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giovedì 11 gennaio 2024

TEATRO GRASSI DI MILANO
"HO PAURA TORERO"
CON CLAUDIO LONGHI E LINO GUANCIALE

Dall’11 gennaio all’11 febbraio 2024
In apertura del nuovo anno – dall’11 gennaio all’11 febbraio 2024 –, Claudio Longhi e Lino Guanciale portano in scena al Teatro Grassi, in prima assoluta, Ho paura torero, struggente e visionario capolavoro di Pedro Lemebel, scrittore e artista di culto in Cile, nella trasposizione teatrale di Alejandro Tantanian.

Murale rutilante di storie incrociate, doloroso e appassionato percorso di formazione che intreccia una doppia educazione, sentimentale e politica, lo spettacolo è una nuova produzione del Piccolo Teatro di Milano e vede in scena, accanto a Lino Guanciale, nei panni della Fata dell’angolo, a Francesco Centorame in quelli di Carlos, a Mario Pirrello (il Generale Augusto Pinochet) e ad Arianna Scommegna (Doña Lucia, sua moglie), Daniele Cavone Felicioni, Michele Dell’Utri, Diana Manea, Giulia Trivero.

La Santiago del Cile del 1986 è evocata dalle scene di Guia Buzzi, dai costumi di Gianluca Sbicca, dalle luci di Max Mugnai e dai video di Riccardo Frati.

Primavera 1986, alle cinque della sera… Santiago è una città di mezza tacca, schiacciata dai pattugliamenti e tutta intenta a spidocchiarsi tra la disoccupazione e il quarto di zucchero preso in prestito all’emporio. Nell’arena tumultuosa di notti marimbe e vagabonde, squarciate dai lampi dei blackout per i cavi elettrici scoperti e cullata dal gracchiare radiofonico di languide canzoni al miele e dulce de leche di “Al ritmo del cuore”, la Fata dell’angolo (travestito passionale), lo studente Carlos (militante del Fronte patriottico Manuel Rodríguez), il generale Augusto José Ramón Pinochet Ugarte e la sua fedelissima Doña Lucia, persi nel coro scomposto della città indolente e febbricitante, danzano, sinuosi o impettiti, il loro fatale e grottesco bolero col destino…

Scivolando tra le pagine chiassose e taciturne, arrabbiate e struggenti, ciniche e innamorate di Ho paura torero (2001), prezioso smeraldo del firmamento letterario ispano-americano, Claudio Longhi e Lino Guanciale, in questa nuova tappa del loro lungo sodalizio, compongono un murale rutilante di storie incrociate.

È un racconto di formazione, Ho paura torero, in bilico tra una dimensione privata, intima, sentimentale e una politica, sociale. La prima è quella nella quale volteggia la Fata dell’angolo, protetta dalle pareti della sua casetta macilenta, unico amore della vita, sospirando sulle note delle canzoni d’amore trasmesse dalla radio e interrotte dalla voce di Sergio Campos e dai comunicati di

Radio Cooperativa. L’altra è quella dell’utopia, dell’idealismo, della strenua opposizione al regime di Pinochet, che infiamma azioni e pensieri del giovane studente universitario; approfittando del fascino esercitato sulla Fata, Carlos ne trasforma il ‘nido’ in base e nascondiglio per le riunioni clandestine del Fronte patriottico Manuel Rodríguez. L’esito finale di quegli incontri carbonari, celati dalle balze, dai pizzi e dai nastri di tulle della casa della Fata, sarà l’attentato a Pinochet del settembre 1986, destinato, nonostante il fallimento, ad aprire una crepa profonda nella dittatura. Nell’appassionato, straziante passo a due tra la Fata e Carlos prende forma, proprio lì dove c’erano solo nostalgici vagheggiamenti, un’aurorale coscienza politica e dove, invece, quest’ultima regnava indiscussa fiorisce, timida, un’educazione sentimentale.

Il passo a due si fa quadriglia, intrecciandosi alle vicende del dittatore e di Doña Lucia. Pinochet, assillato dalla moglie petulante e logorroica, tormentato da incubi d’infanzia, in una trama onirica che attraversa tutto il racconto, tra allucinazioni e risvegli, va e viene dal proprio retiro di Cajón del Maipo, che domina Santiago dall’alto. Finché un giorno, lungo la strada rovente che scende verso la capitale, il suo cammino si incrocia drammaticamente con quello di Carlos.

Intorno, fluttua un caleidoscopio di personaggi: le amiche della Fata: la Lupe, la Rana; le ricche clienti, come Doña Catita, mogli di generali asserragliate in un’altra Santiago, che la Fata può solo sbirciare dai finestrini dell’autobus quando si reca a consegnare le tovaglie ricamate su commissione; Laura, la compagna di università (e di lotta) di Carlos; la radio, vero e proprio personaggio più che semplice paesaggio sonoro.

Ho paura torero, infatti, è anche un racconto-canzone. Il mosaico di melodie, strofe, ritornelli “leggeri”, che risuonano dalla radio, amplifica il dirompente, viscerale afflato popolare che lega l’autore, Pedro Lemebel, al popolo cileno, con la forza di chi è da sempre vissuto ai margini, come rappresentante di una minoranza etnica, i Mapuche, come omosessuale e come travestito.

Questa sua radice profondamente popolare è accarezzata, nella scrittura, da un’estrema sapienza letteraria, cesellando così una lingua capace di trascolorare dal barocco al carnale, da una struggente sensualità a una chiassosa e feroce ironia, in una giostra raffinatissima di stili e registri.

Tanto forte e radicato fu questo legame con la gente del Cile che, quando nel 2019 esplose l’Estallido social (le manifestazioni generate dall’aumento del prezzo del biglietto della metro, che aprirono la strada verso un progetto di revisione della Costituzione, poi decaduto), benché fosse già morto da quattro anni, il volto e le parole di Lemebel riapparvero in quelle strade infiammate dalle proteste e tornarono ad affiancare i cileni, nei murales, nelle scritte, nei cartelli.

Lemebel e la forza delle emozioni

Estratti dalla conversazione con Claudio Longhi e Lino Guanciale
per il programma di sala dello spettacolo

Claudio Longhi – regista – e Lino Guanciale – dramaturg e interprete del personaggio della Fata, – come vi siete imbattuti nel romanzo di Pedro Lemebel Ho paura torero e perché avete sentito la necessità di metterlo in scena, oggi, al Piccolo Teatro?

LG – L’origine della mia fascinazione per Lemebel è domestica e mi riguarda personalmente, perché da diverso tempo ho un amore per gli autori sudamericani contemporanei. Mia moglie, in cerca di un regalo per me, è uscita per acquistare “un Bolaño”, ed è tornata a casa con “un Lemebel”, suggeritole da uno dei nostri librai di fiducia. Mi sono immediatamente innamorato di Ho paura torero, più ancora che per la grande storia che vi si respira, per lo stile, per la qualità della scrittura di questo piccolo romanzo “fluviale”… Da lì è nata una grande curiosità per l’autore, di cui ho subito messo a parte Claudio, con cui ci conosciamo da vent’anni e condividiamo letture, anche non necessariamente legate a progetti teatrali.

Così, quando ci siamo trovati a fantasticare su cosa scegliere per lavorare insieme al Piccolo, gli ho detto: «Perché non dai un’occhiata anche a questo?», alimentando il passaparola attorno a uno scrittore che davvero lo merita.

CL – Effettivamente, da molto tempo, ci stavamo confrontando su quale potesse essere il testo giusto per tornare a collaborare in un contesto particolare – considerando che per la prima volta mi sarei trovato a firmare la regia di uno spettacolo al Piccolo in qualità di direttore del teatro. Ne parlavamo da mesi e avevamo battuto vie anche molto diverse, ma quando Lino mi ha fatto leggere Ho paura torero, ammetto che è stata una specie di folgorazione. La fascinazione è dovuta sia alla qualità del linguaggio e della costruzione – questo strano barocco che possiede una grazia e una leggerezza incredibili, con un’invenzione linguistica straordinaria –, sia al rapporto insolito con la macchina narrativa e con la trama. È un testo che, appunto in virtù del linguaggio, sembra “scappare” da tutte le parti ma al tempo stesso ha una concentrazione drammaturgica, una misura, una tensione tipiche della forma drammatica più che del romanzo. Oltre al fascino del linguaggio – che risuonava particolarmente con la stagione 23/24 e con la centralità riservata al suo interno alla “parola” – credo sia importante l’invito costante a fare i conti con la storia e con ciò che è stato. Un’esortazione che sento necessaria in un presente che tende a soffrire di amnesia e rischia di essere un po’ esangue, perché non nutrito da alcuno spessore e privo di sedimentazione. Non solo. Allo stesso tempo è un’opera che sottolinea anche il rapporto tra piccola e grande storia, ovvero tra la nostra quotidianità e il contesto in cui essa si colloca, esplorando la relazione tra questi due universi narrativi entro cui tutti siamo immersi. Senza trascurare che oggi si dibatte molto di educazione sentimentale e affettiva e, in un modo a un tempo trasversale e direttissimo, Ho paura torero pone il problema del rapporto con l’affettività e della sua gestione. La grazia con cui tutte queste prospettive e possibilità convivevano dentro questo romanzo mi e ci ha fatto dire che, forse, era la scelta giusta al momento giusto.

Quali obiettivi vi siete dati, nel lavorare sulla drammaturgia, per trasportare l’opera di Lemebel dalla narrativa alla prosa teatrale?

LG – Davanti all’opzione di mettere in scena un romanzo si aprono almeno due strade fondamentali: la prima è ridurlo, esattamente come succede quando da un’opera di narrativa si trae una sceneggiatura non originale per il cinema o la televisione. È un’operazione non nuova per il teatro: i dialoghi si tramutano in battute e la parte diegetica in didascalia. La seconda possibilità, che è stata rivoluzionaria e nel nostro paese è stata percorsa da Luca Ronconi, è invece quella di portare in scena una “edizione teatrale” del romanzo: in questo modo non si rinuncia alla terza persona né alla scrittura originaria, con tutte le sue implicazioni descrittive e di costruzioni di spazi e di volumi. La nostra scelta, logicamente, è stata questa. Del resto, ridurre Ho paura torero ai soli dialoghi tra i personaggi avrebbe l’effetto – e lo dico senza offesa, perché è lo stesso Lemebel, in certi momenti, a far respirare quell’aria – di una bella epopea “telenovelesca” sudamericana. La forza della sua scrittura sta in quell’altrove, che conferisce forza, spessore e verità alle interlocuzioni tra i personaggi, molto semplici ma assai pregne. Battendo questa seconda via, quello che abbiamo fatto, fondamentalmente, è cominciare a lavorare di selezione. Nel regista e drammaturgo argentino Alejandro Tantanian abbiamo trovato una sponda geniale e, in virtù della natività linguistica, anche essenziale per riuscire a trarre, negoziandola con noi, una prima versione del materiale da portare in scena. Su quello siamo intervenuti selezionando ancora, integrando qua e là frasi tratte da altri scritti di Lemebel.

In qualche modo, Ho paura torero è una sorta di “lemebeleide”: vi si riconoscono e precipitano dentro il testo, in forma di “distillato”, migliaia di altri elementi, scritti e dispersi tra cronache radiofoniche, frammenti pubblicati sui giornali, o in accompagnamento a qualche performance, interviste televisive… Il grande lavoro pre-registico effettuato da Claudio è stato poi la distribuzione delle voci all’interno di questa polifonia virtuale, in un’opera che è un romanzo-Paese, un romanzo-Cile, ma ancora di più un romanzo-città, un romanzo-Santiago.

CL – Quella del rapporto tra testo teatrale e romanzo è una specie di maledizione o di karma, che dir si voglia, che da sempre mi accompagna. La mia tesi di laurea era dedicata all’Orlando furioso che Luca Ronconi, su drammaturgia di Sanguineti, trasse dal poema di Ariosto, impiegando una tecnica diametralmente opposta a quella che avrebbe in seguito abbracciato delle edizioni teatrali: qui vigeva ancora il passaggio straniante dalla terza persona alla prima, con i paladini che dicevano «Entro in un bosco e nella stretta via» anziché «Entrò in un bosco e nella stretta via». In seguito, al rapporto tra testo teatrale e romanzo ho dedicato la tesi di dottorato, mentre il primo spettacolo cui ho collaborato, come assistente di Ronconi, è stato Quer pasticciaccio brutto de via Merulana, il romanzo di Gadda adattato per il teatro… Credo che all’origine del concetto di “edizione teatrale” secondo Luca Ronconi, di questo suo modo, cioè, di prendere la pagina del romanzo per trasferirla direttamente in scena, si situi uno spettacolo in particolare: è Le tre sorelle di Čechov, che Ronconi ambientò nel futuro, trasformando le protagoniste in tre ottantenni consapevoli di aver trascorso la vita inutilmente, e insinuando, così, dentro alla narrazione, il tarlo della memoria. Marisa Fabbri, che fu una delle interpreti di quello spettacolo – ed è un’altra figura fondamentale per la mia formazione – quando parlava delle Tre sorelle, citava l’attacco dell’Aquilone di Pascoli («C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, / anzi d’antico») sottolineando l’idea del presente, del passato e del futuro che precipitano in unico tempo, il tempo della memoria. Da questo punto di vista, quello che trovo straziante ed entusiasmante del rapporto con la pagina romanzesca è proprio tale “collasso” di tempi, in cui si vive quello che è stato come se lo si sperimentasse per la prima volta, con tutta una serie di possibilità che la vita ha già, in qualche modo, soppresso. C’è anche la fascinazione per la “forma romanzo” per come la immagina Michail Bachtin, ovvero un coro polifonico, un caos multiforme che dentro la pagina romanzesca vive ed è antitetico, rispetto all’essenzialità della forma teatrale, ma che trovo sempre estremamente affascinante quando si deve raccontare la contemporaneità, di per sé multiforme: il romanzo, per il suo scappare e rifrangersi in mille voci e in mille sguardi, dà la possibilità di accedere alla complessità della realtà con più agio di quanto non lo consenta la forma teatrale convenzionale, per quanto l’espressione “convenzionale” possa valere.

In che modo avete lavorato, con la scenografa e il costumista, ma anche con chi ne ha curato l’impaginazione visiva, alla costruzione dello spettacolo? Come ne avete costruito la ricca colonna sonora del cast e come avete selezionato il cast?

CL – Una delle prime suggestioni che ho consegnato a Guia Buzzi, che ha ideato la scenografia, è stata la presenza di una forte dialettica interno/esterno. Nel romanzo, è evidente come la percezione dell’esterno, e di Santiago, passi sempre attraverso una finestra – che sia quella della soffitta, dell’autobus, del taxi, dell’automobile – o, viceversa, da fuori si guardi all’interno sempre da un’apertura: è il caso di quando Carlos, in strada, intravede la Fata che lo sta osservando da casa. Un’altra indicazione che ho dato è stata quella di rivolgersi alla street art e in particolare ai murales, tratto visivo caratteristico delle città latinoamericane, ma al tempo stesso portatori di un segno ben preciso, estetico e politico al tempo stesso: al fondo del mural c’è l’idea di trasferire l’arte nella quotidianità, di farne un gesto concreto. Il mural contiene il germe dell’avanguardia per come la immaginano Brecht e Benjamin, l’idea di usare l’arte politicamente, come strumento per incidere sulla realtà. La storia dei murales racconta questo, è un segno evocativo, ma al tempo stesso poetico.

Per quello che riguarda i costumi, da subito, con Gianluca Sbicca, ci siamo detti che, nello stranissimo bilanciamento che viene a crearsi all’interno del romanzo tra realismo e astrazione, probabilmente, la via giusta era lavorare su un repertorio che restituisse il sapore degli anni Ottanta, visti attraverso quel mondo particolare che è il Cile; ma anche operare sulla scelta dei colori, su qualche accensione che, senza arrivare alla distorsione o al costume “inventato”, disegnasse figure che sono, a un tempo, silhouette ben precise e in qualche modo “caratteri”.

Naturalmente, nell’impaginazione visiva dello spettacolo hanno parte importante anche le proiezioni, curate da Riccardo Frati, e le luci di Max Mugnai. In omaggio alla «allucinata fantasia barocca» della Fata dell’angolo e a Las Meniñas – opera che, attraverso il filtro di Foucault, ha avuto tanta parte nel tracciare le coordinate concettuali dello spazio della messa in scena – ho chiesto a Max di definire il suo progetto luci, ragionando sui modelli delle tele di Velázquez. Con Riccardo, invece, in margine alla straordinaria energia visionaria del linguaggio di Lemebel, abbiamo scelto di lavorare su un delicato equilibrio tra “rappresentazione” e realtà, mescolando i codici del reportage (o del documentario), della finzione cinematografica e della sintassi metaforica del teatro. Non per nulla, i rebus del sogno hanno tanta parte nell’architettura del romanzo.

LG – Per quanto riguarda le musiche, è Lemebel stesso a scrivere, oltre che un romanzo-paese o un romanzo-città, anche un romanzo-canzone. L’intero testo è punteggiato di indicazioni molto precise, riguardanti strofe o ritornelli che la Fata sta cantando o ascoltando. La radio, che trasmette notiziari, clandestini o propagandistici, oppure musica, è una voce protagonista della scrittura e le indicazioni contenute nel testo riguardo al repertorio da utilizzare sono “inchiavardanti”. È peraltro attraverso l’ascolto di quel materiale sonoro, nel momento in cui si legge il romanzo, che si ha la chance di entrare non soltanto nel mondo della Fata ma di chiunque abitasse Santiago e il Cile in quegli anni. Pure lì dove si citano brani di “musica leggerissima”, per parafrasare Colapesce e Dimartino, di un repertorio da Viña del Mar – che è il pendant latino-americano del nostro Festival di Sanremo – quello di cui si fa esperienza è un tessuto culturale trasversalissimo, che appartiene all’interezza delle classi sociali di quel paese. Vale per il Cile come un po’ per tutto il continente sudamericano, in cui la forbice delle disuguaglianze sociale è particolarmente ampia. Ne stiamo traendo prova, quotidianamente, attraverso l’incontro con un gruppo di spettatori che sono in qualche modo autori insieme a noi: in questi giorni assistono alle prove alcuni membri della comunità cilena di Milano, che ci stanno dando una mano fondamentale per penetrare in modo concreto la microstoria che anima la scrittura e che le canzoni evocano. La difficoltà, per noi, è quella di scegliere cosa tenere e cosa no, nel repertorio citato da Lemebel… ma questo è uno di quei casi in cui, affidandosi all’autore, è possibile compiere il lavoro più coerente possibile nella costruzione del paesaggio sonoro dell’opera.

CL – A chiusura del ragionamento sulle musiche, ricordo in ultimo che abbiamo chiesto a Davide Fasulo due “travestimenti” dell’inno cileno per scandire il tempo di due distinti sogni di Pinochet, virando in un caso verso la marcia funebre e nell’altro verso il carillon.

LG – Per quanto riguarda il cast, è valsa, credo, la regola di lavorare prima di tutto con persone che condividessero la massima parte del nostro percorso e dei nostri obiettivi. Con Mario Pirrello abbiamo collaborato molti anni fa ed è un piacere tornare a farlo oggi. Claudio aveva incontrato tempo addietro Arianna Scommegna ed è stata questa l’occasione per cucire un rapporto. Francesco Centorame, al quale entrambi eravamo interessati per averlo visto al lavoro, è un ragazzo che si è tuffato in questa esperienza teatrale con un entusiasmo per noi assolutamente contagioso. Così come ognuno di noi va cercando la massima adesione al ruolo – o ai ruoli – che interpreta, l’iniezione di “carlosità” che Francesco porta nel lavoro è quella giusta. La sua allegria, l’ingenuità, l’entusiasmo, la forza dei vent’anni aiutano anche le fate vecchie e ridicole a entrare nella giusta temperatura. Con altri colleghi e colleghe lavoriamo da quindici anni: è il caso di Michele Dell’Utri, Diana Manea, Daniele Cavone Felicioni e Giulia Trivero. Michele e Diana soprattutto, oltre a Daniele e a Giulia, sono anche impegnati in una serie di attività legate al romanzo, attraverso i Municipi milanesi, che ci confermano quanto sia possibile identificarsi in questa scrittura. Le letture del romanzo che si stanno tenendo in queste settimane in alcuni luoghi della città – e che proseguiranno fino a quando andremo in scena – ci raccontano di una Milano che va approcciandosi a Lemebel con grande facilità. È un romanzo che offre molte porte di accesso, come succede a tutte le scritture molto intelligenti, e la via emotiva è senz’altro una di quelle più spalancate.

OLTRE LA SCENA | Ho paura torero

SGUARDI PARALLELI | Il corpo politico

Scrittore ma anche performer e attivista, Pedro Lemebel ha fatto del corpo – a cominciare dal proprio – una barriera invalicabile da opporre al potere, uno strumento di libertà di espressione ma anche di resistenza politica e culturale. E proprio al corpo, al suo essere “soggetto politico” viene dedicato un ciclo di tre proiezioni, che, grazie a una collaborazione trasversale tra Piccolo Teatro, MiX Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer, Cinema Godard di Fondazione Prada, PAC Padiglione di Arte Contemporanea e Cinema Beltrade, esplora il tema su diversi piani e latitudini. Si comincia venerdì 12 gennaio al Cinema Godard di Fondazione Prada (in collaborazione con MiX Festival) con QUEENDOM di Agniia Galdanova, a cui seguirà un dialogo tra la regista, Gena Marvin – performer protagonista del film e attivista contro le politiche anti LGBTQ+ in Russia –, Claudio Longhi e Paolo Moretti, curatore della programmazione del Cinema Godard. Si prosegue poi lunedì 22 gennaio al Cinema Beltrade (in collaborazione con PAC Padiglione di Arte Contemporanea) con DONNE SENZA UOMINI, film Leone d’argento nel 2009 a Venezia, della regista iraniana Shirin Neshat (in collaborazione con Shoja Azari), con un intervento di Claudio Longhi e Diego Sileo, curatore del PAC.

Infine, lunedì 29 gennaio, sempre al Cinema Beltrade, la proiezione di ORLANDO di Sally Potter, un classico tratto dall’opera di Virginia Woolf, che sarà introdotto da una conversazione tra Sara Sullam, traduttrice e curatrice della nuova edizione di Orlando per Mondadori, e Lino Guanciale.

Cinema Godard di Fondazione Prada - venerdì 12 gennaio, ore 20.30

Cinema Beltrade - lunedì 22 e 29 gennaio, ore 21.30

In collaborazione con Cinema Beltrade, Cinema Godard – Fondazione Prada

MiX Festival Internazionale di Cinema LGBTQ+ e Cultura Queer

PAC Padiglione di Arte Contemporanea

CHI È DI SCENA?

A pochi minuti dal “chi è di scena”, il pubblico e gli operatori del teatro hanno l’occasione di incontrarsi in un momento informale di confronto sui temi di Ho paura torero.

Teatro Grassi – martedì 16 e giovedì 25 gennaio, ore 18

PAROLE IN PUBBLICO | PRESA DI PAROLA

Le metamorfosi del torero: tra Canetti e Lemebel

Punto di partenza degli appuntamenti di “Presa di parola” sono alcuni testi scelti direttamente dalle compagnie come possibili “punti di accesso” o fonti di ispirazione dei propri lavori. Libri, poesie, lettere, ma anche canzoni e sceneggiature cinematografiche. Voci altrui, prese in prestito, che diventano “trampolini testuali e letterari” per lanciare una conversazione sugli spettacoli insieme ai protagonisti della scena e a moltissimi ospiti.

Il “testo sorgente” scelto da Claudio Longhi e Lino Guanciale per illuminare il lavoro fatto su Ho paura torero è La missione dello scrittore di Elias Canetti. Al centro di questo celebre discorso, tenuto dal futuro Premio Nobel per la letteratura a Monaco di Baviera nel 1976, alcune questioni cardine del suo pensiero: «la capacità di metamorfosi» dell’umanità e il ruolo dell’autore nell’esserne «custode», la parola come mezzo di conoscenza e cambiamento (soprattutto politico) e la responsabilità di chi scrive. Temi che riverberano nella vita di Pedro Lemebel e nelle pagine del suo capolavoro, murale di storie incrociate, di trasformazioni sentimentali e politiche.

Ne discutono insieme a Claudio Longhi e Lino Guanciale, lo scrittore e poeta Marco Balzano e Pier Paolo Portinaro, filosofo e professore di Filosofia politica presso l’Università degli Studi di Torino. Modera Roberta Ferraresi.

Chiostro Nina Vinchi - mercoledì 17 gennaio, ore 18

con Marco Balzano, Pier Paolo Portinaro, Claudio Longhi, Lino Guanciale

modera Roberta Ferraresi

LETTURA INTEGRALE: PUNTATA FINALE

Puntata finale della lettura integrale a puntate del romanzo di Pedro Lemebel, che ha visto, tra novembre e dicembre 2023, alcune attrici e attori della compagnia dello spettacolo impegnati in sei diversi luoghi della città per quattro appuntamenti.

Al percorso hanno preso parte le comunità della Biblioteca Crescenzago (Municipio 2), del CAM Ciriè (Municipio 9), della Biblioteca Baggio (Municipio 7), della Biblioteca Quarto Oggiaro (Municipio 8), della Biblioteca Fra Cristoforo (Municipio 5) e della Libreria Antigone (Municipio 3). Nell’appuntamento conclusivo, tutta la compagnia di Ho paura torero sarà impegnata sul palco del Teatro Grassi, accogliendo i partecipanti degli appuntamenti precedenti e chi, tra le spettatrici e gli spettatori, volesse unirsi a questa suggestiva immersione nelle parole del romanzo.

Teatro Grassi - sabato 20 gennaio, ore 15

con le attrici e gli attori della compagnia

Per informazioni e prenotazioni promozione.pubblico@piccoloteatromilano.it

NUOVI PUBBLICI | STORMI

Il politico è privato, il privato è politico

Biografia e storia, personale e pubblico, singolo e collettivo: più che poli antitetici, questi termini indicano ambiti interconnessi, territori di confine tra spazi fluidi. In che modo le vite dei singoli riverberano nei processi storici sovraindividuali? E in quali forme si presentano le narrazioni che fanno della dimensione biografica un mezzo per problematizzare il presente collettivo?

Da queste domande prende le mosse il quarto numero di “Stormi”, dal titolo Il politico è privato, il privato è politico, ma anche un incontro conversazione intorno a Ho paura Torero tra Claudio Longhi e Daniela Brogi, docente di Letteratura italiana contemporanea all’Università per Stranieri di Siena, critica letteraria, cinematografica e visuale.

Moderano Maddalena Giovannelli e Alessandro Iachino.

Chiostro Nina Vinchi - venerdì 26 gennaio, ore 18

con Claudio Longhi e Daniela Brogi

moderano Maddalena Giovannelli e Alessandro Iachino

In collaborazione con Stratagemmi – Prospettive Teatrali e Università degli Studi di Milano

WALK TALK | Anche i muri hanno memoria: percorso tra i murales dell’Ortica

I murales come pratica politica e atto memoriale hanno costellato la storia cilena, trasformando, in anni recenti, anche il volto e il corpo di Pedro Lemebel in un’icona di libertà e di resistenza culturale. Il quartiere milanese dell’Ortica, grazie all’azione dell’Associazione OR.ME Ortica Memoria, da qualche anno si è affermato quale luogo di arte condivisa, dove i murales testimoniano la storia e la memoria della città, in un progetto realizzato insieme a cittadine e cittadini, associazioni del territorio, studentesse e studenti delle scuole milanesi. Il percorso del Walk_Talk – da un’idea in dialogo con il Corso Organizzazione dello Spettacolo della Civica Scuola di Teatro Paolo Grassi – è realizzato in collaborazione con l’Associazione OR.ME e attraverserà gli spazi del quartiere, intrecciando racconti dei luoghi con letture tratte da Ho paura torero, a cura delle attrici e degli attori della compagnia.

Quartiere Ortica - domenica 28 gennaio, ore 11.30

con le attrici e gli attori della compagnia

In collaborazione con Associazione OR.ME Ortica-Memoria

TEATRO IN PLATEA | Nell’arena col torero

Tra eros e politica, le pagine di Ho paura torero tracciano «la parabola ineluttabile del desiderio». Un desiderio che trafigge la Fata dell’angolo e Carlos, ma che trabocca anche dalle parole delle canzoni che innervano le loro vicende, dalla lingua di Lemebel, lussureggiante, immaginifica e passionale. Al desiderio, al suo farsi, insieme, forma e motore narrativo è dedicato Nell’arena col torero, vera e propria atelier in cui spettatori e semplici cittadini sono invitati a confrontarsi direttamente con il testo dello spettacolo, condividendo pensieri e riflessioni, e sperimentando, insieme alle attrici e agli attori della compagnia, piccoli esercizi di pratica teatrale collettiva.

Teatro Grassi - domenica 4 febbraio, ore 9.30

con le attrici e gli attori della compagnia

Per informazioni e prenotazioni promozione.pubblico@piccoloteatromilano.it

Laddove non diversamente specificato, tutti gli appuntamenti – ad eccezione delle proiezioni di “sguardi paralleli” – sono a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria su piccoloteatro.org

Piccolo Teatro Grassi (via Rovello, 2 – M1 Cordusio), dall’11 gennaio all’11 febbraio 2024
Ho paura torero
di Pedro Lemebel
traduzione di M.L. Cortaldo e Giuseppe Mainolfi
trasposizione teatrale Alejandro Tantanian
regia Claudio Longhi
scene Guia Buzzi
costumi Gianluca Sbicca
luci Max Mugnai
visual design Riccardo Frati
travestimenti musicali a cura di Davide Fasulo
dramaturg Lino Guanciale
assistente alla regia Giulia Sangiorgio
con (in ordine alfabetico) Daniele Cavone Felicioni, Francesco Centorame, Michele Dell’Utri,
Lino Guanciale, Diana Manea, Mario Pirrello, Arianna Scommegna, Giulia Trivero
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
foto di scena Masiar Pasquali

Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30 (il sabato, le recite sono sovratitolate in lingua inglese);

mercoledì e venerdì, ore 20.30 (salvo mercoledì 31 gennaio, pomeridiana per le scuole ore 15); domenica, ore 16. Lunedì riposo.

Durata: 3 ore circa compreso un intervallo

Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro

Informazioni e prenotazioni 02.21126116 - www.piccoloteatro.org

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