PICCOLO TEATRO STUDIO MELATO DI MILANO
"MANGIAFOCO"
ROBERTO LATINI E IL TEATRO A FUOCO
Giovedì 21 novembre, alla Serra del Sole di Matera, debutta
Mangiafoco (replica venerdì 22 novembre), per proseguire a Milano, al Teatro
Studio Melato, con un mese di recite, da giovedì 28 novembre a domenica 22
dicembre.
Dopo Il teatro comico, Roberto Latini torna a firmare una
regia per il Piccolo Teatro. Mangiafoco è prodotto dal Piccolo con Compagnia
Lombardi - Tiezzi e Fondazione Matera Basilicata 2019, in collaborazione
con Consorzio Teatri Uniti di Basilicata, nell'ambito del progetto di Matera
Capitale Europea della Cultura 2019 "Topoi. Teatro e Nuovi Miti".
«Nel momento in cui Pinocchio fa la sua comparsa nel
teatrino – spiega Latini – in palcoscenico Arlecchino e Pulcinella stanno
bisticciando, come prevede la tradizione. Riconosciuto il loro “simile”,
sospendono la recita per fargli festa, suscitando i malumori del pubblico. Ecco
ciò che mi interessa, come punto di partenza, la situazione intorno alla quale
vorrei stare: l’interrompersi di uno spettacolo e le sue reazioni, attraverso
la fondamentale riflessione sull’attore, marionetta e burattinaio». Il racconto
di Collodi prosegue con l’arrivo di Mangiafoco, le minacce di gettare ora uno
ora l’altro burattino tra le fiamme, fino al definitivo “perdono” di Pinocchio,
al quale regala addirittura cinque monete d’oro che il nostro eroe si farà
soffiare dal Gatto e dalla Volpe…
«Ma lì siamo già in un’altra storia – continua Latini –. Con
i miei attori, gli stessi con cui ho avuto il privilegio di lavorare per Il
teatro comico, voglio esplorare gli spazi intorno alla trama e le sue
sfumature. Come accadeva con Goldoni, siamo di nuovo dalle parti di Pirandello:
voglio parlar di teatro attraverso il teatro. Poiché lo spettacolo nasce anche
per Matera, in occasione delle celebrazioni del 2019, non potevo prescindere
dalla tradizione italiana, da Pasolini o intorno al Leo de Berardinis di
Novecento e Mille».
L’incontro
Venerdì 29 novembre, alle ore 17, al Chiostro Nina Vinchi
(via Rovello 2 – M1 Cordusio), la compagnia di Mangiafoco incontra il pubblico
per approfondire i temi dello spettacolo.
L’ingresso è gratuito con prenotazione su
www.piccoloteatro.org.
Teatro, rito del silenzio
Intervista a Roberto Latini
(dal programma di sala dello spettacolo, a cura dell’Ufficio
Edizioni del Piccolo Teatro di Milano)
Perché hai scelto Collodi e tre capitoli del suo Pinocchio
per la tua nuova produzione al Piccolo?
Collodi ci riporta all’occasione rappresentata, nella scorsa
stagione, da Il teatro comico, a quella consapevolezza e volontà di cambiamento
incarnata da Goldoni nel 1750. La compagnia con cui viviamo questa nuova
esperienza è la stessa del Teatro comico perché analoga è la disponibilità che
chiedo – e che in loro trovo – a vivere un’evoluzione, a tentare il teatro
oltre le possibilità fisiche dello spettacolo. Con Goldoni, centosettant’anni
prima di Pirandello, incontravamo una compagnia che stava organizzando delle
prove e si trovava nella condizione scenica di mostrarsi al pubblico prima e
durante lo spettacolo. Mangiafoco, con il suo Gran Teatrino dei Burattini così
come è raccontato in alcuni capitoli del Pinocchio di Collodi, mi è sembrato
l’occasione per insistere su questa consapevolezza, su questa coscienza, su
questo tempo in cui l’identità dell’attore, in qualche modo, si intreccia con
quella di una platea consapevole, mai complice, chiamata in causa al di là
dell’essere testimone oculare, al di là dell’essere semplicemente intrattenuta,
in quella relazione di scambio su cui si fonda la natura stessa del fatto
teatrale. È come se da qualche parte si aggirasse ancora Orazio, il capocomico
del Teatro comico, che forse è in qualche modo Mangiafoco, ed ecco che arriva
in scena Eleonora, o il poeta...
In verità qui il gioco si fa ancora “più spinto”: gli attori
non stanno provando uno spettacolo. Lo spettacolo prende vita partendo dalla
fase precedente, dal presentarsi in scena raccontando qualcosa di sé…
Credo faccia parte dell’essere attore essere anche burattinaio
di se stesso, cioè essere qualcuno che si mette in scena. Durante uno
spettacolo, esiste sempre una parte di noi che è condotta, dall’autore, dal
regista, dalla storia, e una che invece è libera. Il fulcro è in quel passaggio
tra ciò che è nella libertà, nella disponibilità, nella cura, nella sensibilità
di ogni attore e quanto invece deve poi fare i conti con quello che s’ha da
fare, con quello che è il copione, che sono le indicazioni dell’autore e del
regista. Nella mia visione, gli attori sono sempre liberi, se non nell’agire la
scena, nel reagire alla scena. È dalla loro reazione allo spettacolo, agli
spettatori, a quel silenzio che rimbalza indietro dalla platea, che scaturisce
la scintilla teatrale. Rompere il silenzio è una responsabilità enorme, ogni
volta che un interprete va a pronunciare una parola, a compiere un gesto, a
respirare. Il teatro è anche questo: un rito del silenzio, un luogo dove ci si
reca per stare in silenzio in coro; quindi la disponibilità che offriamo, da
spettatori, agli attori, si manifesta nel patto che esiste in relazione a quel
silenzio. Può sembrare un gioco di parole, ma la “stonatura”, in uno
spettacolo, interviene quando non esiste l’accordo, nel senso musicale del
termine, rispetto a quel patto. Mangiafoco porta in scena anche la personalità
di ciascun interprete, raccontata attraverso una biografia che è frutto di una
selezione prodotta da ognuno di loro all’interno del proprio vissuto, al di là
degli episodi che diventano aneddotica. Mi interessa la scrittura rispetto a se
stessi, l’atto di pronunciare il proprio nome e cognome, il racconto delle
proprie origini artistiche e come, da quella partenza, si sia giunti fin qui.
Nel loro raccontarsi, gli attori si rivolgono a un finto
pubblico che indossa la maschera di un noto personaggio dei fumetti. Perché?
Gli ascoltatori mascherati sono lo specchio sublime, come
livello più alto di bellezza. Si va di fronte a quel noi potenziale, irreale,
eppure possibile. In realtà non di una vera audizione si tratta, anche se il
meccanismo è quello, non è un provino: è come se ognuno avesse portato con sé
elementi intercettati lungo il proprio cammino. È l’attore che costantemente ha
a che fare con il proprio fuoco, lo mangia, ci si relaziona, in quella
metamorfosi che è il nucleo della sua storia: “non sono lo stesso attore di
vent’anni, di dieci anni fa, neanche quello della scorsa stagione, né sono
quello che sarò fra cinque anni. Questa condizione per me è quotidiana, ne sono
consapevole e ne ho coscienza”. Consapevolezza e coscienza sono le due parole
che ci hanno accompagnato lo scorso anno per Il teatro comico, ma sono anche le
parole fondanti del Novecento e quelle attraverso cui abbiamo, ora, forse,
delegato finalmente una parte di responsabilità agli spettatori.
Non è solo “teatro nel teatro”: è molto di più.
Il Novecento ci ha accompagnato in una dimensione meta
teatrale costante. Penso ad Alfred Jarry: nel 1896, con Ubu Roi, si presenta di
fronte al pubblico producendo lo stesso effetto dirompente che Sei personaggi
in cerca d’autore di Pirandello avrà venticinque anni dopo. E così, a
perdifiato, per tutto il Novecento, non guardando soltanto agli autori, ma
anche agli attori: mi riferisco alla situazione italiana, a un secolo che si è
chiuso mettendo la parola fine a un’epoca di capocomicati, di compagnie che
vivevano un’altra condizione di lavoro rispetto a noi oggi. Del resto sono le
linee guida della politica culturale che hanno fatto di questo nostro momento
un tempo nuovo, che non sappiamo ancora bene definire, perché ci siamo in
mezzo, lo stiamo vivendo. Da spettatore, posso dire che mi sembra che la
dimensione meta teatrale abbia chiamato a sé anche gli spettatori, come se
fossero anche loro passati a un altro livello: non è solo lo spettacolo a
riflettere su se stesso, ma anche il pubblico. Dopo alcune drammaturgie degli
anni Duemila, in cui gli spettatori erano trascinati nello spettacolo e
sollecitati in modo diverso da prima, il teatro si sta evolvendo, abbiamo
bisogno di rispondere a domande che abbiamo nel tempo imparato a formulare o
che stiamo ancora formulando… Per dire che il “meta teatro” mi interessa, non
tanto per il gioco ormai già obsoleto del teatro nel teatro, quanto per la
capacità che ha di produrre nuovo senso, di evolversi, di portarci in quell’altrove
che teniamo come confine e che miro a spostare sempre un poco oltre.
C’entra forse anche il ruolo che può giocare il Teatro
Studio Melato come spazio?
Lo Studio è fondamentale rispetto a come stiamo costruendo
lo spettacolo. Non lo è solo in senso prossemico, ma direi spirituale. È uno
spazio che ha un’elevazione con la quale si devono fare i conti. È carico di
una dimensione arcaica, è agorà che si fa teatro, simboleggia l’eredità del
mondo antico, la “grande O di legno” di Shakespeare – citata anche nel nostro
spettacolo –: è uno degli spazi più moderni e insieme antichi che si possano
trovare.
Perché Mangiafoco e non Pinocchio, perché l’omone che incute
timore e non il burattino che fa tenerezza?
L’omone siamo noi, noi in scena, il bruto che custodisce una
sensibilità che arriva fino allo starnuto... Mangiafoco riconosce in Pinocchio
qualcuno della famiglia. Ho sempre pensato che Pinocchio potrebbe essere più
figlio suo che di Geppetto: il burattinaio lo accoglie come il figlio tornato a
casa, poi lo lascia libero di andare per la propria strada, come ogni genitore
dovrebbe fare. Lo accolgono come fratello Arlecchino e Pulcinella… È come se,
tutti insieme, costituissero un nucleo familiare primigenio.
C’entra qualcosa anche il fuoco della passione teatrale?
Ognuno di noi ha il proprio grande teatrino, maneggia e si
nutre del proprio fuoco. È il fuoco dell’arte, certo, della passione teatrale
di Jouvet... Sono anche le fiamme insufficienti a cuocere il montone che
Mangiafoco vorrebbe pronto ma di fatto è ancora immangiabile: gettare Pinocchio
nel fuoco, buttarci Arlecchino, la minaccia che incombe su quei burattini, è la
stessa che viviamo noi, attori ed esseri umani.
Passare attraverso il fuoco serve a forgiare un’identità?
Il fuoco è metamorfosi costante, come lo è Pinocchio, al di
là della didattica del crescere, del monello che diventa bambino… dove le
stesse monellerie sono tappe di quella crescita. Parliamo di trasformazione, di
continua metamorfosi, che è quello che accade a noi, attori e individui.
E il ghiaccio?
Anche il ghiaccio brucia… Ogni attore ha un proprio blocco
di ghiaccio, è natura e in mutamento. Se rappresenti la figura di un altro “se
stesso”, simbolicamente congelata, non so e non voglio dire: aggiungere parole
è diminuirne la potenza, il potenziale che possiede a tutti i livelli,
narrativo, concettuale, in astrazione. È l’anima? Forse. Forse quel che ne
resta. Di sicuro è un elemento mutante e metamorfico, come il fuoco. È
mutevole, perché arriva sulla scena in una condizione e l’abbandona dopo aver
subito un cambiamento: come gli attori.
È vero che nei tuoi spettacoli chiedi al pubblico di far
lavorare costantemente la propria immaginazione?
Dividerei gli spettacoli in due categorie: quelli che
producono immagini e quelli che creano immaginazione. Da spettatore, preferisco
trovarmi di fronte al secondo tipo. A maggior ragione, nella firma di uno
spettacolo di cui mi prendo responsabilità, preferisco costruire immaginazione.
I tuoi spettatori devono muoversi anche stando seduti,
andare in cerca dei riferimenti letterari…
Le citazioni presenti nel copione possiedono tutte una
rivendicazione drammaturgica necessaria, se non per autore, per contenuto: dal
Paese dei balocchi, naturale apertura per entrare in argomento, alla Passione
di Cristo evocata da Marco Sgrosso nel proprio racconto, imprescindibile
riferimento al teatro medievale, alla schiera di riferimenti prodotta da Marco
Manchisi, un excursus nella nostra tradizione, da Eduardo a Totò; Marco Vergani
cita la scimmia del Woyzeck – e cos’è, se non una figura di Pinocchio
“evoluto”? – quindi Sofocle delle Trachinie, omaggio al teatro antico, mentre
Savino Paparella recita un brano dall’Enrico V di Shakespeare (non Enrico IV,
che troppo platealmente avrebbe alluso a Pirandello). In questo dramma storico,
Shakespeare, apertamente, chiama gli spettatori a uno sforzo di immaginazione,
li ammette allo spettacolo a prezzo che stiano al gioco di ricostruire nella
propria mente le schiere dei combattenti e il campo di battaglia; Stella
Piccioni ci parla di Leopardi e della letteratura italiana “alta”; Nora, in
Casa di bambola citata da Elena Bucci, è burattino nelle mani del padre e poi
del marito… infine io chiudo con Pirandello
de La ragione degli altri: «Qua, qua, alla catena, dobbiamo stare! E non giova
disperarsi… Lo dico anche a me, sai? Se occorre, anzi, bisogna ridere… ma sì!
come rido io, tante volte. Non m’hai sentito ridere? Vuoi vedere come rido? Ma
so fare anche il buffone! Tant’altre volte, pazienza! Bisogna pure che mi
lagni… Stretto, oppresso, soffocato così, punto da tutte le parti, vuoi che non
dica neppure ahi? Basta, no; basta, no; sai bene che non posso dirlo basta».
Come la mettiamo con le bugie di Pinocchio?
Qui è dove fingiamo veramente e le bugie son tutte vere.
Mangiafoco
drammaturgia e regia Roberto Latini
luci Max Mugnai
musiche e suono Gianluca Misiti
costumi Gianluca Sbicca
con Elena Bucci, Roberto Latini, Marco Manchisi, Savino
Paparella,
Stella Piccioni, Marco Sgrosso, Marco Vergani
coproduzione Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa,
Compagnia Lombardi - Tiezzi,
Fondazione Matera Basilicata 2019, in collaborazione
con Consorzio Teatri Uniti di Basilicata,
nell'ambito del progetto di Matera Capitale Europea della
Cultura 2019
"Topoi. Teatro e Nuovi Miti"
Foto di scena Masiar Pasquali
Matera
Serra del Sole (Strada Statale 7, Via Appia 32 - Matera), 21
e 22 novembre, ore 20.30
Accesso con Passaporto per Matera 2019
(regolamento ticket:
https://www.matera-basilicata2019.it/it/ticket.html )
e prenotazione sul sito ufficiale www.materaevents.it o
presso l'Infopoint di Matera 2019
Milano
Piccolo Teatro Studio Melato (Via Rivoli,6 – M2 Lanza), dal
28 novembre al 22 dicembre 2019
Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e
venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16.
Le recite del 30 novembre e del 7, 14, 21 dicembre 2019 sono
sopratitolate in inglese.
Sopratitoli a cura di Prescott Studio.
Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro
Informazioni e prenotazioni 0242411889 -
www.piccoloteatro.org
News, trailer, interviste ai protagonisti su
www.piccoloteatro.tv
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