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lunedì 13 gennaio 2020


"MISERICORDIA"
EMMA DANTE FIRMA UNA NUOVA REGIA
PICCOLO TEATRO GRASSI DI MILANO

Gli incontri al Chiostro
mercoledì 15 gennaio, con la regista e Elena Stancanelli
mercoledì 22 gennaio, con la Compagnia

Martedì 14 gennaio 2020, prima nazionale

Dopo l’esperienza “senza parole” di Bestie di scena, spettacolo con il quale è iniziata la collaborazione artistica con il Piccolo, Emma Dante porta nuovamente sulla scena un silenzio, quello delle donne. Lo fa con Misericordia, al Teatro Grassi per oltre un mese di recite, dal 14 gennaio al 16 febbraio.

«Misericordia racconta una realtà squallida, intrisa di povertà, analfabetismo e provincialismo, esplora l'inferno di un degrado terribile, sempre di più ignorato dalla società».

Così Emma Dante introduce il nuovo spettacolo, coprodotto dal Piccolo Teatro di Milano con Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale e Teatro Biondo di Palermo.
La regista siciliana torna alla sua lingua, al suo stile, al suo universo emotivo, per raccontare la fragilità delle donne, la loro disperata solitudine. Grazie al teatro, restituisce la voce a creature che, nella società e nella storia, non ne hanno. Sono Anna, Nuzza e Bettina. Vivono in un tugurio fatiscente con un ragazzo menomato, Arturo. Durante il giorno, lavorano a maglia, confezionano “sciallette”; al tramonto si mettono sulla soglia di casa e offrono ai passanti i loro corpi cadenti.

'U picciutteddu si muove frenetico nella stanza, non sta mai fermo. Ogni sera, alla stessa ora, va alla finestra per vedere passare la banda e sogna di suonare la  grancassa. Arturo non è figlio di nessuna delle tre, lo hanno preso a vivere con loro, ma a un certo punto della storia gli preparano la valigia e lo lasciano andare. Prima, però, gli raccontano chi era sua madre. Scrive di lei Emma Dante, nelle note di regia: «Era secca come un'acciuga e teneva sempre accesa una radiolina. La casa era china 'i musica e Lucia abballava p'i masculi! Soprattutto per un falegname che si presentava a casa tutti i giovedì. L'uomo era proprietario di una segheria dove si fabbricavano cassette della frutta, guadagnava bene ma se ne andava in giro con un berretto di lana e i guanti bucati. Lo chiamavano “Geppetto”. Alzava le mani. Dalle legnate del padre nasce Arturo e Lucia muore due ore dopo averlo dato alla luce. Nonostante l'inferno di un degrado terribile, Anna, Nuzza e Bettina se lo crescono come se fosse figlio loro. Arturo, il pezzo di legno, accudito da tre madri, diventa bambino…»

Fare teatro per ammorbidire i cuori
Conversazione con Emma Dante
(dal programma di sala dello spettacolo, a cura dell’Ufficio Edizioni del Piccolo Teatro di Milano)

Da dove nascono le idee per i tuoi spettacoli e, nello specifico, come hai concepito Misericordia?
Mi imbatto in determinate situazioni, nella vita di tutti i giorni, per strada, al supermercato, e capisco di voler parlare di un certo tema. Nel caso di Misericordia, ero in ospedale con mio figlio, per degli esami. In corsia ho visto un ragazzino autistico, che girava su se stesso tutto il tempo, non stava mai fermo, ed era felice. L’immagine della sua danza, forsennata e allo stesso tempo gioiosa, ha fatto nascere in me il desiderio fortissimo di raccontare una storia che avesse come centro quel ballo senza sosta, una danza della vita e dell’arte: così, piano piano, è nata la drammaturgia di Misericordia.
 
Esiste un filo conduttore che lega le tue creazioni?
Sicuramente c’è un legame. Alcune sembrano forse un po’ più lontane, penso a Bestie di scena, che è un accadimento più performativo, rispetto a una storia come quella di oggi, dotata di una precisa struttura, di una trama, di relazioni tra i personaggi. Bestie di scena aveva una componente astratta, raccontava qualcosa di non ancorato alla realtà. Misericordia, come Le sorelle Macaluso, possiede un impianto drammaturgico compiuto. Sono spettacoli differenti, ma sono comunque tessere di uno stesso mosaico, contengono immagini e visioni che si somigliano: il lavoro sull’indecenza, sul gesto indecente, sulla cosa scorretta, disarmonica e maleducata.

Perché l’hai intitolato Misericordia?
Lo spettacolo racconta qualcosa che ha a che fare con la pietà. Anna, Nuzza e Bettina, nonostante la condizione tremenda e disagiata di marginalità in cui vivono, scelgono di prendersi cura di un essere, Arturo, che, per quanto speciale, è problematico, non è facile da gestire, soprattutto in un tugurio misero e lercio come quello in cui vivono. Eppure lo adottano, lo ricevono da una di loro che muore ammazzata sotto le percosse di un uomo, e lo crescono. Il loro gesto misericordioso è molto forte: non agiscono per interesse, né per egoismo; solo per amore. Allo stesso tempo, mi piacerebbe che il pubblico avesse nello sguardo quella misericordia di cui oggi si ha sempre più bisogno, che assistesse a questa storia con un atteggiamento accogliente. Le storie che racconto esistono davvero; anche se ci paiono lontane, sono reali e abitate da personaggi autentici. Gli animi si sono induriti, ma fortunatamente esiste il teatro, che per me serve e servirà sempre ad ammorbidire il cuore della gente, oggi terribilmente chiuso. Qualche giorno fa, per strada, ho visto un giovane buttato a terra, con delle coperte addosso. Vicino a lui stavano il suo cane, pancia all’aria, come fanno gli animali quando si espongono in cerca di affetto, e un cartello con la scritta “ho fame”. Sono passati un ragazzo e una ragazza, ben vestiti; guardavano le vetrine, forse erano in giro per fare shopping. Lui ha osservato la scena, si è voltato verso di lei e ha detto: “mangia il cane”. Lei ha riso e sono passati oltre, continuando a guardare le vetrine. È tanta durezza a spaventarmi: dobbiamo continuare a fare questo nostro mestiere perché intorno a noi si manifestano sintomi tremendi di una totale mancanza di empatia e solidarietà, lo stesso atteggiamento di chi vuole cacciare via le persone che domandano aiuto.

Misericordia getta luce anche su un altro tema di attualità: la violenza sulle donne.
Argomento tanto attuale quanto irrisolto. Più frequente e terribile negli ambienti degradati dove non esiste difesa né modo per salvaguardare la vita delle persone in pericolo, perché c’è maggiore omertà. Ci sono tanti casi di vite disgraziate, di persone che non sanno dove trovare la forza per andare avanti. Credo che la paura di poter essere uccise sia forse ancora peggiore della morte stessa: svegliarsi la mattina e avere il terrore di incontrare per strada la persona che ci sta perseguitando è un incubo che uccide la vita stessa.

Fortunatamente si parla anche di maternità. Che cos’è la maternità per Emma Dante?
È quella cosa che senti, a prescindere dal fatto di avere partorito o no un essere umano, di averlo tenuto in grembo. Non conta che un bambino abbia o no i tuoi tratti… Che importano le somiglianze? La maternità non ha a che fare con il sangue, ma con il contatto fisico, con la condivisione, con l’amore, con uno strano modo di crescere insieme. La mamma è colei che ti fa sentire al sicuro. Ecco, per me la maternità ha a che fare con la parola riparo.

In Misericordia, come in tutti i tuoi spettacoli, esiste un grande lavoro sulla lingua e sui linguaggi. Qui ce ne sono almeno tre, il siciliano, il pugliese e la danza.
Le tre attrici, Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi e il danzatore Simone Zambelli interpretano personaggi che provengono da posti differenti ma si ritrovano a vivere insieme, nello stesso luogo. Perciò parlano lingue diverse, ma esprimono lo stesso sentire. Ciascuno di loro ha una propria “lingua madre”, che è la componente su cui lavoro nel corso delle prove.
Nel caso di Simone, ad esempio, questa lingua madre è la danza, perché è la disciplina in cui si è formato. Il suo talento sta nel farci “dimenticare” di essere danzatore: il controllo e la consapevolezza che ha del proprio corpo sono finalizzati a raccontare un sentimento. Peraltro l’incontro con lui avvenne nello stesso giorno della visita in ospedale, dove avevo visto quel ragazzino girare freneticamente. La sera assistetti a uno spettacolo di danza di cui Simone era protagonista e notai quel suo modo di muoversi che non era semplice coreografia, ma qualcosa che si generava dentro di lui. Fu una coincidenza incredibile. Tornando ai linguaggi, Italia e Manuela si esprimono in siciliano, Leonarda in pugliese. Il loro è un dialetto quotidiano, simile a quello delle Sorelle Macaluso, per me più che comprensibile. Forse non verranno colte proprio tutte le parole, ma la storia che veicolano arriverà tranquillamente a chi sia disponibile all’ascolto. Il teatro per me serve a creare un dialogo tra una persona “matura”, lo spettatore, e lo spettacolo, per definizione “immaturo”, in quanto giostra giocosa dell’orrore. Perciò non può essere il palcoscenico il luogo dove mostrare un prodotto dettato dall’esigenza di addomesticare, accomodare, coccolare il pubblico come se fosse un cucciolo bisognoso di cure: allo spettatore si chiede anche di fare uno sforzo.
 
Perché hai inserito dei riferimenti a Pinocchio?
A un certo punto del testo, si dice che il padre di Arturo, l’uomo che ne uccide la madre, faceva il falegname e nel quartiere era soprannominato Geppetto, perché andava sempre in giro con dei guanti bucati e un berretto; al di là di questo, l’elemento che principalmente mi ha guidato verso il Pinocchio di Collodi è che, nella nostra tradizione culturale, è il romanzo simbolo di un rito di passaggio, della crescita, della scoperta di sé, della trasformazione. Così, nello spettacolo, il bambino nato “duro”, legnoso, massacrato ancor prima di nascere, generato dalle percosse che lo hanno rovinato per sempre, attraverso l’amore di tre donne, piano piano diventa bambino. Perché loro non sono solo mamme: sono anche un po’ fate.

Perché, alla fine, lo mandano via?
Pretendono per lui un destino migliore. È un finale aperto alla speranza: non è una cacciata, né un abbandono. Si augurano che Arturo possa avere una sorte diversa dalla loro.

È la tua seconda produzione al Piccolo. Cosa significa per te?
Proprio perché è un teatro che ho sempre amato, tengo moltissimo che lo spettacolo possa parlare al pubblico di qui, a Milano, e che possa stabilirsi “una corrispondenza d’amorosi sensi”. Gli spettacoli sono creature fragili, ma possiedono l’immenso potere di farci uscire da teatro diversi da come vi eravamo entrati.

Gli incontri al Chiostro
Il Piccolo Teatro di Milano organizza due incontri per approfondire i temi dello spettacolo
Il primo, in programma mercoledì 15 gennaio, è con Emma Dante e la scrittrice Elena Stancanelli; il secondo, mercoledì 22 gennaio, ha per protagonista La Compagnia: sarà l'occasione per parlare con Italia Carroccio, Manuela Lo Sicco, Leonarda Saffi, Simone Zambelli del lavoro con la regista, dei personaggi e della messa in scena.
Gli incontri sono alle ore 17, al Chiostro Nina Vinchi di via Rovello 2 e sono a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria sul sito del Piccolo: www.piccoloteatro.org

Piccolo Teatro Grassi (Via Rovello 2 – M1 Cordusio), dal 14 gennaio al 16 febbraio 2020
Misericordia
scritto e diretto da Emma Dante
luci Cristian Zucaro
con (in ordine alfabetico) Italia Carroccio (Bettina), Manuela Lo Sicco (Nuzza),
Leonarda Saffi (Anna), Simone Zambelli (Arturo)
coproduzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa,
Atto Unico / Compagnia Sud Costa Occidentale, Teatro Biondo di Palermo
coordinamento e distribuzione Aldo Miguel Grompone, Roma

Foto di scena Masiar Pasquali

Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30; mercoledì e venerdì, ore 20.30; domenica, ore 16. Lunedì riposo.
Durata: un’ora senza intervallo.

Le recite del 18, 25 gennaio e 1, 8, 15 febbraio 2020 sono sopratitolate in inglese
Sopratitoli a cura di Prescott Studio

Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro

Informazioni e prenotazioni 0242411889 - www.piccoloteatro.org
News, trailer, interviste ai protagonisti su www.piccoloteatro.tv

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