, la sua generosità e
la sua capacità di essere “fuori dalle regole”, fuori dagli
schemi… com’è Jean Valjean che è tutto: un santo e anche un
vero galeotto. E poi avviene l’incontro e speri che le cose vadano
bene. E sta andando bene: sono colpito dall’atteggiamento di Franco
Branciaroli, (che devo ringraziare anche per l’incontro con
Doninelli, scrittore che ha accettato la sfida dell’adattamento
teatrale del romanzo), sono colpito dalla sua disponibilità,
l’impegno, il pudore e la sensibilità con cui propone e
suggerisce… Branciaroli è un grande “strumento”, la
quintessenza dello strumento, uno dei rari attori che si mette
completamente a disposizione del lavoro».
Un lavoro che l’attore definisce un
percorso avventuroso quello sul romanzo di Hugo e sul “suo” Jean
Valjean: «Uno strano santo – dice Franco Branciaroli del suo
personaggio – una figura angelico-faustiana. Il ritratto di
un’umanità che forse deve ancora venire».
La scenografia firmata da Domenico
Franchi – un artista di grande esperienza e scuola, che è
scenografo e pittore – ha saputo coniugare una necessaria
astrazione, alla concretezza della materia.
È dominata da tre elementi che
sembrano una rivisitazione degli antichi periaktoi, che si muoveranno
sempre, offrendo la possibilità di continui mutamenti di scena e di
sfondo. E si è intuito poi, che rimanderanno all’immagine di libri
di cui gli attori apriranno e muoveranno pagine diverse,
attraversando il grande romanzo di Hugo ed il suo mondo, basso e
alto, tragico e mutevole.
Di seguito la distribuzione dei ruoli.
Franco Branciaroli (Jean Valjean),
Alessandro Albertin (Vescovo Myriel/Gillesnormand), Silvia Altrui
(Cosette bambina/Gavroche), Filippo Borghi (Marius), Federica De
Benedittis (Cosette adulta), Emanuele Fortunati
(Courfeyrac/Montparnasse), Ester Galazzi (Fantine/Baptistine), Andrea
Germani (Enjolras/Gueleumer), Riccardo Maranzana (Thenardier),
Francesco Migliaccio (Javert), Jacopo Morra (Combeferre/Babet), Maria
Grazia Plos (Madame Thenardier/ Magloire), Valentina Violo (Eponine).
Conversazione con Franco Però regista
de “I Miserabili”
a cura di Ilaria Lucari
Accostarsi ai “I Miserabili” di
Victor Hugo ha rappresentato per tutti voi, attori e creatori,
un’impresa emozionante e anche “temeraria”, come l’ha
definita Luca Doninelli accettando la sfida dell’adattamento di
questo capolavoro…
«Ma molte sono anche le ragioni che ci
hanno spinto verso quest’impresa: un’importante induzione verso
questa scelta, viene proprio dal momento che stiamo vivendo nelle
nostre società, dove si assiste all’inesorabile ampliarsi della
forbice fra i “molto ricchi” e i “molto poveri”, fra chi è
inserito nella società e chi invece ne è ai margini. Dopo anni in
cui, allo Stabile, attraverso la drammaturgia, abbiamo indagato il
microcosmo della famiglia (“Scandalo” di Schnitzler, “Play
Strindberg” di Dürrenmatt), apriamo ora lo sguardo al macrocosmo
della società.
C’è poi un’altra considerazione:
il pubblico, a teatro, sembra sempre più attratto da operazioni
legate alla narrativa. La narrativa sulla scena è un medium che
permette di attrarre anche fasce non abituate a frequentare le
platee, trattando argomenti dal valore universale… Naturale dunque
guardare ai grandi romanzi. Poi subentrano le passioni, le vicinanze
culturali che ognuno possiede.
Accanto a quella mitteleuropea, ho
sempre frequentato soprattutto la letteratura francese (ho diretto,
fra tutti, più edizioni de “Lo Straniero” di Camus, tratto da
uno dei più grandi romanzi del secondo Novecento, che ha formato una
generazione sul tema dello spaesamento e della pena di morte.
Ne “I Miserabili” possiamo vedere
la storia della redenzione di un galeotto, il rapporto con il sacro,
la Storia, l’amore, la ribellione, l’ingiustizia sociale…
Concordo con il recente parere di un critico francese che ha scritto
che si tratta forse del romanzo più famoso che esista in occidente,
ma che pochissimi hanno letto per intero, tanto è imponente. “I
Miserabili” è veramente un fiume in piena: devi gettarti dentro e
lasciarti trasportare».
È anche un’opera capace come rare di
parlare al nostro tempo…
«Non c’è stata una giornata delle
prove in cui per sistemare una battuta, per cercare una parola, non
ci si sia imbattuti in concetti universali, pensieri che toccano il
mondo di oggi, la nostra società, il pensiero francese di questi
momenti… Un giorno mi suonava strana la battuta di uno dei giovani
rivoluzionari e ho riguardato il romanzo, certo che ci fosse stato
qualche aggiustamento drammaturgico: sembrava scritta nel ’68.
Invece Luca Doninelli aveva preso esattamente la frase di Victor
Hugo, che continua a stupirci e impressionarci per queste sue
assonanze con l’attualità, per la capacità di affrontare temi
diversissimi, di mettere assieme momenti alti e momenti bassi…
questa è un’altra sua grandezza»
In questo grande affresco, ogni
personaggio, ogni storia ha rilievo, respiro, chiaroscuri da
tratteggiare: accanto a Franco Branciaroli, ha raccolto attori
diversi per formazione e provenienza, ma tutti di notevole talento…
«Ogni personaggio è protagonista di
un proprio romanzo all’interno de “I Miserabili”, ogni attore
ha un ruolo fondamentale: mi è sembrato giusto partire dagli otto
attori che compongono la Compagnia dello Stabile del Friuli Venezia
Giulia, poi ho integrato il cast con alcuni altri attori tutti di
grande qualità… e poi esiste Jean Valjean. Un personaggio
“monstre” che aveva bisogno di un attore altrettanto “monstre”:
Franco Branciaroli. Diverse ragioni mi hanno indirizzato a lui: mi ha
favorito sapere che aveva già collaborato con lo Stabile in un
affascinante “Galileo”, mi hanno colpito alcune sue “follie”
sceniche, come “Dipartita finale” che ho voluto nella scorsa
stagione, e naturalmente ho ammirato la sua carriera, i lavori con
Ronconi… C’è inoltre il piacere di “incontrarlo” finalmente
sulla scena: mi era capitato soltanto in una singolare occasione di
inizio carriera. Il primo spettacolo che affrontai fuori Trieste, da
giovane e inespertissimo attore, fu infatti il “Gesù” di Carl
Theodor Dreyer prodotto dallo Stabile di Torino per la regia di Aldo
Trionfo.
Eravamo un grande gruppo, tutti nel
ruolo dei “fraticelli”: attorno a me, Nanni Garella, Saverio
Marconi… e Franco Branciaroli era naturalmente Gesù. Poi ci siamo
incrociati spesso, salutati, ma stranamente mai “trovati” sullo
stesso palcoscenico.
Ho messo in rapporto tutto ciò, la sua
bravura, la sua generosità e la sua capacità di essere “fuori
dalle regole”, fuori dagli schemi… com’è Jean Valjean, che è
tutto: un santo e anche un vero galeotto. E l’incontro è avvenuto,
ed è stato molto bello. Sono rimasto colpito dall’atteggiamento di
Franco Branciaroli (che devo ringraziare anche per l’incontro con
Luca Doninelli), dalla sua disponibilità, l’impegno, il pudore e
la sensibilità con cui propone e suggerisce… Branciaroli è un
grande “strumento”, la quintessenza dello strumento, uno dei rari
attori che si mette completamente a disposizione del lavoro».
Come ha concepito, assieme ai suoi
collaboratori, una dimensione iconografica in grado di restituire
soluzioni per le tante ambientazioni previste dal romanzo?
«Ambisco sempre a creare un’armonia
fra i diversi linguaggi che si fondono nello spettacolo e trovarla
per “I Miserabili” era fondamentale: da un lato ho collaborato
con professionisti con cui ho un rapporto di fiducia da lungo tempo,
come Andrea Viotti per i costumi e Antonio Di Pofi, per le musiche.
Dall’altra parte ho invece cercato di svincolarmi dal passato,
cercando qualcuno che mi “provocasse” con nuove idee. Domenico
Franchi – un artista di grande esperienza e scuola, che è
scenografo e pittore – ha risposto appieno a questa mia esigenza e
nella scenografia ha saputo coniugare una necessaria astrazione, alla
concretezza materica. La scena è dominata da tre elementi che
sembrano una rivisitazione degli antichi periaktoi: si muoveranno
sempre, offrendo la possibilità di continui mutamenti di scena e di
sfondo e questo non certo seguendo l’idea di definire
realisticamente tutti gli infiniti spazi in cui si svolge l’azione.
Anzi, tali elementi mobili, dialogheranno contemporaneamente con le
esigenze fisiche dello spettacolo e con l’immaginazione degli
spettatori, rimandando a immagini diverse, magari anche a quella di
libri, di cui gli attori stessi apriranno e muoveranno pagine
diverse, attraversando il grande romanzo di Hugo ed il suo mondo,
basso e alto, tragico e mutevole.
Nel contempo desideravo che i costumi
raccontassero invece precisamente l’epoca in cui è stato scritto
il romanzo, creando così un cortocircuito in grado d’evidenziare
ancor più la forza narrativa e la validità con cui i suoi temi
possano ancora percorrere la nostra società. Andrea Viotti ha
lavorato molto su questa indicazione, partendo da illustrazioni
francesi d’epoca, base di una ricostruzione e reinvenzione dei
costumi dalla splendida forza evocativa.
In qualche modo, sulla stessa linea
abbiamo ricercato con Antonio Di Pofi per le musiche che possiedono
due colori, da una parte momenti più popolari e dall’altra
potremmo dire più trascinanti, essenziali per la creazione di
atmosfere capaci di condurci attraverso una storia che attraversa
anni ed intere esistenze. Altrettanto importante infine l’apporto
delle luci di Cesare Agoni, che ho conosciuto proprio in occasione
dei Miserabili: il suo intervento è stato molto raffinato, per la
sottile capacità di incidere nelle scene, nei movimenti e nei volti
dei personaggi».
NOTA di Luca Doninelli
«Quella di portare “I Miserabili”
sulle tavole di un teatro di prosa - scrive Luca Doninelli, che cura
l’adattamento del romanzo per lo spettacolo diretto da Franco Però
e interpretato da Franco Branciaroli – è un’impresa sicuramente
temeraria, una sfida per chiunque sia disposto a sopportare un grande
insuccesso piuttosto che un successo mediocre.
Millecinquecento pagine che
appartengono alla storia non solo della letteratura, ma del genere
umano. Come l’Odissea, come la Commedia, il Chisciotte o Guerra e
Pace.
Le ragioni per cui era impossibile non
accettare questa sfida sono tante. La prima è quello strano miracolo
che rende un’opera come “I Miserabili” capace di parlare a ogni
epoca come se di quell’epoca fosse il prodotto, l’espressione
diretta.
I miserabili sono ciò che sta oltre il
terzo e il quarto stato, e rappresentano l’umano nella sua nudità:
spogliato non solo dei suoi beni terreni, ma anche dei suoi valori,
da quelli etici fino alla pura e semplice dignità che ci è data
dall’essere uomini.
Ma un miserabile – un galeotto, uno
che vive nei sotterranei più impenetrabili della società
– non è quasi più un uomo. E il
nostro presente è pieno di uomini così: i poveri, coloro che non
hanno niente, che non possono contare sul futuro, che non hanno
scorte da consumare e possono sperare solo nella piccola fortuna che
potrà garantire loro un altro giorno, un’altra ora.
In questa terra di nessuno, buoni e
cattivi si mescolano, non ci sono valori che li possano distinguere:
solo fatti, casi, eventi.
Come quello in cui s’imbatte il
forzato Jean Valjean, la cui vita viene segnata come da un marchio a
fuoco dall’incontro con una insperata, inimmaginabile bontà, da
un’impossibile clemenza. Lui non è migliore del viscido
Thénardier, e nemmeno dell’impenetrabile Javert, ma un segno di
diversità è stato posto in lui, e con quello dovrà compiere la sua
traversata della vita che gli resta.
Chi, elaborando la drammaturgia di
un’opera come questa, desideri usare quasi solo parole di Victor
Hugo non può evitare alcuni problemi capitali:
- l’indole silenziosa dei personaggi
principali;
- il fatto che ogni personaggio sia
protagonista di un suo romanzo, e che questi romanzi non appartengono
necessariamente allo stesso genere (per es. quello di Jean Valjean è
un romanzo di iniziazione, quello di Javert è una pura tragedia,
senza alcuna iniziazione possibile);
- il fatto che molte delle scene più
geniali risultino refrattarie a qualsiasi rappresentazione scenica.
Forse trent’anni fa, quando “I
Miserabili” erano un testo conosciuto, almeno per sommi capi, da
tutti, sarebbe stato sufficiente ridurre l’azione a pochi elementi
lasciando sullo sfondo il resto.
Oggi questo non è più possibile, e la
storia di Jean Valjean, di Fantine, Cosette, Javert, dei Thénardier,
di Marius, Gavroche, Eponine e di tutti gli altri deve essere
raccontata da capo e, possibilmente, per intero. Del resto, solo la
forza della narrazione può abbracciare i diversi registri che
attraversano questa sterminata sinfonia.
Qui sta il rischio principale, che
intendiamo affrontare: individuare l’algoritmo, o meglio la
metonimia giusta, scegliere la parte che meglio potrà rappresentare
il tutto, in sostanza:costruire uno spettacolo su un testo che non
potrà superare le settanta, ottanta pagine, ma che dovrà
comprendere – e non implicitamente – anche le altre
millequattrocento.
Ogni capitolo, ogni parte, ogni quadro,
ogni scena dell’immenso romanzo (pensiamo alla meravigliosa
descrizione della battaglia di Waterloo, o alla scena della nave
Orion) in realtà meriterebbe uno spettacolo a sé. Se questo non si
può fare, si dovrà in ogni caso costruire uno spettacolo che, nel
proprio ventre, possa contenere in qualche modo anche ciò che non si
riuscirà a raccontare.
Infine, la sfida era inevitabile anche
per un’altra ragione, e cioè che, tra le altre cose, questo
capolavoro è anche una metafora del Teatro, e quindi l’attore,
rappresentando “I Miserabili”, rappresenta anche sé stesso e la
propria arte. Come la società descritta a metà del romanzo (parole
che noi trasferiremo nel prologo iniziale), anche il Teatro è
stratificato, e conosce doppi e tripli fondi, secondo un gioco
necessario che per qualcuno è incanto, o magia, e per qualcun altro
è Fato. Pensiamo solo al moto di paura che ci prende quando,
all’improvviso, i fondali aprendosi lasciano intravedere la nuda
struttura del teatro, ed è come se il velo del mondo si squarciasse
e noi per un istante vedessimo il fondo della realtà, la sua
struttura originaria, il suo meccanismo, divino o insensato che sia»
Con Franco Branciaroli
e con (in o.a.) Alessandro Albertin,
Silvia Altrui, Filippo Borghi, Romina Colbasso, Emanuele Fortunati,
Ester Galazzi, Andrea Germani, Riccardo Maranzana, Francesco
Migliaccio, Jacopo Morra,
Maria Grazia Plos, Valentina Violo
Regia di Franco Però
Scene Domenico Franchi - Costumi Andrea
Viotti
Luci Cesare Agoni - Musiche Antonio Di
Pofi
Produzione Teatro Stabile del Friuli
Venezia Giulia,
Ctb Centro Teatrale Bresciano e Teatro
de gli Incamminati
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