"RITORNO A REIMS"
LA PRIMA REGIA DI THOMAS OSTERMEIER
PER IL PICCOLO TEATRO DI MILANO
Giovedì 10 ottobre, debutta, in prima
assoluta, al Teatro Studio Melato, Ritorno a Reims, prima regia di
Thomas Ostermeier per il Piccolo Teatro. Come nella scorsa Stagione
con Declan Donnellan, anche questa, 2019/2020, si apre nel nome di un
importante regista internazionale, al lavoro con una compagnia
interamente italiana. A partire dal saggio del filosofo francese
Didier Eribon, Ostermeier realizza un progetto teatrale
transnazionale per raccontare i mutamenti della politica e della
società nell’Europa occidentale.
In scena Sonia Bergamasco, Tommy Kuti,
Rosario Lisma.
Thomas Ostermeier va al cuore
dell’identità politica e sociale del vecchio continente, con un
progetto teatrale di respiro concretamente europeo: allestire lo
stesso testo, tratto dall’omonimo saggio che il sociologo francese
Didier Eribon ha pubblicato nel 2009, in diversi Paesi europei,
riscrivendone ogni volta la drammaturgia, in collaborazione con il
teatro e con gli attori coinvolti in ogni singolo progetto.
La scelta di Ostermeier per l’Italia
è il Piccolo Teatro, per il quale firma la sua prima regia, ed è a
Sonia Bergamasco che affida il personaggio cardine, un’attrice che
sta lavorando al commento sonoro di un documentario dedicato allo
stesso Eribon. Accanto a lei, il regista, interpretato da Rosario
Lisma, e l’ingegnere del suono, Tommy Kuti.
Tra confessione personale e analisi
sociologica, il filosofo racconta il ritorno nella città natale,
Reims, l’incontro con la famiglia, con cui non ha rapporti da
decenni, da quando ha intrapreso la carriera universitaria a Parigi.
Nel confronto con il passato, Eribon si scontra con i lati oscuri
della società contemporanea: i brutali meccanismi di esclusione
dall’istruzione e dal lavoro messi in atto dalla borghesia, alla
quale ora appartiene, progressista per finta ed elitaria nella
realtà; una classe operaia che, dimenticata e privata dei diritti,
rinnega la militanza comunista per gettarsi tra le braccia della
destra populista del Front National.
«Mi ha incuriosito molto approfondire
come e perché negli ultimi anni – spiega Ostermeier – si sia
potuta sviluppare così rapidamente un’ala populista di estrema
destra in tante nazioni europee e nel mondo intero. Rimasi
profondamente impressionato dall’analisi suggerita da Eribon, che
collega quell’allarmante dilagare al fallimento storico della
sinistra tradizionale. Mi piace l’idea di realizzare diverse
versioni dell’allestimento in nazioni, lingue e con attori
differenti, le cui esperienze personali lo influenzano e lo
modificano».
Gli incontri
In collaborazione con Institut Français
Milano, Goethe-Institut Mailand e Università degli Studi di Milano
Venerdì 11 ottobre - Chiostro Nina
Vinchi, ore 17
Incontro con Thomas Ostermeier e Didier Eribon
con il sostegno di Institut Français Milano
Incontro con Thomas Ostermeier e Didier Eribon
con il sostegno di Institut Français Milano
Mercoledì 16 ottobre - Chiostro Nina
Vinchi, ore 17
Incontro con la compagnia dello spettacolo
con Sonia Bergamasco, Rosario Lisma e Tommy Kuti
Incontro con la compagnia dello spettacolo
con Sonia Bergamasco, Rosario Lisma e Tommy Kuti
Mercoledì 30 ottobre – Teatro Studio
Melato, ore 18.30
Incontro con Maurizio Landini
Giovedì 7 novembre - Chiostro Nina
Vinchi, ore 17
Incontro con Antonio Calabrò e Piero
Colaprico
L’ingresso è libero con prenotazione
obbligatoria su www.piccoloteatro.org
Intervista a Thomas Ostermeier
- Cosa ti ha colpito di Ritorno a Reims
di Didier Eribon e perché hai deciso di portarlo in scena?
Ho letto il libro di Eribon per mio
interesse personale, senza pensare di trarne uno spettacolo teatrale.
Poi mi capitò di parlare con Nina (Nina Hoss, attrice e interprete
delle edizioni inglese e tedesca di Ritorno a Reims, n.d.r.) che
stava lavorando negli States nel periodo in cui Donald Trump vinse le
elezioni presidenziali. Nina condivideva le mie stesse paure, di
fronte al risveglio e all’ascesa dell’estrema destra in tutto il
mondo; ci trovammo a riflettere sul libro e ci apparve necessario
trasformarlo in uno spettacolo teatrale. Il grande pregio di questo
saggio autobiografico, che Eribon ha scritto nel 2009, è quello di
approcciare il fenomeno dall’unica prospettiva percorribile: non
biasimare o deridere gli elettori dell’estrema destra, ma
riflettere sul perché così tanti votanti abbiano abbandonato i
partiti della sinistra – per i quali parevano nutrire una fede
incrollabile – per abbracciare un’ideologia opposta. Senza la
pretesa di veicolare un’analisi politica, Eribon parte
dall’esperienza della propria famiglia ed è estremamente efficace
nello stabilire un collegamento tra il fallimento della sinistra e
l’ascesa della destra in Francia. Sottolinea la necessità non solo
della lotta antifascista ma anche di un cambiamento radicale del modo
in cui la sinistra, oggi, fa politica: occorre che i partiti della
sinistra europea riscoprano le proprie ragioni storiche e la propria
missione.
- Il libro è opera di un sociologo
francese che analizza la realtà del proprio Paese. Lo spettacolo
invece ha assunto una prospettiva transnazionale, ha coinvolto altre
istituzioni europee ed è stato prodotto in Italia dal Piccolo. Come
e perché è avvenuto?
Le nazioni europee hanno gli stessi
problemi. Il primo allestimento di Ritorno a Reims è stato a
Manchester, ex città industriale del Regno Unito, nel luglio 2017.
Poi ne ho diretto l’edizione tedesca, che è andata in scena a
Berlino nel settembre dello stesso anno. Era il giorno in cui
votavamo per il rinnovo del Bundestag, il parlamento federale
tedesco: sono state le prime elezioni, dalla fine della Seconda
Guerra mondiale, in cui abbiamo assistito all’ingresso dell’estrema
destra tedesca tra i banchi della nostra democrazia.
A Parigi, con l’edizione francese
dello spettacolo, siamo stati in scena nell’inverno 2019, mentre ad
ogni fine settimana, sugli Champs Elysées, si scatenava la protesta
dei gilet gialli, un movimento che i media hanno frettolosamente
liquidato come “di estrema destra”, mentre la sua realtà è ben
più variegata. La produzione del Piccolo dimostra che Ritorno a
Reims parla anche all’Italia e dell’Italia. È il grande pregio
del saggio di Eribon ed è il mio desiderio come regista, il mio
contributo alla lotta antifascista, in Europa, oggi: inquadrare il
fenomeno in una prospettiva più ampia e profonda, richiamando
l’attenzione sul ruolo che la sinistra dovrebbe tornare ad avere e
sottolineare le responsabilità che ha avuto nel favorire l’ascesa
della destra. Per questo mi piacerebbe che lo spettacolo non fosse
visto solo nelle grandi città, ma che potessimo parlare anche al
pubblico della provincia, delle campagne, dei piccoli paesi. Da
essere umano cosmopolita, credo che il mio ruolo sia farmi portavoce
di temi come società, povertà, miseria, mancanza di prospettive e
precarietà che nell’Unione Europea non godono, purtroppo, della
stessa considerazione di parole come valuta, denaro, mercati,
circolazione dei beni di consumo… Le merci possono circolare, ma le
persone no. Ha senso? Dirigere questa produzione al Piccolo ha per me
anche un valore ulteriore, perché percepisco, tra queste mura, la
grande tradizione di Strehler, il suo profondo legame con un certo
tipo di teatro politico tedesco, con Brecht, in particolare, che
Strehler fu il primo a proporre in Italia. Sono felice di ricostruire
quel ponte tra i nostri due mondi. Certo la temperie politica è
differente, ma forse è importante proprio per quello.
- Come avete trasformato il saggio di
Eribon in una drammaturgia teatrale e in che modo l’avete adattato
al contesto italiano?
La storia si sviluppa su tre piani. Nel
primo, siamo in uno studio di registrazione, dove un’attrice, un
regista e un tecnico del suono lavorano al commento sonoro di un film
documentario dedicato a Didier Eribon. Il film, che abbiamo potuto
girare grazie alla straordinaria disponibilità di Eribon, è il
secondo filone narrativo. Didier si è prestato a “rivivere” il
proprio ritorno a Reims, perché potessimo trasformare il monologo
interiore del suo libro in un video da mostrare al pubblico: lo
abbiamo filmato mentre torna nei sobborghi dove i suoi familiari sono
vissuti per vent’anni e dove lui non è mai andato a far loro
visita; lo vediamo seduto a tavola a bere caffè, a parlare con la
madre – la vera mamma di Didier, non un’attrice –; assistiamo
alla sua graduale presa di consapevolezza del passato e della storia
della sua famiglia. Il testo che, nella finzione dello spettacolo,
Sonia (Sonia Bergamasco) sta registrando come voce fuori campo è
parte del saggio originale di Eribon. Quando Sonia interrompe la
lettura per porre una domanda al regista Rosario (Rosario Lisma), ne
nasce una discussione che sposta lo spettacolo su un piano legato al
contesto politico contemporaneo italiano. Tutti e tre i personaggi –
Sonia, Rosario e Tommy, il tecnico del suono, che nella finzione è
anche un musicista rap come il “vero” Tommy Kuti che lo
interpreta – si confrontano con la propria dimensione di attori e
artisti, chiedono a se stessi e si domandano l’un l’altro cosa
stiano facendo concretamente per arrestare la deriva a destra del
proprio Paese. Tommy, in particolare, presenta il proprio punto di
vista di ragazzo di origine nigeriana cresciuto in Italia, che ha un
passaporto italiano e si considera italiano, anzi: “afro-italiano”.
L’argomento ci ha permesso anche di esplorare un’altra parte del
saggio di Eribon che, attraverso gli scritti di James Baldwin, si è
interessato molto al tema dei diritti civili e al movimento delle
Pantere Nere negli USA, negli anni 60/70.
- Che tipo di impegno hai chiesto agli
attori?
Non è stato un lavoro tradizionale sul
“personaggio” o sul “carattere”. Sonia, Rosario e Tommy sono
tutti artisti che, con il proprio lavoro, si impegnano per il
cambiamento, pur consapevoli del limite implicito nel loro stesso
ruolo. Del resto, la storia porta illustri esempi: Brecht,
probabilmente il più importante scrittore e uomo di teatro della
Germania del Novecento, non poté nulla contro l’ascesa del
nazismo, ma dovette fuggire e vivere all’estero da esule. Quel che
possiamo fare, in tempi come questi, è esplicitare le paure, i dubbi
e dar loro corpo: pensare a come possiamo agire, anche a costo di
cambiare il nostro modo di essere artisti. Ciascuno dei tre
interpreti ha portato se stesso nello spettacolo, che, nella seconda
parte, è costruito anche a partire dal loro vissuto e dalle loro
esperienze. Non è un’improvvisazione, perché lo spettacolo ha una
drammaturgia compiuta: è stata una relazione di reciproco ascolto,
senza mai derogare ai rispettivi ruoli.
- Cosa vorresti che il pubblico “portasse
a casa” da questo spettacolo?
Tutte le domande che i personaggi
sollevano sono interrogativi sulla speranza: speranza in un
cambiamento, in una nuova identità politica, in una rinnovata
armonia tra politica e società. Eribon, e il mio spettacolo con lui,
afferma che non è necessario perdere di vista i diritti degli operai
e di chi ha meno, per tutelare gli altri bisogni: si possono
tranquillamente combattere il razzismo e l’omofobia, continuando a
difendere coloro che hanno meno, sono poveri e in difficoltà. È un
errore che i due obiettivi siano stati posti in competizione. Vale lo
stesso discorso per la parità di genere. Senza dubbio è importante
ampliare la presenza femminile nei CdA delle grandi aziende e nei
luoghi di potere; ma che cosa si fa per l’emancipazione delle donne
della classe operaia, quelle di cui parla Eribon, persone che hanno
il doppio lavoro, in fabbrica (o in ufficio) e a casa, dove devono
fare tutto, cucinare, pulire, occuparsi dei figli?
È a loro che bisogna pensare.
(estratto dal programma di sala dello
spettacolo, a cura dell’Ufficio Edizioni del Piccolo Teatro di
Milano
Arte e politica nel teatro di
Ostermeier
di Didier Eribon
Caro Thomas
Parlerò di te.
Di te e di teatro, ovviamente.
E dunque, è altrettanto ovvio, di
teatro e di politica.
Ho incontrato Thomas Ostermeier nel
novembre 2016. Aveva letto la traduzione tedesca di Ritorno a Reims e
mi disse che gli sarebbe piaciuto “fare qualcosa” con il mio
libro, senza ancora sapere nello specifico né cosa, né quando. Tre
o quattro mesi dopo, il progetto si definì e ci recammo insieme a
Reims, per girare un film sulle tracce del mio passato. Solo sei mesi
dopo la nostra prima conversazione, assistevo a Berlino alle prove
del suo spettacolo, poi al debutto, in inglese, al Festival
Internazionale di Manchester, nel luglio 2017, quindi alla prima
rappresentazione in tedesco, tenutasi a Berlino nel settembre dello
stesso anno. […]
Non sono uno specialista di teatro, ma
è in nome della bella amicizia, della complicità che così
rapidamente si è instaurata tra noi che mi sento autorizzato a
pronunciare qualche parola di elogio. Impossibile menzionare tutti i
testi allestiti da Thomas: sono più di sessanta! Ne voglio
semplicemente citare qualcuno, tra quelli che mi sembrano meglio
definirne il progetto culturale.
In principio, nel 1995, ci fu Tamburi
nella notte di Bertolt Brecht, opera giovanile (gioventù di Brecht,
ma anche gioventù di Thomas Ostermeier). La scelta di Brecht è
molto interessante, dal punto di vista francese, poiché il teatro
moderno, nel Dopoguerra, in Francia, negli anni Cinquanta e Sessanta,
s’è incarnato in due grandi figure antitetiche: Brecht e Beckett.
Poli opposti della scena culturale e intellettuale, simboleggiano la
politica e l’impegno da un lato, contrapposti a un certo rifiuto
della politica e dell’impegno dall’altro, a vantaggio di un
approccio più metafisico alla condizione umana, di un’arte più
astratta, compiuta in se stessa. […]
Ho verificato: Thomas Ostermeier non ha
mai messo in scena Beckett. […]
Cionondimeno, ritengo che Beckett sia
assai presente nel lavoro di Thomas. Quasi al livello di Brecht. Il
primo lo incalza come un fantasma del passato, l’altro come uno
spettro del futuro. Non credo di sbagliarmi se affermo che
l’approccio di Thomas si situa nella parentela incrociata di questi
due modi di impersonare la modernità. Il suo teatro è quasi sempre
politico, come quasi sempre si fa portatore di una riflessione,
tragica e comica insieme, sulla condizione umana. E la riflessione
politica non è mai dominante rispetto alla cura dell’estetica,
all’invenzione formale, alla ricerca della bellezza dei quadri e
delle immagini presentati agli spettatori. Arte e politica sono
intimamente intrecciate.
Parlare di Ostermeier significa parlare
ovviamente di Shakespeare.
Tutti sanno che Thomas è un profondo
conoscitore di Shakespeare e un grande regista shakespeariano: il suo
Amleto, il suo Riccardo III sono pietre miliari e appartengono alla
memoria collettiva. Tali successi straordinari sono dovuti al fatto
che non cerca mai di “attualizzare”, nel senso banale del
termine, i classici. Rendere contemporaneo un classico per lui
significa restituirne la violenza originaria: si tratta di
riattraversare gli strati sedimentati dell’interpretazione che ha
fissato l’opera nel suo status di “classico” per recuperarne la
radicalità primigenia, l’originalità, l’eterna novità.
Restituisce Shakespeare a Shakespeare e gli regala, piuttosto gli
riattribuisce, una brillantezza nera, come in Riccardo III, o
festosa, come ne La dodicesima notte. Così Shakespeare è nostro
contemporaneo, per citare il titolo di un ben noto saggio. Così gli
affreschi shakespeariani sul potere o sull’amore ci parlano di noi,
di noi come siamo oggi.
Ma ci sono svariati modi di essere
contemporanei. Del resto la contemporaneità non è mai omogenea, non
più di quanto non lo sia la temporalità storica.
Thomas porta in scena i classici, Ibsen
Čechov, Büchner… ma anche autori dei giorni nostri: Lars Norén,
Mark Ravenhill, Sarah Kane, Marius von Mayenburg e prossimamente
Edouard Louis, con un magistrale e sconvolgente adattamento di Storia
della violenza. La contemporaneità si declina in molteplici modi
sulle scene dalla Schaubühne, il teatro che dirige dal 1999, con la
sua compagnia di magnifici attori, e nei teatri di tutto il mondo,
dove i suoi spettacoli sono invitati: si estende dalla fine del XVI
secolo agli anni 2010.
Lo spettacolo che ha debuttato la
settimana scorsa a Berlino (la prima si è tenuta il 23 novembre
2018, n.d.t.), Notte all’italiana di von Horváth, è l’ultimo
capitolo – l’ultimo per ora – di un progetto sull’ascesa del
fascismo, ieri, oggi, in Europa: la serie si aprì con Professor
Bernhardi di Arthur Schnitzler, è proseguita con Ritorno a Reims,
quindi con Notte all’italiana. Credo che la trilogia ben presto
sarà una tetralogia, dal momento che Thomas sta preparando
l’adattamento del romanzo di Horváth Gioventù senza Dio, per il
prossimo Festival di Salisburgo (la prima si è tenuta lo scorso 28
luglio 2019, n.d.t.). L’ho detto: il teatro di Thomas è
eminentemente politico. Promuove una forma di “realismo impegnato”
come afferma nel suo manifesto del 1999. […]
Il suo realismo non si risolve nella
mera riproduzione del reale: intende trasformarlo (parafrasando una
frase di Marx alla quale credo Thomas faccia riferimento nel suo
manifesto). Trasformazione che trae origine dalla ferita, dal dolore,
dalla sofferenza. Il teatro deve provocare “lo stupore di fronte al
riconoscibile”, scrive Thomas Ostermeier. Arte realista, quindi,
che invita a mostrare il reale come non lo si vede e in tal modo
intende contribuire a cambiarlo. È un’“arte oppositiva”, per
richiamare il termine adoperato da Geoffroy de Lagasnerie in Penser
dans un monde mauvais, l’arte come energia oppositiva e
trasformatrice.
La mia amicizia con Thomas non è
soltanto la relazione tra due persone. C’è un sacco di gente
intorno a me, a lui, a noi. In qualche maniera siamo il simbolo di
un’amicizia franco-tedesca, un’amicizia europea, un’amicizia
internazionale (e internazionalista) che rigetta il regime imposto
dai governi che parlano di “amicizia franco-tedesca” solo per
meglio imporre la propria egemonia economica, la propria legge
politica e rovinano intere nazioni, le mandano in malora, le riducono
alla disperazione, come è accaduto con la Grecia, alimentando in
questo modo, possiamo constatarlo giorno dopo giorno, l’ascesa
dell’estrema destra. L’amicizia che lega Thomas e me è un
rapporto fatto di conversazioni e discussioni che riprendiamo sempre,
di riflessioni condivise, è anche un lavoro comune, con cui ci
piacerebbe contribuire allo sviluppo – assieme ad altri che sono
animati dallo stesso desiderio – di un’Europa della cultura,
della letteratura, dell’arte, del pensiero, delle idee, delle
emozioni e forse anche dei sentimenti. Un’Europa della critica e
della solidarietà… Un’Europa aperta, inclusiva dell’altro,
degli altri. Di coloro che Elfriede Jelinek, per citare un’autrice
germanofona, ha chiamato I rifugiati coatti (nell’originale
tedesco, Die Schutzbefohlenen, come nella versione francese, Les
suppliants, il titolo del testo richiama la tragedia Le supplici di
Eschilo, n.d.t.), di coloro che Patrick Chamoiseau, per citare un
autore francofono, ha definito i nostri Fratelli migranti.
Come rendere omaggio a Thomas ignorando
la realtà del mondo? Quella che egli ci obbliga a vedere, che ci
incita a cambiare. Queste realtà sono tipiche dell’Europa odierna.
L’Europa che non vogliamo è quella alla quale la nostra Europa,
quella che amiamo, la cultura europea alla cui costruzione lavoriamo,
deve opporsi. È un imperativo culturale, è un imperativo morale.
Poi, per tornare a Brecht e a Beckett, non dimentichiamo che Brecht
ha scritto Dialoghi di profughi, quando era esule in Finlandia, nel
1940; possiamo immaginare che Beckett, grande esponente della
Resistenza nella Francia occupata, avesse in mente quel momento
politico della sua biografia, e forse avesse in mente l’orrore dei
campi, quando scrisse Godot, e l’esperienza della disperazione e
dell’angoscia, che attraverso quel testo riesce a far comprendere e
provare. La scrittura, il teatro portano il peso del mondo. Facciamo
in ogni caso nostra la bella idea, il bell’ideale che Thomas
Ostermeier sembra portare con sé ovunque, qualunque sia il Paese
dove si vedono i suoi spettacoli, e che è leggibile nel bel sorriso
che mai lo abbandona, voglio dire la fede indissolubile nella potenza
dell’atto artistico, nella grandezza del teatro. Sono fiero di
essere suo amico ed è con immenso piacere che condivido con lui e
con tutti voi questo istante di gioia e felicità che ci unisce qui.
Parigi, 5 dicembre 2018
(estratto dell’Elogio di Thomas
Ostermeier pronunciato da Didier Eribon in occasione
dell’assegnazione del Premio Kythera per la cultura)
Piccolo Teatro Studio Melato (Via
Rivoli, 6 – M2 Lanza), dal 10 ottobre al 16 novembre 2019
Ritorno a Reims
dal libro di Didier Eribon
world copyright Editions Fayard, Paris,
traduzione di Annalisa Romani © 2017 Giunti Editore S.p.A. /
Bompiani
regia Thomas Ostermeier, drammaturgia
Florian Borchmeyer, traduzione Roberto Menin
scene Nina Wetzel, light design Erich
Schneider, sound design Jochen Jezussek
film Sébastien Dupouey, Thomas
Ostermeier, camera Marcus Lenz, Sébastien Dupouey
suono (film) Peter Carstens, musiche
Nils Ostendorf
Personaggi e interpreti (in ordine
alfabetico)
Sonia Sonia Bergamasco
Tommy Tommy Kuti
Rosario Rosario Lisma
produzione Piccolo Teatro di Milano –
Teatro d'Europa
in coproduzione con Fondazione
Romaeuropa, in una versione di Schaubühne Berlin
foto di scena Masiar Pasquali
sovratitoli in inglese a cura di
Prescott Studio Firenze
Orari: martedì, giovedì e sabato, ore
19.30 (salvo giovedì 14 novembre, ore 19.30 per le scuole);
mercoledì e venerdì, ore 20.30 (salvo
mercoledì 6 e 13 novembre, ore 15 per le scuole); domenica, ore 16.
Le recite del sabato sono sovratitolate
in inglese.
Prezzi: platea 40 euro, balconata 32
euro
Informazioni e prenotazioni 0242411889
- www.piccoloteatro.org
News, trailer, interviste ai
protagonisti su www.piccoloteatro.tv
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