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martedì 1 febbraio 2022

PICCOLO TEATRO STREHLER DI MILANO
"M IL FIGLIO DEL SECOLO"
DI E CON MASSIMO POPOLIZIO

Mercoledì 2 febbraio, debutta in prima nazionale M Il figlio del secolo di Massimo Popolizio. Imponente produzione del Piccolo Teatro di Milano, con il Teatro di Roma e Luce Cinecittà, lo spettacolo racconta, a partire dal romanzo storico di Antonio Scurati (premio Strega 2019), l’ascesa di Mussolini dalla fondazione dei fasci di combattimento, passando per la Marcia su Roma (della quale nel 2022 ricorre il centenario), fino al discorso in Parlamento del 3 gennaio 1925 e al dilagare dello squadrismo. Popolizio, nella duplice veste di regista e attore in scena, porta sotto la lente d’ingrandimento del teatro sei anni che sconvolsero l’Italia.

Accanto allo stesso Popolizio, nei panni di Benito “il teatrante” e a Tommaso Ragno, in quelli di Benito Mussolini, diciotto attori per circa ottanta ruoli: (in ordine di locandina) Sandra Toffolatti, Paolo Musio, Raffaele Esposito, Michele Nani, Tommaso Cardarelli, Alberto Onofrietti, Riccardo Bocci, Diana Manea, Michele Dell’Utri, Flavio Francucci, Francesco Giordano; e ancora Gabriele Brunelli, Giulia Heathfield Di Renzi, Francesca Osso, Antonio Perretta, Beatrice Verzotti.

Le scene sono di Marco Rossi; Gianluca Sbicca firma i costumi; le luci sono curate da Luigi Biondi, il suono da Sandro Saviozzi, i video da Riccardo Frati e i movimenti da Antonio Bertusi.

Lo spettacolo è al Teatro Strehler fino al 26 febbraio e sarà al Teatro Argentina, a Roma, dal 4 marzo al 3 aprile. Tornerà, poi, al Piccolo Teatro, nell’autunno 2022.

Durante la permanenza milanese, intorno a M Il Figlio del secolo si sgrana un fitto calendario di iniziative e incontri per il pubblico e per le scuole, riuniti sotto il titolo Oltre la scena, a significare la necessità, per ricreare una comunità intorno al teatro, di esperienze condivise che vadano oltre la mera visione dello spettacolo.

Adattamento in trentuno quadri del romanzo storico di Antonio Scurati “M”, lo spettacolo firmato da Massimo Popolizio ha una struttura circolare, che si apre con l’ultima battuta del libro per poi tornare a quella stessa fatidica frase pronunciata in Parlamento da Mussolini al momento di “addossarsi la croce del potere”: Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io sono il capo di questa associazione a delinquere.

Senza alcuna inclinazione al compendio storico e riepilogativo, il testo dello spettacolo mira a portare in scena una rappresentazione plastica ed espressionista dell’affermarsi del fascismo.

Una storia, quella che instrada l’Italia al fascismo, che non si conosce mai abbastanza, in particolare quella dei sei anni che seguono la Grande guerra, con l’impresa di Fiume, il basculare del paese verso la rivoluzione socialista, la reazione e il dilagare dello squadrismo, la rocambolesca Marcia su Roma (di cui nell’ottobre del ’22 ricorre il centenario) e l’inesorabile efficacia di una dottrina politica che si sottrae alle categorie di giudizio con l’azione violenta. Protagonisti ne sono il fondatore del fascismo almeno quanto i suoi comprimari, che sentiremo esprimersi in terza e prima persona, Marinetti, D’Annunzio, Margherita Sarfatti, gli antagonisti Nicola Bombacci, Pietro Nenni e Giacomo Matteotti (colto anche nella commovente relazione epistolare con la moglie Velia), Italo Balbo, gli smobilitati della Grande guerra e tutta una nuvola di individui venuti dal basso. Protagonista, si potrebbe dire allora, è l’intera comunità nazionale, “il paese opaco”, quasi che il fascismo non sia “l’ospite di questo virus che si propaga ma l’ospitato”.

Piccolo Teatro Strehler (Largo Geppi,1 – M2 Lanza), dal 2 al 26 febbraio 2022
M Il figlio del secolo
uno spettacolo di Massimo Popolizio
tratto dal romanzo di Antonio Scurati
collaborazione alla drammaturgia Lorenzo Pavolini
scene Marco Rossi, costumi Gianluca Sbicca
luci Luigi Biondi, suono Sandro Saviozzi
video Riccardo Frati, movimenti Antonio Bertusi

Interpreti Personaggi

con
Massimo Popolizio Benito “il teatrante”
Tommaso Ragno Benito Mussolini
e con
Sandra Toffolatti Manifestante socialista, Margherita Sarfatti
Paolo Musio Passante milanese, Stefano Pittaluga,
Cesare Sarfatti, Pietro Nenni, Italo Balbo
Raffaele Esposito Guido Keller, Giacomo Matteotti
Michele Nani Reporter
Tommaso Cardarelli Filippo Tommaso Marinetti, Umberto Pasella,
Nicola Bombacci, voce Natale,
Conte Carminati Brambilla, Emilio De Bono,
Giuseppe Viola
Alberto Onofrietti Domenico Ghetti, camionista, operaio,
voce Natale, parlamentare, soldato,
Amerigo Dumini
Riccardo Bocci Gabriele D’Annunzio, cartomante, donna delle pulizie,
comandante, carabiniere, magistrato
Diana Manea Manifestante socialista, ragazza di Fiume,
Ida Dalser, donna socialista
Michele Dell’Utri Ferruccio Vecchi, Giovanni Gasti, operaio,
tipografo, parlamentare,
Cesare Maria De Vecchi, Augusto Malacria
Flavio Francucci Edmondo Mazzucato, portiere d’albergo,
operaio, voce Elezioni Rosse, Giovanni Cerea,
parlamentare, Michele Bianchi, Ovidio Caratelli
Francesco Giordano popolano, ubriaco, parlamentare

e con

Gabriele Brunelli Ardito, operaio, contadino piacentino,
guardia giurata, parlamentare, Albino Volpi
Giulia Heathfield Di Renzi Manifestante socialista, Bianca Ceccato,
ragazza fascista
Francesca Osso Manifestante socialista, ragazza di Fiume,
Velia Titta, Rosa Vagnoli
Antonio Perretta Passante milanese, soldato, socialista,
parlamentare, segretario, netturbino, magistrato
Beatrice Verzotti Manifestante socialista, ragazza di Fiume,
operaia, albergatrice, Rachele Mussolini,
Contessa Giulia Mattavelli, bagnante

produzione Piccolo Teatro di Milano-Teatro d’Europa, Teatro di Roma, Luce Cinecittà

Orari: da martedì a sabato, ore 19.30; domenica ore 16. Lunedì riposo.

Durata: circa tre ore

Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro

Informazioni e prenotazioni 02.21126116 - www.piccoloteatro.org

M Il figlio del secolo è una vertiginosa immersione nella Storia, coacervo di innumerevoli storie, con il suo impressionante carico di rivolgimenti e di rovine, per riscoprire tra le pieghe del passato del nostro Paese le mappe per navigare il futuro, per capire – dunque – chi siamo e da dove veniamo. Costruito attorno al monumentale romanzo (premio Strega 2019) con cui Antonio Scurati, con taglio originale e coinvolgente, ripercorre l’ascesa al potere di Mussolini, lo spettacolo è stato riassemblato in una nuova tessitura drammaturgica di trentuno quadri da Massimo Popolizio, nella duplice veste di regista e attore in scena. In una dialettica sapida e feroce che chiama in causa tanto figure cardinali quanto personaggi apparentemente “minori”, la caleidoscopica rappresentazione mutua il proprio registro stilistico dall’incandescente materia di partenza, in bilico fra incubo circense felliniano e impietoso processo. Un’intima pulsione brechtiana tesa ad aderire con l’arte alla complessità del reale percorre la sfida che coraggiosamente mette in campo la straordinaria compagnia di diciotto attrici e attori, e che può essere riassunta attraverso la lezione sulla molteplicità del Calvino “americano” (con la licenza di pensare al teatro quando si parla di letteratura): «L’eccessiva ambizione dei propositi può essere rimproverabile in molti campi d’attività, non in letteratura. La letteratura vive solo se si pone degli obiettivi smisurati, anche al di là d’ogni possibilità di realizzazione». Grazie agli amici del Teatro di Roma e di Luce Cinecittà per aver condiviso questa avventura.
Claudio Longhi
Direttore del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa

Il Teatro di Roma, in coproduzione con il Piccolo Teatro di Milano e con Luce Cinecittà, ha scelto di affidarsi allo sguardo affilato e rigoroso, insieme straniante e partecipativo, dell’“opera mondo” di Antonio Scurati M Il figlio del secolo per provare a riflettere su una fondamentale fase della storia politica e culturale del nostro Paese. Il difficile e irrisolto rapporto che l’Italia ha sempre avuto – e continua ad avere – con la necessità di fare i conti con il proprio passato, e in particolare con determinati periodi oscuri, complessi e ambigui, diventa l’occasione per osservare, da vicino, attraverso la lente di un grottesco a tratti velenoso, a tratti drammatico, il folle sprofondamento nelle aberrazioni del regime fascista. Lungo i sei anni che vanno dal 1919 al 1924, l’accurata radiografia dei processi di massificazione non passa solo per il protagonismo di Mussolini, sdoppiato nelle copie anamorfiche su cui si regge la messa in scena, ma anche per tutta una selva di presenze che ritraggono, grazie alla forza espressiva e alla versatilità di un nutrito cast di attrici e attori, lo smarrimento, e la conseguente parabola della caduta, di una comunità intera.
Gianluca Sole
Commissario Straordinario del Teatro di Roma - Teatro Nazionale

«Forse il fascismo non è il virus che dilaga, ma il corpo che lo accoglie». Queste parole di M., l’opera di Antonio Scurati che gli è valsa il Premio Strega 2019, sono uno dei motivi che ci hanno spinto a co-produrre la sfida lanciata da Massimo Popolizio, insieme al valore testimoniale della nostra memoria storica e al rapporto tra teatro e letteratura. Se si osservano le vicende dell’attualità, quelle parole, vecchie ormai di un secolo, continuano a produrre sinistre risonanze fattuali. Si è assaliti dal dubbio che il virus del fascismo non sia mai davvero debellabile, e che, sotto la cenere della democrazia i suoi tizzoni continuino a covare il calore capace, da un momento all’altro, di riattizzare i focolai dell’intolleranza e della prevaricazione. L’esercizio della memoria è l’unica difesa dai virus del passato. Cinecittà-Istituto Luce ha ritenuto opportuna la sua partecipazione a questo progetto in coerenza rispetto alla sua funzione di custode della memoria collettiva di questo Paese. Lo spettacolo di Popolizio è in sintonia anche con una delle missioni di Cinecittà. Non solo archivio di immagini e laboratorio cinematografico, ma luogo di produzione culturale multidisciplinare così com’è nella natura della settima arte, che è fatta anche di recitazione, di musica con le colonne sonore, di scrittura con le sceneggiature e di arte e fotografia. L’ambiziosa riduzione teatrale dei due libri di Antonio Scurati conferma quanto proficuo e felice possa essere il proposito, che Cinecittà condivide e promuove, di far dialogare tra loro le diverse espressioni artistiche.
Chiara Sbragia
Presidente Cinecittà SpA

La commedia pericolosa di un trasformista di nome M

Conversazione con Massimo Popolizio
(dal programma di sala dello spettacolo, a cura dell’Ufficio Edizioni del Piccolo Teatro di Milano)

Massimo Popolizio, perché hai portato in scena M Il figlio del secolo?

Avevo incontrato Antonio Scurati più volte, prendendo parte ad alcune iniziative dedicate a M Il figlio del secolo, all’epoca della pubblicazione del libro. In una di quelle occasioni, gli avevo chiesto di lavorare insieme a un progetto ambientato nel 1910: la storia di un macellaio romano che si fa chiamare Giulio Cesare, e che vive e si atteggia alla maniera di Benito Mussolini. Scurati aveva controbattuto proponendomi di adattare per il teatro il suo stesso romanzo, operazione che mi pareva sinceramente complessa, data la mole dell’opera letteraria. Ci ho riflettuto per un mese, ne ho anche parlato con alcuni amici, Franco Branciaroli e Umberto Orsini, che mi hanno subito incoraggiato a buttarmi nell’impresa. Venivo da due esperienze teatrali come Nemico del popolo di Ibsen e Furore dal romanzo di Steinbeck, avevo letto M e sentir risuonare le parole di alcuni leader contemporanei mi ha fatto pensare che quella proposta, nata per caso, rispondesse invece a una precisa necessità: così ho deciso di farlo.

Oltre ottocento pagine da adattare per la scena. Come hai fatto?

È un testo del quale tutti conosciamo più o meno “la storia”, ma che non è né un giallo, come Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Gadda, né una saga familiare come I fratelli Karamazov di Dostoevskij, per citare due spettacoli, tratti da romanzi, nei quali ho recitato diretto da Luca Ronconi. Nel nostro caso, quale doveva essere il punto di vista? Mai come in questo caso, la chiave di tutto sta nel montaggio. Quando si affronta uno spettacolo del genere, non con un semplice “adattamento da”, come si farebbe per il cinema o per una serie tv, ma ricreando dialoghi e personaggi, sempre e soltanto con le parole del libro, ne nasce un oggetto a sé. Questo nuovo prodotto ha le sue specifiche necessità: lo si recita tutto di seguito? Lo si divide in tempi? Lo si scandisce in capitoli diversi da quelli del libro? La versione che il pubblico vedrà credo sia l’undicesima. Ci sono arrivato con il metodo che solitamente applico a questo tipo di spettacoli: rileggo il libro al contrario, dal fondo all’inizio, sottolineando tutto quello che teatralmente mi pare valido; poi di nuovo e di nuovo, una seconda, una terza, una quarta volta, sempre togliendo, riducendo e rimontando, fino a quando ottengo una sorta di enorme bobina di parole e di frasi, da attribuire ai personaggi storici – Sarfatti, Mussolini, Matteotti, Balbo, Nenni… – ma anche a quelli inventati – spazzino, reporter, carabiniere, operaia…

Ne ho ricavato una creazione a sé, suddivisa in quadri che presentano anche titoli diversi da quelli del romanzo originale. Essi talora identificano il personaggio protagonista – D’Annunzio, Sarfatti, Bombacci – in altri casi sottolineano una situazione o un atteggiamento. Faccio un esempio: quando Mussolini si reca a Firenze, per incontrare il pubblico nella platea di un teatro, e strega i fascisti in sala, presentandosi sudato e macchiato di grasso, con indosso una tuta da aviatore, abbiamo chiamato l’episodio “Il teatrante”. M si comporta qui come Petrolini quando impersonava Nerone: recita una parte. Queste invenzioni, su cui si basa la divisione in trentuno quadri cui siamo approdati insieme a Lorenzo Pavolini, sono funzionali a dare un’idea del percorso di Mussolini dal 1919 al 1924, senza però fare un Bignami del fascismo. Il pericolo da evitare era una riduzione in cui a comandare fosse solo l’esigenza di stare nei tempi sensati di uno spettacolo teatrale: la nostra sfida è stata scegliere di percorrere alcuni dei filoni narrativi del romanzo e di mantenerci dentro quei confini.

Come hai lavorato, con gli attori, sui personaggi?

Come sempre faccio, ho tentato di avere più attori possibile. Il mio imprinting, quando da ragazzo ho iniziato a recitare, è stato lavorare in compagnie enormi, dirette da Ronconi. Il grande investimento del Piccolo Teatro su questa produzione, insieme al Teatro di Roma e a Luce Cinecittà, mi ha permesso di avere diciassette attori, diciotto includendo me, alcuni con maggiore, altri con minore esperienza. Tranne Tommaso Ragno, che impersona Mussolini – mentre io, che sono l’uomo del varietà, ne incarno l’aspetto più istrionico – gli altri fanno tutto. Sono professionisti di età diverse, perché sono convinto che il teatro non sia mai generazionale: ho avuto la fortuna di iniziare accanto ad attori di sessanta, settanta, settantacinque anni e penso che gli allievi e gli attori debbano mescolarsi, che non debbano mai esserci compagnie di soli ventenni o trentenni, o, peggio ancora, con un solo protagonista “maturo” attorniato da giovanissimi: credo sia necessario intrecciare le esperienze.

Nel caso dei ruoli di M, non parlerei di personaggi, ma di figure. Quando mi sono avvicinato al testo, non sapevo bene cosa fare, ma mi era chiarissimo cosa non fare. Non doveva essere qualcosa che assomigliasse a un documentario di Rai Storia, perché Paolo Mieli è più bravo di me, né era quello il nostro obiettivo; né potevo andare nella scia di un film di Bertolucci o di Florestano Vancini, dove tutti gli attori sono truccati in modo da rappresentare i personaggi come iconograficamente la storia ce li ha consegnati. Io per primo ho alle spalle un’interpretazione cinematografica di Mussolini in Sono tornato (il film di Luca Miniero del 2018, n.d.r.) quindi comprendo quali siano le difficoltà, e i limiti, di stare in scena con il cranio rasato, gli stivaloni, la camicia nera e il fez… Qui abbiamo trentuno quadri, dall’andamento estremamente dinamico, coinvolgente e rapido. Gli attori, che sono il nutrimento, la linfa di questa operazione, nel loro continuo passarsi il testimone, devono restituire l’idea di una specie di furore. Quello che ho imparato da Luca Ronconi, perché era l’unico regista che lo sapeva fare, è la capacità di creare in palcoscenico un primo piano, un campo lungo, un campo medio, uno sfondo. Quando si allestisce un’opera non nata per il palcoscenico, che comporta battute in terza persona, la chiarezza è fondamentale per mettere il pubblico in condizione di seguire. Tale nitidezza è frutto di un continuo movimento di macchina, con alcuni attori che vengono in primo piano, a pronunciare le loro battute, e si portano quindi all’attenzione dello spettatore, mentre altri escono dal fuoco; chi in quel momento non sta recitando, ma è comunque in scena, non deve costituire un elemento di distrazione o di disturbo. Pertanto, il palcoscenico – soprattutto quello di un teatro difficile da gestire come lo Strehler – va impiegato in tutto il suo potenziale: mai come in questo caso, lo spazio, e quindi la scenografia di Marco Rossi, è parte integrante della scrittura drammaturgica.

Ho sempre pensato, e ancora di più questa idea si è confermata in me nel corso delle prove, di trovarmi davanti a un piccolo Brecht italiano: anche Brecht divideva i suoi testi in quadri, anche lui impiegava il varietà, i cori, le canzoni, determinati movimenti, per raccontare le sue storie. Questa forma “brechtiana” mi ha permesso di scegliere una chiave grottesca per uno spettacolo che non mai è ideologico, ma sempre teatrale. Faccio l’esempio del quadro intitolato “Arditi”: Mussolini, con in testa un cappuccio da boia, pronuncia la frase “Siamo cento persone scarse. Siamo pochi e siamo morti”, prendendo atto di dover scrivere il futuro del suo movimento con un manipolo di gente raccogliticcia. Il personaggio che vediamo in scena è un boia, ma non è semplicemente il “cattivo”, il vilain: è un manipolatore, è mercuriale, mutevole, intelligente, ammiccante, fragile, con le donne ha rapporti completamente distorti. L’idea stereotipata dell’uomo muscolare non è stata mai presa in considerazione, perché già la conosciamo. Mussolini non appare mai, né in video, nelle proiezioni curate da Riccardo Frati, né in scena: Tommaso Ragno e io ne pronunciamo sempre le parole in terza persona.

Hai scelto un approccio essenziale e astratto per lo spazio, ma invece hai voluto costumi storicizzati. Come mai?

Dal momento che non abbiamo optato per un’adesione iconografica degli attori ai rispettivi personaggi, mi pareva davvero troppo metterli in scena in abiti contemporanei. Inoltre, non sono il tipo di regista capace di trasferire un testo a un’altra epoca: dentro a quel contenitore, a quella scenografia, era fondamentale inserire personaggi con un certo tipo di abiti. Inoltre, i costumi di Gianluca Sbicca, estremamente curati e preziosi nella fattura, aggiungono valore allo spettacolo.

Parliamo anche del lavoro che avete fatto sul suono e sulla scelta musicale.

Il procedimento è molto simile a quello adottato nella scrittura drammaturgica: sono partito da una prima libreria con oltre seicento brani, andando poi a selezionare e a individuare quelli adatti a ogni singolo momento.

Non nascondo che spesso è stata la musica a indirizzarmi sulla strada giusta per risolvere una scena: mi sembrava che certe cose funzionassero meglio se intrecciate a un brano d’epoca, oppure del repertorio barocco, a una musica tecno, a un tango, a un valzer, a una mazurka, cui si aggiungono rumori, tuoni, suggestioni. Uno spettacolo teatrale, per il pubblico contemporaneo, necessita di una grande cura visiva e sonora, a maggior ragione per me, che vengo da una scuola dove, già vent’anni fa, un professionista come Hubert Westkemper impiegava effetti e sonorizzazioni particolari. Con Sandro Saviozzi abbiamo costruito una rete, un tappeto sonoro, funzionale alla drammaturgia e al lavoro degli interpreti. I nostri copioni – il mio, quello dei miei colleghi, quello dei fonici – sono veri e propri spartiti, all’interno dei quali sta poi a noi attori convogliare la giusta energia e il corretto flusso emotivo.

Con quali sensazioni vorresti che il pubblico uscisse dallo spettacolo?

Con una metafora un po’ prosaica, direi che lo spettacolo è come una lasagna: può essere “mangiato” a strati. Contiene qualche omaggio teatrale e alcuni riferimenti cinematografici; vi sarà chi li riconoscerà e ne sarà contento, ma non è indispensabile per “entrare” nello spettacolo. Qualcuno forse potrà risentirsi, perché i socialisti ci fanno una bruttissima figura, oppure perché Mussolini è stato trattato male, o forse perché non lo è stato abbastanza. Potrà apparire come un modo insolito di leggere la storia, ma non credo lasci indifferenti, il che mi pare già un bel risultato.

Mussolini torna al Piccolo Teatro

Antonio Scurati
(dal programma di sala dello spettacolo, a cura dell’Ufficio Edizioni del Piccolo Teatro di Milano)

A tutti i cittadini milanesi presentiamo il “loro” teatro, il “Piccolo Teatro della Città di Milano”, il primo teatro comunale di prosa d’Italia.

Noi non crediamo che il teatro sia una abitudine mondana o un astratto omaggio alla cultura. Non vogliamo offrire soltanto uno svago né una contemplazione oziosa e passiva: amiamo il riposo, non l’ozio; la festa, non il passatempo… Il teatro resta quel che è stato nelle intenzioni profonde dei suoi creatori: il luogo dove una comunità, liberamente riunita, si rivela a se stessa; il luogo dove una comunità ascolta una parola da accettare o da respingere. Perché anche quando gli spettatori non se ne avvedono, questa parola li aiuterà a decidere nella loro vita individuale e nella loro responsabilità sociale… Chiediamo la vostra solidarietà in questa nostra fatica.

Si penserà a un errore storico. Benito Mussolini – si obietterà – non è mai stato al Piccolo Teatro poiché le attività di quella straordinaria istituzione culturale presero avvio nell’aprile del 1947, a due anni esatti dalla morte del duce del fascismo e dall’oscena esposizione del suo cadavere in una piazza di quella stessa città di Milano che, per l’occasione, si riversò in strada facendo di se stessa teatro della crudeltà.

La cronologia degli eventi storici dice, indubbiamente, così. Il Mussolini vivente non può far ritorno al Piccolo Teatro di Milano perché non vi mise mai piede in carne e ossa. Ma la sua ombra sì. Il suo fantasma sì. E ve lo mise fin dal primo giorno.

È sufficiente rileggere, o leggere per la prima volta, la splendida declaratoria con la quale i fondatori del Piccolo vollero battezzare la nascita della loro creatura come figlia di tutti, figlia di popolo rinato, per comprenderlo immediatamente: sull’origine del primo teatro comunale d’Italia, libero, popolare, artistico, si allunga l’ombra del fascismo. Esso nasce, anzi, proprio con lo scopo precipuo di fugare quell’ombra. Non certo di obliterarla, né di camminare innanzi a essa lasciando che si allunghi sul mondo alle nostre spalle ma di fare luce dov’era stata tenebra. La costituzione di quell’impresa culturale fu la risposta del teatro d’arte a vent’anni di dittatura fascista e all’apocalisse bellica e razzista in cui precipitarono il nostro Paese.

Il richiamo alla “libera comunità riunita”, lo stigma gettato nelle righe precedenti sui “bandi del teatro dei diecimila e il conformismo della propaganda” non lasciano dubbi a riguardo. L’ombra del fascismo e del suo fondatore affianca i fondatori del Piccolo Teatro, Paolo Grassi e Giorgio Strehler, nell’atto della fondazione. Il fantasma di Benito Mussolini è, dunque, già stato al Piccolo, fin dal suo primo giorno di vita. E, forse, da un certo punto di vista, non se n’è mai andato da lì. Lo spettacolo che andrà in scena in Largo Greppi segna, dunque, in qualche modo, un ritorno.

Non è, però, soltanto la catena storica degli antecedenti e dei conseguenti a suggerire l’idea del ritorno. La suggeriscono anche decenni di sforzi intellettuali e morali per comprendere l’incomprensibile, ossia lo scivolamento verso l’abiezione civile e politica che il fascismo ha rappresentato agli occhi degli italiani e degli europei nati dopo di esso. Com’è stato possibile che il figlio di un fabbro, venuto dal socialismo e già dato politicamente per spacciato nell’autunno del 1919, quando il suo movimento politico ottenne soltanto 2100 voti alle prime libere elezioni del dopoguerra, in soli tre anni abbia potuto, poi, con lo stupro e con la seduzione, con la violenza e con l’astuzia politicante, marciare su Roma in vagone letto, salutato da molti come il salvatore della Patria, e ricevere dal Re d’Italia l’incarico di formare il suo primo Governo? E com’è stato possibile che, in seguito, nel giro di pochi anni, quello stesso uomo, fino a ieri capobanda di una masnada di delinquenti politici, teorizzando e praticando apertamente la mortificazione della democrazia, abbia istituito una ferrea e brutale dittatura personale con il consenso crescente, e presto maggioritario, di chiesa, monarchia, industria, esercito e del popolo italiano, fino ad essere definito dal Papa in persona “l’uomo della Provvidenza”?

Spesso – forse troppo spesso – per trovare la ragione di questo misterium iniquitatis si è associato Mussolini al teatro. Attore, teatrante, commediante, fingitore, istrione, guitto, buffone, impostore. Questi epiteti, sempre usati in un’accezione negativa, sono stati attribuiti al dittatore infinite volte e spesso per spiegare il suo avvento al potere. Cominciarono a farlo i contemporanei e non hanno smesso di farlo i posteri, come se il fascismo tutto non fosse stato altro che una recita di successo e il suo “Capo” un abile capocomico. Tutto una farsa, un copione tragicomico. Qualcuno arrivò perfino a spiegare con queste stesse categorie l’esito apocalittico di quella messa in scena: Mussolini avrebbe avuto un talento impareggiabile per la commedia ma, venuta la Seconda guerra mondiale, si sarebbe scoperto, poi, del tutto inadeguato al genere tragico.

In questa ossessiva, ricorrente, martellante associazione di Mussolini alle arti della scena c’è qualcosa che va oltre la celebre metafora shakespeariana (life is a stage). A sorreggerla sta la convinzione che la metaforica del teatro colga qualcosa di specifico nella forma del potere forgiata dal fascismo attraverso le attitudini del suo leader. Non a torto, io credo.

Se da un lato, questa metaforica ha generato il principale equivoco nell’interpretazione storica di Mussolini – quello che tende a liquidarlo come un personaggio comico, insistendo sui suoi tratti che a noi oggi appaiono ridicoli o grotteschi – dall’altro l’associazione con l’arte dell’attore apre alla comprensione di quella che, a mio avviso, fu la principale intuizione di Mussolini in ambito politico. Vale a dire che il duce non fu soltanto il fondatore del fascismo ma anche l’inventore di una nuova forma di leadership – e di strategia politica – che oggi noi definiamo “populista”.

La leadership populista, oggi come ieri, si fonda, infatti, sul paradosso dell’attore nella misura in cui il leader populista, nella pretesa di imporsi quale incarnazione individuale del popolo, scommette tutto sulla supremazia tattica del vuoto. Non deve, cioè, avere principi, idee, obiettivi propri, non può e non vuole perseguire strategie di lungo periodo e di ampio respiro che lo costringano a marciare davanti al suo popolo indicandogli mete alte e lontane che il popolo non scorge. Al contrario, il leader inventato da Mussolini deve essere “uomo cavo”, vaso vuoto, pronto a ogni piroetta, a ogni giravolta funambolica, a ogni tradimento, solo tattica, solo fiuto, pronto a riempirsi degli umori della folla, delle sue paure, a orecchiarne le parole berciate soprattutto nei momenti d’ira, di sconforto, di delusione e a costruirvi sopra il proprio copione. Una recita a soggetto, insomma, una commedia dell’arte dallo sguardo losco: un occhio al palco e l’altro sempre fisso sulle reazioni della folla seduta in platea.

Al principio degli anni ’20 del secolo scorso Mussolini intuisce che, nell’era delle masse, allora ai suoi albori, il leader politico dovrà essere in grado di guidare non precedendo ma seguendo di un passo la folla.

Questa sua sciagurata e formidabile intuizione assimilerebbe il rapporto da lui stabilito con la massa a quello intrecciato, ogni volta che si apre il sipario, tra il corpo vivente dell’attore e il pubblico presente in sala. Uso il condizionale perché io credo fermamente che su questo punto la metafora del fascismo quale recita di successo – e di Mussolini quale abile commediante – non regga più.

Molte e inequivocabili sono le testimonianze riguardo all’istinto per le folle di Mussolini, declinato nell’accezione di talento teatrale. “Benito Mussolini – si disse, per esempio, acutamente di lui – non prova nessun sentimento e per questo motivo può fingerli tutti. È un classico”. Tra le tante, mi sembrano particolarmente significative quelle testimonianze che animarono la controversia riguardo la questione del coraggio fisico del fondatore del fascismo. In molti lo dipinsero come un vigliacco, molti altri, anche tra i suoi avversari, testimoniarono suoi gesti di coraggio in circostanze di pericolo fisico per la sua persona. A dirimere la questione fu, se non ricordo male, l’anarchico Camillo Berneri il quale, avendo frequentato il futuro dittatore al principio della sua carriera, analizzando i vari episodi di coraggio o vigliaccheria risalenti agli anni turbolenti della militanza socialista, concluse che Benito Mussolini era capace di coraggio di fronte al pericolo soltanto quando aveva un pubblico cui mostrarsi audace.

Questa osservazione ci illumina, io credo, sui limiti dell’analogia tra arte del teatro e forma politica del fascismo. La differenza fondamentale tra teatro e fascismo, l’abisso che si apre tra di essi ruota attorno a ciò che significa “avere un pubblico”. Qualunque siano state le inclinazioni e i talenti del Mussolini ai suoi esordi, la natura essenzialmente violenta, autoritaria, antidemocratica, tendenzialmente totalitaria del fascismo comporta proprio l’annientamento del “pubblico” inteso come “comunità, liberamente riunita” che “si rivela a se stessa” specchiandosi nelle arti della scena.

Il fascismo conobbe solo folle di uomini e donne, non uomini e donne; il suo ideatore, pur provenendo dal popolo, ridusse quel popolo a massa e come tale lo violentò e lo sedusse, lo esaltò e lo afflisse, lo governò e lo distrusse. Il fascismo non ammette, non tollera e, dunque, annienta ogni comunità di individui liberi di costruire la propria idea di se stessi tramite la rappresentazione artistica, accettando o respingendo la parola veritativa che viene loro offerta sulla scena. In altri termini, il fascismo è la radicale antitesi del teatro come forma d’arte. Lì dove c’è autentico teatro, come lo intesero i suoi creatori e, millenni più tardi, i fondatori del Piccolo, non può esserci fascismo.

Proprio per questo motivo io credo pericolosamente necessario che Benito Mussolini torni oggi sulla scena del Piccolo Teatro e che vi faccia ritorno finalmente incarnato nel corpo vivente degli attori, gettando la propria maschera per far posto alla loro. È pericoloso, certo, ma può e deve essere anche salvifico. Pericolo e salvezza, come ci insegnò il poeta, sorgono nello stesso luogo, nel medesimo momento.

Ed è proprio questo che noi oggi stiamo vivendo il momento storico nel quale Mussolini Benito cessi finalmente – e definitivamente – di essere un fantasma che aleggia sulla storia del nostro Paese (e non solo di quello). Sì, proprio questo momento qui, sotto questo cielo, su questo pezzetto di terra di nuovo infestata dall’addensarsi dei miasmi del Mussolini populista, della sua presenza spettrale.

Quando sono al tempo stesso pericolosi e necessari, a questo servono i romanzi, il teatro, l’arte: a chiudere i conti, a seppellire i morti, a evacuare la nostra casa comune dai fantasmi.

M Il figlio del secolo
Oltre la scena | Il Teatro del Giorno Dopo

#Walk_Talk

Passaggi di Testimone

Luoghi simbolo della Resistenza e della storia di Milano sotto il fascismo, lo stabilimento (oggi scomparso) dell’Alfa Romeo al Portello e il quartiere Niguarda sono al centro di due appuntamenti itineranti con le attrici e gli attori della compagnia di M, a dar voce, attraverso letture pubbliche, ai racconti e alle testimonianze storiche, grazie all’indispensabile supporto documentale e drammaturgico di A.N.P.I. Milano e del Teatro della Cooperativa.

sabato 19 febbraio, ore 10
Ospedale di Niguarda Ca’ Granda – Murales di Niguarda (via Graziano Imperatore)
Evento realizzato in collaborazione con A.N.P.I. Sezione Martiri Niguardesi, con il Teatro della Cooperativa
e con il Patrocinio di Municipio 9 e ANED

sabato 26 febbraio, ore 10
Piazzale Accursio, 5 (Biblioteca Comunale)
Evento realizzato in collaborazione con la Civica Biblioteca Accursio e le Sezioni A.N.P.I. del Municipio 8
con il Patrocinio di Municipio 8

#Sguardi paralleli

CineM

Vincere (2009), Il conformista (1970), Il delitto Matteotti (1973), Novecento - atto I e atto II - (1976): quattro film che hanno fatto la storia del cinema per cinque appuntamenti, ad affiancare la programmazione di M Il figlio del secolo e indagare come il grande schermo abbia saputo raccontare il fascismo. Le proiezioni saranno precedute da un'introduzione a cura degli studenti del Corso di Laurea Magistrale in Televisione, Cinema e New Media della IULM.

31 gennaio, 7, 14, 21 e 24 febbraio, ore 20.30
Anteo Palazzo del Cinema
Evento realizzato in collaborazione con Anteo Palazzo del Cinema e Università IULM
Per info, prenotazioni e biglietti spaziocinema.info

#Parole in pubblico

La fabbrica del consenso

Ascesa politica fa rima con consenso. E al consenso si arriva non solo attraverso la parola retorica, ma anche lavorando l’opinione pubblica ai fianchi, facendo leva sull’immaginario, coniugando estetica e identità collettiva. Tre incontri dedicati a tre ambiti diversi: sport, radio & pubblicità e moda, a ragionare con l’aiuto di studiosi ed esperti sulla nascita dell’immaginario fascista.

mercoledì 9 febbraio, ore 18
Lo sport _sui canali social del Piccolo
Conversazione con Enrico Landoni, autore di Gli atleti del duce (Mimesis) e professore associato di Storia contemporanea – Università telematica eCampus
Evento realizzato in collaborazione con Milanosport

mercoledì 16 febbraio, ore 17
La radio e la pubblicità
Conversazione con Giuseppe Mazza, copywriter, direttore creativo e docente IULM
e Gaia Varon, docente di comunicazione radiofonica IULM
Università IULM
Evento realizzato in collaborazione con Università IULM

mercoledì 23 febbraio, ore 18
La moda _sui canali social del Piccolo
Conversazione con Gianluca Sbicca, costumista di M e Colomba Leddi, Fashion Design Area Leader in NABA
Evento realizzato in collaborazione con NABA, Nuova Accademia di Belle Arti.

#PiccoloSmart

Good morning, anni Venti!

Cosa succedeva negli anni Venti, in Italia, mentre iniziava l’ascesa di M? Qual era la lingua, quali le idee e le informazioni che circolavano sulla carta stampata in quegli anni? Ce lo raccontano le attrici e gli attori della compagnia di M, grazie al prezioso contributo di Fondazione Corriere della Sera e dei suoi archivi. Notizie, curiosità, fatti di cronaca e di costume, ma anche reclame e brevi annunci pubblicitari, a restituire, in una manciata di minuti, il clima di un’intera stagione.

In collaborazione con Fondazione Corriere della Sera

Su PiccoloSmart e i canali social del Piccolo, dal 26 gennaio.

Laddove non diversamente specificato, gli appuntamenti sono a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria.

Info e prenotazioni su piccoloteatro.org
















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