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giovedì 4 aprile 2024

TEATRO GRASSI DI MILANO
"DURANTE"
SECONDO ATTO DEL TRITTICO
DI PASCAL RAMBERT

Dal 6 aprile al 5 maggio, al Teatro Grassi, va in scena in prima assoluta, Durante, secondo atto del trittico che Pascal Rambert, artista associato, ha pensato per il Piccolo. Sul palcoscenico ritroviamo la stessa compagnia di attrici e attori già protagonisti di Prima - Anna Bonaiuto, Anna Della Rosa, Marco Foschi, Leda Kreider e Sandro Lombardi -, insieme a interpreti dell’ultima generazione - Miruna Cuc, Cecilia Fabris, Pasquale Montemurro, Caterina Sanvi, Pietro Savoi -, allievi del Corso Claudia Giannotti della Scuola di Teatro “Luca Ronconi”.

Lo spettacolo è prodotto dal Piccolo insieme a structure production e Compagnia Lombardi-Tiezzi. Le scene sono firmate dal regista e da Anaïs Romand, anche ideatrice dei costumi; le luci sono di Yves Godin e le musiche di Alexandre Meyer. La traduzione è di Chiara Elefante.

La seconda parte del trittico di Pascal Rambert si apre con un colpo di scena: una fuoriserie lanciata a tutta velocità, un terribile incidente d’auto. Con Durante, prosegue il racconto delle vicende che coinvolgono la compagnia di attrici e attori impegnata nella preparazione di uno spettacolo ispirato alla Battaglia di San Romano, trittico pittorico di Paolo Uccello.

Se Prima esplorava il flusso di passioni ed emozioni che attraversava i membri della compagnia nel corso delle prove, Durante si sofferma sulle loro fragilità, raccontando le angosce e le gioie della loro professione, tra le difficoltà e le incertezze che accompagnano uno spettacolo, nel momento stesso in cui va in scena.

Per dare vita a questo secondo capitolo, Pascal Rambert parte dal legame con i luoghi in cui è stato concepito, richiamando, da una parte, le suggestioni della cultura italiana – dalla pittura rinascimentale alla canzone – e, dall’altra, innestando il racconto nella storia stessa del Piccolo, rendendo un omaggio appassionato a Giorgio Strehler e al suo Arlecchino, due «spiriti del luogo» a cui l’autore è strettamente legato, resi qui portatori di un pensiero politico sull’Europa e sul futuro del teatro.

Indagando la vita delle forme, lo storico dell’arte Henri Focillon osservava che «l’opera d’arte è un tentativo verso l’unico: s’afferma come un tutto, come un assoluto; e, nello stesso tempo, fa parte d’un sistema di relazioni complesse. È il risultato d’un’attività indipendente; traduce un sogno alto e libero; ma in essa si vedono anche convergere le energie delle civiltà. Infine è materia e spirito, è forma e contenuto». Nell’incontro tra teatro e arti visive questa vibrante miscela si intensifica grazie alla presenza di corpi in carne e ossa che dialogano e si muovono nello spazio – o semplicemente lo abitano – innescando contrasti e sintonie, allontanamenti e attrazioni. È il caso di Durante, seconda tappa del percorso creativo che Pascal Rambert ha concepito per il Piccolo Teatro di Milano. Mantenendo come gangli originari le tre “cantiche” visionarie della Battaglia di San Romano di Paolo Uccello, capolavoro rinascimentale retto da una sofisticata proporzione di piani e diagonali, lo spettacolo svela una “elettrica” ragnatela di rapporti, affetti e incidenti d’amore. Ne è cardine la parola: forgiata dal cristallino labor limae con cui Rambert plasma una lingua a misura della mirabile compagnia in scena (con nuovi innesti, interni alla Scuola di Teatro “Luca Ronconi”), affonda nella superficie raggrumata dell’esistenza e insieme si eleva a slanci metafisici. Evocando un poeta tanto caro al drammaturgo francese, un battello ebbro di fragilità, turbamenti, apparizioni (l’Arlecchino strehleriano!) disegna le linee di una dimensione erotica della pratica teatrale che racconta, in fondo, del nostro desiderio di ri-conoscerci nell’altro.
Claudio Longhi

Lo spirito del teatro
Conversazione con Pascal Rambert
(dal programma di sala dello spettacolo)

Pascal Rambert, che sensazione ti dà, a un anno di distanza dal debutto di Prima (avvenuto al Teatro Grassi, il 29 aprile 2023, n.d.r.) tornare al Piccolo Teatro, per lavorare con la stessa compagnia sulla seconda parte del tuo trittico?

È meraviglioso ritrovare gli attori e le attrici di Prima, cui ho affiancato cinque giovani allievi e allieve della scuola del Piccolo Teatro: siamo concentrati, allegri e le prove procedono con fluidità. Lavoro sempre rapidamente perché metto in scena i testi che scrivo io stesso, avendo peraltro già in mente chi li interpreterà. Il mio obiettivo, quando creo uno spettacolo, è raccogliere intorno a me un gruppo gioioso: nessuno deve sentirsi forzato, ci si impegna con serietà, ma questo non impedisce di avere rapporti affettuosi, di provare felicità, di essere positivi e il risultato se ne avvantaggia. Accade perché abbiamo già collaborato l’anno passato, ci intendiamo subito, ciascuno trova facilmente il suo posto nella storia, sotto le luci, sulla scena; andrà ancora meglio quando ci incontreremo di nuovo per la parte finale di questo trittico. Percepisco un’intesa, qualcosa che ci accomuna, un modo condiviso di approcciare il lavoro. Vale lo stesso per la mia équipe artistica: tra di noi parliamo pochissimo, ma ci comprendiamo alla perfezione.

In effetti, penso che sia tutta una questione di fiducia, di assoluta stima: mi fido di Anaïs (Romand, collaboratrice di Pascal Rambert per le scene e disegnatrice dei costumi, ndr) e, quando mi chiede se voglio vedere i suoi figurini, le rispondo che assolutamente no, non lo desidero, perché quel che mi preme è come il determinato oggetto figurerà sul collo del personaggio, illuminato dalle luci di Yves Godin e accompagnato dal suono di Alexandre Meyer. È là, sulla scena, che tutto acquista un senso e io lo creo insieme a loro. Io non so che tipo di luci proporrà Yves, non conosco la musica che ha composto Alexandre, ma soprattutto non voglio esserne informato: quel che mi sta a cuore è il contesto, il palcoscenico su cui tutto andrà a confluire.

E quando un attore o un’attrice mi chiede: “Posso fare una domanda?”, generalmente rispondo di no. Perché il risultato del nostro lavoro è un insieme di codici, che prescinde dal segno del singolo interprete, al quale invece spetta il compito di comprendere il progetto nella sua globalità: se il disegno non gli risulterà chiaro martedì, tutto acquisterà evidenza il venerdì seguente, sicché non è il caso di dare risposte intellettualistiche a falsi problemi. Per me, inoltre, è importante che le persone con cui collaboro vivano serenamente il loro tempo al di fuori della scena: non esiste solo il teatro, nella vita! Ciò vale, naturalmente, per loro: in questo periodo, di notte, mi collego con l’Uruguay per le prove, in spagnolo, di un’altra pièce che ho scritto. Ma è una mia scelta, amo quello che faccio, e per me non esiste differenza tra vita e teatro.

In Prima ti soffermavi sulle passioni, le gelosie, le dolorose separazioni, la tempesta emotiva, insomma, che travolgeva i personaggi. In Durante, sembri avere particolarmente a cuore le fragilità di attori e attrici. È così?

Da quarantacinque anni – ne avevo sedici quando ho iniziato – ogni giorno, fatta eccezione per la domenica, sono impegnato nella realizzazione di uno spettacolo, in qualche luogo del mondo. Le prove sono la mia vita: ascolto le storie degli attori, delle attrici, dei tecnici, ma anche il racconto che il teatro in cui mi trovo in quel momento mi affida. Per forza di cose, i miei sono testi che provengono dal teatro e al teatro appartengono. Il trittico formato da Prima, Durante e Dopo parla di una compagnia impegnata nella realizzazione di uno spettacolo, delle gioie e dei dolori di una produzione, delle ansie di artisti che ignorano quel che li aspetta: nella nostra professione, non si sa che cosa accadrà, se lo spettacolo piacerà al pubblico, se avrà successo o no… Spesso, peraltro, i successi non sono garanzia di felicità per un gruppo; talvolta sono i fiaschi a dare coesione a un ensemble, perché il lavoro svolto insieme è stato formidabile, anche se gli spettatori non l’hanno amato… È un mestiere estremamente bizzarro, che appoggia su regole che non esistono e che occorre riscrivere ogni volta, se davvero si ama il proprio lavoro. Quando inizio a provare, non so quel che farò, non preparo nulla “a casa”, perché lo spettacolo prende forma nel momento in cui lo metto in scena. Di Jackson Pollock si diceva che avesse un rapporto fisico con la tela, con la materia della pittura, con ciò che gettava sulla tela. Io vivo lo stesso con gli attori, con la luce, con la musica, con tutto ciò che, nel suo complesso e in quell’istante, concorre a “fare il teatro”. La pièce parla di questo, delle angosce e delle gioie di attori e attrici che si confrontano con un vuoto da riempire ogni volta: il mio compito è aiutarli a colmarlo, per poi mettere il tutto in sicurezza.

Impossibile non accennare ad Arlecchino e a Giorgio Strehler, due forti presenze, nello spettacolo…

Potremmo chiamarli gli spiriti del luogo. Credo – ed è quel che intendevo prima, parlando delle storie che i teatri mi raccontano – che i luoghi ospitino delle presenze; ovviamente non mi riferisco a elfi che passeggiano per i corridoi, ma a un’anima. Quando venni per la prima volta al Piccolo, in via Rovello, e vidi le foto e i manifesti di Arlecchino, nel foyer, pensai subito a questo, ai teatri che hanno dei fondatori. A Parigi sono artista associato al Théâtre des Bouffes du Nord, che fu rifondato da Peter Brook; il Piccolo è stato creato da Giorgio Strehler.

Oltre a questo, esiste un filo, che lega tra loro alcune storie importanti del nostro secondo dopoguerra, quando alcune grandi personalità interpretarono e misero in atto l’esigenza di una ricostruzione spirituale e culturale, oltre che materiale, dando vita a istituzioni come il Piccolo, come il Festival d’Avignon (la prima edizione si tenne nel 1947, ndr), il Festival d’Aix-en-Provence (la prima edizione fu nel 1948, ndr). Quando sono in sala, a provare, non posso non pensare a Strehler! Se mi trovo qui è, ovviamente, grazie a Claudio Longhi che mi ha affidato questo progetto, ma, in senso più lato, è grazie a Strehler: se non avesse creato quel capolavoro che è Arlecchino servitore di due padroni, non avrei abbracciato questa professione, come raccontavo l’anno passato.

Il mio primo lavoro in teatro, a sedici anni, è stato Arlecchino educato dall’amore di Marivaux: recitavo nel ruolo del titolo e presi lezioni di Commedia dell’Arte da uno degli assistenti di Strehler, a Nizza. Sento di appartenere a questa storia che, cinquant’anni più tardi, ha ripreso vita dentro di me qui, al Piccolo, ma in fondo è sempre stata là, da qualche parte… L’Arlecchino che si vede sul palcoscenico di Durante è infelice: da quando Strehler è morto, giace in un angolo del teatro. È un Arlecchino caustico, forse aggressivo, in ogni caso politico. È l’Arlecchino delle origini, nel senso che non ha paura di cantarle chiare ai potenti. Come il guignol francese o il fool di Shakespeare, è lì per affermare le verità che altri non hanno il coraggio di dire. Sul palcoscenico del Piccolo, esprime il suo pensiero su quel che avviene oggi in Europa, in Francia, in Italia, ci parla di cose che si stanno riaffacciando all’orizzonte e ci disgustano; può farlo in quanto personaggio, e le sue dichiarazioni non sono né quelle di Marco Foschi che lo interpreta, né le mie che sono l’autore, ma sono, appunto, le parole di una maschera. È un Arlecchino insanguinato perché lo hanno abbandonato, perché vede ciò che accade nel suo paese, perché teme per il futuro del teatro.

Oltre a rendere un affettuoso omaggio a Strehler e al suo Arlecchino, lo spettacolo evoca anche tanti elementi della cultura italiana, dalla pittura rinascimentale alla canzone. Parlaci del tuo rapporto con l’Italia.

Da circa dodici anni – da quando, nel 2012, Pietro Valenti, che all’epoca dirigeva ERT, mi invitò a lavorare nel suo teatro, per l’edizione italiana di Clôture de l’amour (al Teatro Studio Melato lo spettacolo andò in scena dal 6 al 18 maggio 2014, ndr) – sono spesso in Italia con le mie produzioni, che siano versioni italiane dei miei testi, tournée o nuove creazioni. Del resto, essendo nato a Nizza, ritengo di essere sempre vissuto in uno spazio comune, metaforicamente parlando, in termini di cultura, architettura, colori, sensibilità: appartengo a questa parte del mondo, al Mediterraneo, né mi reputo “atlantico”, cosa che sarei se fossi nato a Bordeaux o a Lille. Ho sempre letto con interesse la letteratura italiana del Novecento, da Pasolini a Primo Levi, amo Curzio Malaparte, anche se so che in Italia è un autore controverso: la sua scrittura forte e barocca, che all’epoca non piacque affatto, capace di creare una sorta di realtà aumentata, è simile a quello che vedo fare, oggi, a molti autori contemporanei. È una tecnica che adopero anche io, nei miei testi. E poi c’è il mio amore totalizzante per la canzone italiana, una passione irrazionale: il giorno in cui dovessi morire, vorrei che il mio funerale fosse una specie di Festival di Sanremo! Ricorro spesso alle canzoni, nelle mie pièce, perché racconto storie dolorose, in cui si parla di separazioni e di perdite, e la musica leggera mi aiuta a trovare un bilanciamento. In Durante, nello specifico, ho scelto Maledetta primavera di Loretta Goggi perché faceva parte della colonna sonora di uno spettacolo di Pippo Delbono che avevo adorato (è “La gioia”; al Piccolo Teatro Strehler andò in scena dal 4 al 9 giugno 2019, ndr): ho pensato che un giorno l’avrei inserita nella trama di uno dei miei testi perché adoro Pippo e mi piaceva l’idea di ricevere un “dono”, anche se involontario, da lui. Trovo bellissimo che venga cantata da una giovane attrice della Scuola del Piccolo e, a questo proposito, tengo a sottolineare quanto sia felice di questo incontro, in scena, tra allievi e interpreti affermati. Penso che dovrebbe accadere sistematicamente: il nostro è un mestiere che si apprende partecipando agli spettacoli e circondandosi di professionisti.

OLTRE LA SCENA | DURANTE


PAROLE IN PUBBLICO | Incontro con la compagnia

Protagonista di Durante è il complesso intrico di dinamiche, sentimenti, mondi interiori che agitano, fuori e dentro la scena, le attrici e gli attori di una compagnia teatrale. A prestar loro corpo, voce (e persino i propri nomi) sono Anna Bonaiuto, Anna Della Rosa, Marco Foschi, Leda Kreider e Sandro Lombardi, nucleo centrale del cast di Prima, ancora una volta impegnato nel sottile gioco metateatrale, tra verità e finzione, tessuto dalle parole di Pascal Rambert. «Mi piace – dichiara il regista e autore francese – l’idea di tornare a lavorare con lo stesso gruppo di attori, perché insieme costituiscono una configurazione estremamente viva di personalità, con cui sento di poter dar luogo a sempre nuove combinazioni di relazioni». Ed è proprio per approfondire il punto di vista degli interpreti, ragionare su come è evoluto il loro rapporto nel lavoro di scena in questo secondo “episodio” della serie teatrale ideata da Rambert, che dedichiamo questo appuntamento al Chiostro.

Chiostro Nina Vinchi - mercoledì 10 aprile, ore 18.00

modera Anna Piletti

WALK TALK | Uscivo dalle prove qui alla Scuola del Piccolo…

Riflessione sul teatro e i suoi riti, Durante fa risuonare fortissima l’eco della memoria dei protagonisti, dove frammenti di vita in palcoscenico si intrecciano a temi e questioni intime e personali. Tra i luoghi evocati dal testo di Rambert, la Scuola del Piccolo, istituzione di eccellenza nella formazione dell’attore, ma anche terreno fertilissimo per la nascita di amicizie, amori e sodalizi artistici. Ed è proprio qui che verranno condotti i partecipanti di questo particolare Walk_talk, in un percorso che parte dal Teatro Strehler e dalla sua “Scatola Magica” – dove sarà visibile un allestimento dedicato all’Arlecchino di Strehler (altro leitmotiv di Durante) – per poi attraversare il “dietro le quinte” e le zone meno visitate del Piccolo Teatro per accedere, infine, agli spazi della Scuola “Luca Ronconi”, con la sua biblioteca e le sue sale prova. Il tutto accompagnato dalle letture e dagli interventi a cura delle attrici e degli attori della compagnia dello spettacolo.

Teatro Strehler - domenica 14 aprile, ore 11.30

PAROLE IN PUBBLICO | PRESA DI PAROLA

Un battello ebbro di battaglie – Durante tra Arthur Rimbaud e Paolo Uccello

Non solo le lance, gli scudi e le armature della Battaglia di San Romano – l’opera di Paolo Uccello a cui i protagonisti di Durante si ispirano nell’allestimento del loro spettacolo –, a troneggiare sulla scena del Teatro Grassi sono ora le lamiere ritorte di un’auto rosso fiammante. Una fuoriserie lanciata a tutta velocità, che ha perso il controllo e le cui spoglie ben testimoniano, dopo quello pittorico, un altro corpo a corpo: quello di chi dall’arte si lascia possedere senza freno, remora e precauzione alcuna, rischiando il naufragio.

Non è un caso, allora, se per questo ultimo appuntamento di “presa di parola”, Pascal Rambert ha scelto come riferimento letterario un poeta maledetto come Arthur Rimbaud e il suo Le bateau ivre, vettura indomita e sregolata che procede sui flutti verso l’ignoto. A far dialogare a distanza ravvicinata il “battello ebbro”, la pittura di Paolo Uccello e la scena di Rambert, saranno Sandro Lombardi, tra i protagonisti di Durante, Stefano Raimondi, poeta e critico letterario e Giovanni Agosti, storico dell’arte.

Chiostro Nina Vinchi - mercoledì 17 aprile, ore 18.00

con Giovanni Agosti, Sandro Lombardi, Stefano Raimondi

modera Enrico Pitozzi

CHI È DI SCENA?

A pochi minuti dal “chi è di scena”, il pubblico e gli operatori del teatro hanno l’occasione di incontrarsi in un momento di confronto informale sui temi di Durante, nuova creazione di Pascal Rambert.

Teatro Grassi - martedì 23 aprile, ore 18.00

Laddove non diversamente specificato, tutti gli appuntamenti sono a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria su piccoloteatro.org

Piccolo Teatro Grassi (via Rovello 2 – M1 Cordusio)

dal 6 aprile al 5 maggio 2024

Durante

testo e regia Pascal Rambert
traduzione Chiara Elefante
scene Pascal Rambert e Anaïs Romand
costumi Anaïs Romand
luci Yves Godin
musiche Alexandre Meyer
assistente alla regia Virginia Landi
con (in ordine alfabetico)
Anna Bonaiuto, Anna Della Rosa, Marco Foschi, Leda Kreider, Sandro Lombardi
e con gli allievi del Corso Claudia Giannotti
della Scuola di Teatro “Luca Ronconi” del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
Miruna Cuc, Cecilia Fabris, Pasquale Montemurro, Caterina Sanvi, Pietro Savoi
e con Ludovica Bersani, Giorgio Saglimbeni/Filippo Boncinelli, Amelia Varretta
produzione Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
in coproduzione con structure production e Compagnia Lombardi-Tiezzi

Orari: martedì, giovedì e sabato, ore 19.30 (salvo giovedì 25 aprile, riposo);
mercoledì e venerdì, ore 20.30 (salvo mercoledì 1 maggio, riposo);
domenica, ore 16. Lunedì riposo.

Durata: 130 minuti senza intervallo

Prezzi: platea 40 euro, balconata 32 euro

Informazioni e prenotazioni 02.21126116 - www.piccoloteatro.org

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