DUE DEBUTTI AL TEATRO
ELFO PUCCINI DI MILANO
"LEAR SCHIAVO D'AMORE"
SALA FASSBINDER
"EDUCARSI ALLA LIBERTÀ"
SALA SHAKESPEARE
Amore è la richiesta generale della
specie alla specie; anzi azzardosi supponiamo che alla sentimentalità
vada la tensione precipua della materia universa (fisica docet).
Quindi: “Lear schiavo d’amore”,
perché siamo/stiamo tutti proni davanti agli allettamenti del cuore,
i quali sempre cerchiamo di fiutare a cannella; indiscutibilmente.
Ciò è pacifico e ciò giustifica in pieno anche il titolo
deliberatamente fotoromantico di quest’ultimo spettacolo dei
Marcido.
La poesia di Shakespeare, questo è
palese, gode di un’estrema permeabilità, il suo bilanciatissimo
gioco linguistico permette che la si possa agevolmente abitare senza
temere catastrofi semantiche; c’è nella sua trama un invito alla
“ricreazione” assai difficile da eludere; ed infatti non ci si è
potuti semplicemente limitare ad una “traduzione” del Lear,
l’abbiamo “dovuto”
bensì riscrivere in rapporto obbligato,
direi quasi sotto dettatura della mano dispotica che la nostra idea
di Teatro impone alle variabili iconiche e drammaturgiche che
andranno a comporre la realtà ultima della messa in scena.
Marco Isidori
Grande metafora scenica degli inciampi
ineludibili della vecchiezza umana, grande storia familiare, grande
Teatro delle limitazioni intrinseche relative comunque alla sordità
naturale della nostra condizione di viventi; tutto ciò è la
tragedia del Lear.
Lear, schiavo d’amore respira
all'interno di una spazialità scenografica assai particolare, le cui
contraddittorie caratteristiche strutturali (potremmo descriverne
l’immagine come quella di un Sottomarino/Volante) sono esaltate e
potenziate da un impegno drammaturgico che ha saputo privilegiare
soprattutto la dimensione epica del racconto del Bardo. Le situazioni
dello sviluppo storico vengono accompagnate in sequenza,
sottolineandole e contrappuntandone le fasi climatiche, da una serie
di trasformazioni di tutto il panorama scenografico, stupefacenti per
effetto visivo, ma, quel che più conta, per l'estrema aderenza della
loro misura iconica alle intenzioni/intuizioni generali della regia.
Oggi, scegliere Shakespeare in qualità
di autore, eleggerlo a depositario nonché garante di una sensibilità
che contenga e rappresenti il nostro presente, significa saperne
restituire l'infinita complessità dei nodi tragici (non
dimenticando, però, i supremi momenti del grottesco), con la
semplicità lineare propria di un processo di “sottrazione”, la
quale, sfrondando anche spietatamente i rami pleonastici del plot,
possa restituire allo spettatore moderno, quel ritmo essenziale,
fisiologicamente/magicamente affine al lavorìo cardiaco, quella
musicalità interna alla misura del verso shakespeariano, bagaglio
indispensabile perché la messa in scena di uno dei capolavori
indiscussi del poeta inglese, abbia adesso, per noi, oggi, un valido
motivo per inverarsi quale compiuto e necessario fatto teatrale.
I Marcido tengono molto a conferire
alle imprese spettacolari che li hanno appassionati, non soltanto un
forte marchio di bellezza figurale, ma durante i loro trent'anni di
attività professionale, hanno potuto constatare come nessuna
verticalità estetica da sola, possa giustificare in toto l'azione
drammatica contemporanea; occorre prevedere, immettendolo nel piano
di qualsivoglia tentativo di rappresentazione, il dispiegamento
calcolato, determinato, quasi programmatico, di una precisa istanza
etica: nel corso dell'imbastitura della pièce, seguendo uno dei
precetti brechtiani a noi più cari, siamo stati trascinati, guidati
dalla potente eloquenza del dettato poetico che avevamo tra le mani,
verso un compimento del lavoro scenico, che proprio nella risposta a
domande sulla necessità urgente di una “nuova alleanza” (ci
sentiamo di definir tale ciò che per Brecht era l'empito
rivoluzionario) tra i soggetti umani, ha trovato la sua miglior
cadenza/sapienza teatrale; d'altro non eravamo alla ricerca.
«Questa volta, imbarcatosi su un
sottomarino volante, il comandante Marco Isidori viaggia verso
Shakespeare con la fedele ciurma dei Marcido Marcidorjs e Famosa
Mimosa. Naviga inaspettatamente verso l’immenso monumento del Re
Lear, ma poiché Isidori è Isidori e non un qualunque
quaquaraquà, non gli basta apporvi le mani in segno di conquista,
neanche un po’. Vuole invece affondarvi tutto il braccio, per
sentirne la materia e plasmarla. A propria immagine? Quasi.
Il risultato è magnifico. La chiave
è tutta qui, nell’amore dato, preteso, negato e rubato. E ha
ragione Isidori nel mostrarne il potere schiavizzante. In termini
teatrali lo fa ricorrendo alla polifonia, alla commistione di toni e
di generi, mescolando dramma e buffoneria, parodia e sfottò. Ma il
suo lavoro risulterebbe per lo meno dimezzato senza l’apporto
scenografico di Daniela Dal Cin.
Che qui, con il suo candido sottomarino
volante, ha creato un capolavoro. Forse mai come adesso ha saputo
fornire un habitat teatrale capace di diventare esso stesso
personaggio. Con i suoi torrioni, i boccaporti, i pertugi, le
passerelle, gli sfiatatoi ha montato una macchina mutevole e
necessaria. Tutti questi elementi sommati fra loro danno la
temperatura di uno spettacolo felice a cui hanno messo mano anche gli
impavidi e concentratissimi Maria Luisa Abate, Paolo Oricco, Batty La
Val, Francesca Rolli, Vittorio Berger, Eduardo Botto, Nevano Vujic, i
quali, a fine rito, hanno strappato fragorosi applausi al folto
pubblico di giovani e giovanissimi».
Osvaldo Guerrieri, La Stampa
Elfo Puccini, sala Fassbinder – da
martedì a sabato ore 21.00/domenica ore 16.30 – Info e
prenotazione: tel. 02.0066.0606 – Prezzi: Intero € 32.50, online
€ 16.50, Martedì € 21,50 – www.elfo.org
14 / 17 maggio, ELFO PUCCINI, sala
Shakespeare
14 maggio L’infanzia ad alta
sicurezza
15 maggio Sangue
16-17 maggio Benedetta
Si viene presi da un turbamento
fulmineo. Le convinzioni maturate sulla base di fatti durissimi, non
di ideologie, si increspano… Che cosa pensare davanti a queste
parole che fluiscono a metà tra la scimitarra e la poesia? Che cosa
pensare della figlia di un boss tra i più celebri che centellina con
voce gentile le note dell’inno nazionale? Sembra un miracolo. Si è
costretti a farsi delle domande.
Nando Dalla Chiesa
Il Teatro Elfo Puccini dal 14 al 17
maggio dedica una personale a Mimmo Sorrentino e alle detenute del
reparto di Alta Sicurezza della Casa di Reclusione di Vigevano,
protagoniste del progetto Educarsi alla libertà che ha ricevuto
l’Alto Patrocinio del Ministero di Giustizia.
Premio Enriquez per il Teatro civile
(2009) e Premio ANCT–Teatri delle diversità (2014), Sorrentino è
regista, drammaturgo e teorico del teatro partecipato, abituato a
lavorare nei luoghi del disagio sociale, e non solo, con gli
strumenti dell’antropologia.
Il gruppo è diventato famoso negli
ultimi due anni e attrae ormai i pubblici più sensibili nei teatri
cittadini e nelle aule magne delle università, oltre che nel teatro
del carcere di Vigevano. Il pubblico, nell’ultimo anno 4.000
spettatori, è rimasto sorpreso, commosso e si è ritrovato a
riflettere in modo nuovo sulla detenzione e sulla criminalità
organizzata. Il dolore raccontato da queste straordinarie attrici
sfugge alla analisi sociologiche di genere, alla letteratura di
stampo iperrealista. È il dolore delle donne Caino di cui nessuno sa
niente che, nel svelarsi, svela dall’interno valori, simboli e
storie dei contesti familiari della criminalità organizzata.
I tre lavori proposti all’Elfo
Puccini - L’infanzia dell’alta sicurezza, Sangue e Benedetta -
sono diventati un caso di rilevanza nazionale non solo per la
straordinarietà del risultato artistico, ma anche per le ricadute
sociali e giuridiche che ha generato.
Sociali perché grazie a questi lavori
vi è una conoscenza diretta e nuova della condizione femminile nei
contesti di criminalità organizzata e perché ha tracciato nuove
strade per parlare del fenomeno, proponendo nuove strategie per
superarlo. Tanto da fare affermare al Prof. Nando Dalla Chiesa che il
valore di questo progetto “è incalcolabile perché queste donne,
anche se non denunciano, non tradiscono, possono diventare un fatto
esemplare per il paese”.
Giuridiche perché, grazie a queste
evidenti e tangibili cambiamenti sociali prodotti, i magistrati di
sorveglianza delle detenute e le autorità giudiziarie, hanno
permesso a queste donne detenute in circuiti di alta sicurezza di
uscire dal carcere per rappresentare i loro spettacoli con un
permesso di necessità con scorta. Cioè per la prima volta in Italia
dei magistrati hanno stabilito che per un gruppo di persone praticare
arte e cultura fosse una necessità e che pertanto andavano rimossi
gli ostacoli che impedivano loro di usufruirne.
Per questi motivi il progetto “educarsi
alla libertà” è stato ed è oggetto di studio nelle più
prestigiose università italiane, sia nelle cattedre di sociologia e
di pedagogia che nelle facoltà giuridiche. E lo è anche nelle
facoltà di teatro e di spettacolo perché in questo caso il teatro
oltre a svolgere l’importante compito di rendere più coscienti la
comunità sul reale della propria condizione, la trasforma.
L’infanzia dell’alta sicurezza
racconta la storia di sette donne recluse nel reparto di alta
sicurezza del carcere di Vigevano che ripercorrono la loro
fanciullezza, il tempo mitico, svelando dall’interno valori,
simboli e storie dei contesti familiari della criminalità
organizzata.
Sangue vedrà in scena insieme sei
detenute e sei agenti della Polizia Penitenziaria. Racconta dei
delitti di sangue a cui queste donne hanno assistito e di come quel
vissuto sia ora dentro i loro corpi. Nell'attraversare i loro destini
queste donne trovano il coraggio di rintracciare la strada del
perdono attraverso una preghiera che scandisce le storie narrate.
Benedetta mostra la condizione
femminile nei contesti di criminalità organizzata, mettendo in scena
una donna e del suo doppio. Benedetta si sdoppia per non essere
travolta dal reale, dall'incubo della sua condizione.
14 maggio, sala Shakespeare
L’INFANZIA DELL’ ALTA SICUREZZA
scritto e diretto da Mimmo Sorrentino
con sette detenute del reparto di alta
sicurezza del carcere di Vigevano
Sette donne recluse nel reparto di alta
sicurezza del carcere di Vigevano raccontano la loro infanzia, il
tempo mitico, svelando dall’interno valori, simboli e storie dei
contesti familiari della criminalità organizzata.
Il testo è nato dopo aver ascoltato le
storie delle detenute, ma nessuna in scena recita la propria. Nei
loro racconti non c’è nulla che le giustifichi, nulla di retorico;
dalle loro testimonianze si aprono squarci di umanità e poesia,
nonostante dalle loro storie la poesia fosse stata bandita,
cancellata, violentata.
15 maggio, sala Shakespeare
SANGUE
scritto e diretto da Mimmo Sorrentino
con sei detenute e Agenti di Polizia
Penitenziaria del reparto di alta sicurezza del carcere di Vigevano
Lo spettacolo, che nasce dopo aver
ascoltato le storie delle detenute del reparto di alta sicurezza del
carcere di Vigevano, ci svela i delitti di sangue, a cui sei di
queste donne, nessuno delle quali recita la propria storia, hanno
assistito e di come questo vissuto abbia lasciato tracce profonde sui
loro corpi.
Ma è proprio nel percorrere i loro
atroci destini che queste donne trovano il coraggio per intonare una
struggente preghiera al perdono. Attraverso questa supplica, che
scandisce le storie narrate, si manifesta uno sguardo nuovo sul reale
per trasformarlo e, quindi, trasformarci. Il teatro per queste donne
diventa un mezzo necessario per sentirsi liberate, pur rimanendo
recluse in carcere, e diventa un volano di trasformazione della
realtà.
16 – 17 maggio, sala Shakespeare
BENEDETTA
scritto e diretto da Mimmo Sorrentino
con Donatella Finocchiaro, Margherita
Cau
musiche Andrea Taroppi
In occasione delle due repliche
all’Elfo Puccini, lo spettacolo viene interpretato per la prima
volta da Donatella Finocchiaro, una delle attrici più note e attive
tra cinema, teatro e televisione. Accanto a lei Margherita Cau,
un’attrice formatasi in carcere, che oggi ha finito di scontare la
sua pena.
Benedetta svela la condizione femminile
nei contesti della criminalità organizzata. Benedetta, nonostante i
crimini subiti, sofferti e provocati, citando Simone Weil, si aspetta
che comunque le venga fatto del bene e non del male, proprio come
tutti noi. Benedetta si sdoppia per non essere travolta dalla realtà
e dall’incubo della sua condizione. Sbraita, si insulta, si
detesta, teme se stessa. Nella sua scissione ci fa vivere la tensione
della separazione e la naturale propensione alla ricomposizione.
Sala Shakespeare, Elfo Puccini, corso
Bueno Aires, 33 – Milano
martedì 14 maggio L’infanzia ad alta
sicurezza
mercoledì 15 maggio Sangue
giovedì 16 e venerdì 17 maggio
Benedetta
ore 20.30 – Info e prenotazione: tel.
02.0066.0606 – biglietteria@elfo.org - Prezzi: Posto unico €
16.50 www.elfo.org
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