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lunedì 22 maggio 2023

LA COMPAGNIA TORINO SPETTACOLI
L’IMPEGNO NEI CLASSICI ANTICHI 
E I GRANDI PROCESSI NEL DETTAGLIO

La Compagnia Torino Spettacoli è una realtà di primo piano nel panorama nazionale con specializzazione trentennale nei Classici antichi, restituiti allo spettatore di oggi. 

L’idea di proporre i grandi processi e le grandi orazioni dell’antichità nacque all’inizio degli anni ’50, a Genova, grazie al felice incontro tra il Professor Francesco Della Corte e un gruppo di universitari amanti del teatro, tra cui Vito Molinari e Piero Nuti che li presentarono con enorme successo nelle Università e nei teatri d’Italia. I fatti raccontati in questi processi sono antichissimi ma lo spirito in essi contenuto e le parole con le quali sono comunicati toccano direttamente la sensibilità contemporanea. La struttura drammaturgica curata da Elia Tedesco, al fianco di Piero Nuti sulla scena in questi anni nei lavori ciceroniani, e da Gian Mesturino, offre una carrellata e fa rivivere i passaggi più appassionanti degli adattamenti firmati dal maestro: Processo a un seduttore (Pro Caelio), Processo per corruzione (In Verrem), Il coraggio fa 90! (Pro Milone) e Processo a un cittadino (Pro Archia Poeta).

In Processo a un seduttore Cicerone difende Marco Celio Rufo, suo allievo ed amico, da una serie di pesanti accuse e, insieme alla trattazione più tecnicamente giuridica del fatto, utilizza molto lo strumento comico, con larghissimo uso dell’ironia, insieme al ridicolo nei fatti (exordium per insinuationem, le prosopopee, il racconto dei servi e della pisside) e nei detti (doppi sensi, giochi di parole, richiami e allusioni di versi tragici e comici, gaffes, lapsus imbarazzanti). Dal testo, oltre all’approccio cognitivo con una delle più interessanti orazioni giudiziarie e tutte le implicazioni di natura storica, politica, giuridica e retorica che comporta, emerge un quadro attendibile delle relazioni sociali a Roma durante la metà del I sec. a. C.

Processo per corruzione a poco più di vent’anni dalla morte di Craxi ne richiama la figura, ricordando un sistema politico tramontato agli inizi degli anni ’90 con Mani pulite. La riflessione sulla corruzione guarda al mondo antico, addirittura alla Roma repubblicana. Al processo che vide Verre, governatore della Sicilia qualche millennio fa, corrotto e corruttore, ladro di opere d’arte e il primo a creare editti “ad personam”.

L'avvocato dell'accusa era appunto Marco Tullio Cicerone: le orazioni da lui scritte erano state così efficaci che Verre aveva preferito lasciare Roma prima della fine del processo, perché aveva capito che sarebbe stato sicuramente condannato. Fu nelle Verrine che per la prima volta Cicerone utilizzò la celebre esclamazione: o tempora, o mores!, divenuta proverbiale per rimpiangere le virtù passate e deplorare la corruzione imperversante nella propria epoca.

“Un giorno la paura bussò alla porta. Il coraggio andò ad aprire e non trovò nessuno”: ecco Il coraggio fa 90 ! (Pro Milone) in cui si arriva a dimostrare l’impossibilità del… reale! Nel foro presidiato dalle truppe schierate da Pompeo, Cicerone dovette subire un’inusitata presenza delle armi e le urla intimidatorie dei Clodiani e non potè pronunciare la sua orazione. La sentenza di condanna con cui si chiuse il processo indusse Milone a rifugiarsi in esilio a Marsiglia.

In Processo a un cittadino l’attenzione è rivolta al concetto di cittadinanza, mobile e capace di evolversi in relazione al periodo storico, al territorio, alle civiltà e alle istituzioni: si adatta per rispondere ai fenomeni politici, sociali, culturali ed economici. Variano i contenuti stessi della cittadinanza, in termini di diritti e doveri dei cittadini, e variano i criteri per l’acquisizione della cittadinanza. Dal mondo antico alla cittadinanza globale, le suggestioni sono molte.

Correva l’anno 62 a.C. quando Cicerone assunse la difesa di Archia che era stato attaccato in realtà per interessi politici per colpire indirettamente Licinio Lucullo, uomo di spicco e nemico di Pompeo Magno. Il processo fu intentato in seguito all'approvazione della Lex Papia, con la quale si espellevano gli stranieri da Roma e si cercò di far ricadere Archia all'interno di questa categoria affermando che non era in possesso della cittadinanza. Cicerone, discepolo di Archia, durante la sua arringa presenta come ovvio il diritto di cittadinanza e evidenzia i grandi meriti del poeta, atti a valergli la cittadinanza anche nel caso non la possedesse. Questa orazione sottolinea l’importanza per ogni uomo di crearsi un solido bagaglio culturale e una buona padronanza dell’arte della parola.

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