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mercoledì 21 agosto 2024

 CENTRO TEATRALE BRESCIANO
STAGIONE TEATRALE 2024/2025

15 - 20 ottobre 2024
Teatro Sociale

I ragazzi irresistibili

di Neil Simon
traduzione Masolino D’Amico
regia Massimo Popolizio
con Umberto Orsini, Franco Branciaroli
e con Flavio Francucci, Chiara Stoppa, Eros Pascale, Emanuela Saccardi
scene Maurizio Balò
costumi Gianluca Sbicca
luci Carlo Pedianisuono Alessandro Saviozzi
produzione Teatro de Gli Incamminati, Compagnia Umberto Orsini, Teatro Biondo di Palermo
in collaborazione con Centro Teatrale Bresciano
e con AMAT Associazione Marchigiana Attività Teatrali e Comune di Fabriano

Colonne del teatro italiano, Umberto Orsini e Franco Branciaroli si ritrovano insieme sul palcoscenico per una nuova avventura, diretti per l’occasione da un altro grande protagonista del nostro teatro, Massimo Popolizio.

Un trio eccezionale che dà vita a quella che oramai è diventata un classico, la commedia The Sunshine Boys di Neil Simon, tra i maggiori scrittori americani degli ultimi cinquant’anni.

I protagonisti sono due anziani attori di varietà che hanno lavorato in coppia per tutta la vita, un duo diventato famoso come “I ragazzi irresistibili”. Dopo la separazione – avvenuta per insanabili incomprensioni undici anni prima – sono ora chiamati a riunirsi in occasione di una trasmissione televisiva che li vuole insieme, per una sola sera, per celebrare la storia del glorioso varietà americano.

Ispirata alla vita di una famosa coppia di artisti del vaudeville (Joe Smith e Charles Dale), The Sunshine Boys debuttò a Broadway nel 1972 con la regia di Alan Arkin. Sono stati numerosi e di grande successo nei decenni successivi gli allestimenti teatrali in tutto il mondo e, in particolare, con la sceneggiatura dell’autore, la versione cinematografica del 1975 diretta da Herbert Ross, con protagonisti Walter Matthau e George Burns. Ultimo grande successo (1995) la trasposizione per il piccolo schermo statunitense, affidata a due stelle di prima grandezza, Woody Allen e Peter Falk.

In scena vediamo i due vecchi attori che, nel tentativo di ridare vita al numero comico che li ha resi famosi, cercano di ricucire quello strappo che li ha separati. Le incomprensioni antiche si ripresentano più radicate e questa difficile alchimia è il pretesto per un gioco di geniale comicità e di profonda malinconia, che svela le rispettive personalità.

Un omaggio al teatro, alla sua umana fragilità, al mondo degli attori, alle loro piccole manie e tragiche miserie. Uno spettacolo brillante e ricco di tenerezza a un tempo, con due fuoriclasse del nostro teatro a dare una nuova e straordinaria prova del loro immenso talento.

Produzione CTB

22 - 27 ottobre 2024
Teatro Renato Borsoni

Mimì
Da sud a sud sulle note di Domenico Modugno

uno spettacolo di e con Mario Incudine
testi Sabrina Petyx
regia Moni Ovadia, Giuseppe Cutino
musiche Mario Incudine
arrangiamenti Antonio Vasta
con i musicisti in scena Pino Ricosta, Manfredi Tumminello
costumi Daniela Conigliaro
disegno luci Giuseppe Cutino
produzione Centro Teatrale Bresciano
in collaborazione con ASC Production

Un viaggio sulle note dei brani di uno dei più amati cantautori italiani, Domenico Modugno.

Attore, cantante, paroliere, musicista, regista e anche politico, un artista eclettico che, con la sua straordinaria produzione musicale, ha regalato al mondo alcuni dei più grandi successi degli anni Cinquanta e Sessanta, scrivendo una pagina importantissima della storia musicale italiana.

Mimì è il nuovo spettacolo di Mario Incudine, che prosegue la collaborazione con il Centro Teatrale Bresciano dopo il successo di Parlami d’amore della scorsa Stagione. A curarne la regia, lo sguardo originale di Moni Ovadia (insieme a Giuseppe Cutino), artista e sperimentatore che ha fatto dell’equilibrio tra parola teatrale e musica la sua cifra stilistica.

In questo nuovo lavoro, Incudine si concentra su quella parte di repertorio di Modugno legata alla Sicilia, una terra che il cantautore pugliese aveva amato e abbracciato, anche su scaltro consiglio di Frank Sinatra: “La Sicilia la conoscono tutti. Fingiti siciliano e conquisterai il mondo!”.

“Volevo raccontare un Domenico Modugno inedito – spiega Incudine – il Domenico Modugno degli esordi, quello che si finse siciliano per raccontare a modo suo, fra teatro e canzoni, una Sicilia sconosciuta. Unendo tutte le canzoni del suo primo periodo, ho creato questo repertorio che neanche Modugno ha mai eseguito: non esiste un disco e non esiste uno spettacolo che metta insieme tutta questa produzione. Io l’ho fatto. L’esito è un pezzo di teatro canzone che alterna monologhi e brani meravigliosi, attraverso cui raccontiamo anche una parte della storia d’Italia, quella del boom economico, piena di speranza e sogni”.

Lo spettacolo raccoglie le aspirazioni di un uomo del Sud chiamato, appunto, Mimì ma che potrebbe avere mille nomi diversi. Racconta un viaggio quotidiano verso una terra straniera chiamata palcoscenico, una terra da raggiungere e conquistare. Ed è una storia, quella di Mimì, che si compone a sua volta di infinite storie diverse, e si incrocia con quella del suo interprete. Scorre su linee parallele che, sovvertendo ogni regola, si incontrano, per raccontare un mondo che cambia, lotta, sogna, sfida convenzioni e stereotipi.

Mimì siamo noi. Ogni giorno che passa. Noi di ieri. Noi di oggi. Noi di domani.

Noi che desideriamo Volare ma che non sempre sappiamo di avere le ali per poterlo fare.

27 ottobre 2024
Teatro Sociale

Io so

Inchiesta teatrale sulla strategia della tensione in Italia
con Elena Ruzza
testo Davide Rigallo
elaborazione drammaturgica Elena Ruzza
con la partecipazione straordinaria di Manlio Milani Presidente Associazione Familiari dei Caduti della strage di Piazza della Loggia
produzione Associazione Culturale Terra Terra
realizzato con i fondi dell’8 per mille Valdese
in collaborazione con Associazione Familiari dei Caduti della strage di Piazza della Loggia, Articolo 21 Piemonte, Riforma.it, Zonafranca Spazi interculturali ETS
In occasione del cinquantesimo anniversario della Strage di Piazza della Loggia

Per onorare i cinquant’anni dalla strage di Piazza della Loggia, uno spettacolo che approfondisce le circostanze storiche di quella strage, indagando anche cosa fu la cosiddetta “strategia della tensione”.

Elena Ruzza ci racconta quel segmento della storia italiana che si sviluppò tra il 1965 e il 1975, con propaggini sino ai primi anni Ottanta. Un periodo in cui la progressiva affermazione dell’uso della violenza nella lotta politica, con la formazione di organizzazioni armate eversive di diverse matrici ideologiche, trasformò l’Italia in teatro delle stragi più efferate dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Una sequenza diffusa di attentati, sequestri, scontri violenti, atti compiuti in un clima di tensione crescente, secondo un sistema di provocazioni, reazioni e paure che scrissero una delle pagine più tragiche della storia del nostro Paese.

Workshop sulla strategia della tensione

Al termine dello spettacolo, i giornalisti Claudio Geymonat e Gian Mario Gillio, la psicologa Stefania Barzon, l’analista politico Davide Rigallo, analizzano insieme a Manlio Milani il significato e l’attualità della strategia della tensione, in un incrocio di punti di vista e interpretazioni: i livelli di responsabilità delle stragi, il valore della memoria, la conoscenza ancora incompleta di quanto accaduto a oltre cinquant’anni di distanza, la difficoltà a ottenere giustizia per i crimini avvenuti.

Produzione CTB

29 ottobre – 3 novembre 2024
Teatro Mina Mezzadri

Interrogatorio a Maria

di Giovanni Testori
con Leda Kreider e Miriam Giudice
regia Paolo Bignamini
adattamento e aiuto regia Giulia Asselta
spazio scenico Nani Waltz
produzione Centro Teatrale Bresciano
in collaborazione con CMC Centro Culturale di Milano
si ringraziano Casa Testori e Associazione Giovanni Testori

Tu, forse, […] puoi a noi spiegare / il senso del sigillo / che disserri l’inesplicabile scrittura / che ognuno ebbe / nell’attimo della prima trafittura. / Il senso dell’essere voluto, / dell’essere deciso, / ecco, questo Ti chiedo, questo Ti chiediamo. / Se esiste anche per noi / come afferrarlo?

Trascorso da poco il centenario della nascita di Giovanni Testori e a più di quarant’anni dalla scrittura di Interrogatorio a Maria, le brucianti domande rivolte dal grande autore lombardo alla Madonna, contenute in questo testo, hanno ancora la forza di trapassare ognuno di noi.

Nello spettacolo diretto da Paolo Bignamini ci troviamo precipitati dentro l’avvenimento di un incontro cruciale in cui, quasi fuori dal tempo e dallo spazio, il figlio di carne e la madre celeste si incontrano. È un incontro di respiro potentemente universale e, allo stesso tempo, intimo, personale. È il tentativo struggente e audace di mettere parole nello spazio muto e però denso di pensieri, inquietudini, domande, sentimenti e contraddizioni che abita il rapporto di un figlio con la madre.

Con una parola alta, austera e poetica, Testori, in un momento di profonda crisi e di drammatico dialogo – ora tenero, ora spietato –, sottopone la Madonna alle domande più urgenti, tormentate e, a volte, scomode. Maria – madre di Gesù, ma anche incarnazione di inesorabili contraddizioni e di insondabili misteri – non si sottrae, ma si fa vicina, incontrabile, umana, così prossima da poterci riflettere in lei.

Interpretate da Leda Kreider e Miriam Giudice, “due giovani donne – scrive Paolo Bignamini – poste una di fronte all'altra come in un vertiginoso rispecchiamento, proveranno a sondare reciprocamente le profondità delle domande del coro, combattendo la trappola dell'aspettativa, di ciò che è rassicurante e atteso, e tentando di individuare una possibile via lungo la quale incamminarsi alla ricerca delle risposte. Non è una strada di facile accesso, ma proprio lungo quel percorso, forse, sarà possibile scorgere un esito per gli uomini nella loro singolarità e nella loro unità”.

6 – 7 novembre 2024
Teatro Renato Borsoni

Siamo qui riuniti
O della democrazia imperfetta


con Filippo Carrozzo
testo e regia Letizia Quintavalla, Bruno Stori
musiche Alessandro Nidi
consulenza storica Irene di Jorio
produzione Quintavalla – Stori

Uno spettacolo che da quasi vent’anni parla a giovani e adulti di politica e democrazia, accompagnandoli in un viaggio che inizia dall’antica Grecia e arriva fino ai giorni nostri.

E di quale politica tratta? Non la gestione della cosa pubblica o del potere, ma – come la intendevano i greci – l’essere, o il saper diventare, cittadini autentici, protagonisti attivi e critici del luogo abitato dagli uomini: la polis. Politoi, quindi, uomini all’altezza dell’identità di animali sociali, destinati dalla natura a superare la dimensione individualistica per saper fronteggiare con coraggio il rapporto con l’altro. Un altro che, nel nostro mondo presente, è sempre più spesso qualcuno che viene da lontano, da altre polis, da altri mondi, diversi per lingua e cultura.

In questo orizzonte di senso, la politica è la protagonista assoluta di questo spettacolo che sa parlare attraverso il rigore della ricerca e dell’approfondimento storico, ma anche con ironia e leggerezza.

Scopriremo insieme che la democrazia non è una conquista acquisita, ma un tentativo, sempre in movimento, un’affascinante ipotesi di lavoro, una tensione ancora da agire.

E tra i nostri compagni di viaggio ci sarà Socrate, che ci sorprenderà con la sua arte della parola, arricchimento interiore del sé e dell’altro. Insieme a lui, il filosofo spagnolo, nostro contemporaneo, Fernando Savater, che ci aiuterà a capire più profondamente il rapporto tra generazioni.

6 – 10 novembre 2024
Teatro Sociale

Don Giovanni
da Molière, Da Ponte, Mozart


adattamento e regia Arturo Cirillo
con Arturo Cirillo
e con (in o. a.) Irene Ciani, Rosario Giglio, Francesco Petruzzelli, Giulia Trippetta, Giacomo Vigentini
scene Dario Gessati
costumi Gianluca Falaschi
luci Paolo Manti
musiche Mario Autore
produzione Marche Teatro, Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova, Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale

Personificazione delle forze dell'amore oltre ogni legge, vitalità sfrenata che, esaltandosi nella voluttà, trova i germi della morte, il seduttore Don Giovanni è mito e leggenda. Sin dalla prima metà del Seicento, con la sua straordinaria forza, ha ispirato poeti, musicisti e drammaturghi nella composizione di opere che sono diventate immortali.

Con il suo nuovo spettacolo, Arturo Cirillo si misura con questo ideale, fondendo insieme la tradizione di Molière e l’opera di Mozart su libretto di Da Ponte. Musica e parola teatrale trovano un nuovo equilibrio in questa drammaturgia originale che, utilizzando codici diversi, racconta il mito di Don Giovanni, “conservando di Molière – scrive Cirillo – la sua capacità di lavorare su un comico paradossale e ossessivo, che a volte sfiora il teatro dell’assurdo, e di Da Ponte la poesia e la leggerezza, a volte anche una ‘drammatica leggerezza’. Poi c’è la musica di Mozart che di questa vicenda riesce a raccontare sia la grazia che la tragedia ineluttabile”.

Nella visione di Cirillo, Don Giovanni è un uomo che non può e non vuole fare a meno di giocare, recitare, sedurre, senza fine, ogni volta da capo, fino a morirne. La sua è una corsa verso la morte, una danza disperata, ma vitalissima, sempre sull’orlo del precipizio: perché, in fondo, la storia di Don Giovanni è un’autentica provocazione, una sfida al destino.

Produzione CTB

14 – 17 novembre 2024
Teatro Mina Mezzadri

La decapitazione di Marco Gualco

scritto e diretto da Riccardo Cacace
con Marco Gualco, Vincenzo Castellone, Susanna Valtucci, Matteo Sintucci, Riccardo Cacace, Matteo Alfonso
scenografia Marco Gualco
luci, costumi, editoria e sound design Riccardo Cacace
consulenza artistica Daniele D’Angelo, Claudia Monti, Massimo Mesciulam
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Nazionale di Genova, Centro Teatrale MaMiMò

Come se fosse così facile scegliere di farlo!
E invece ci vuole pazienza, per morire. Pazienza.
Bisogna aspettare di volerlo davvero.
Perché altrimenti ci fa paura,
altrimenti ci fa morire male.

Un uomo – si presenta lui stesso come “meschino” – implora il suo boia di fermare l’esecuzione e permettergli di raccontare la sua storia. Come in un flusso a spirale, la trama si dipana e assistiamo al racconto delle ultime due settimane di vita del condannato a morte Marco Gualco, scoprendo le ragioni che l’hanno condotto al suo destino, e con esse, il segreto che si cela dietro quella “meschinità” con cui lo stesso protagonista si definisce.

Lo spettacolo presenta un intreccio particolarissimo. A partire dalla sospensione dell’esecuzione del protagonista, richiamandosi alla struttura della tragedia greca, si ordinano in alternanza i ricordi evocati da Marco Gualco, chiamati episodi, e i dialoghi tra lui e il suo boia, denominati stasimi, parodo ed esodo.

Autore del testo e della regia, Riccardo Cacace porta in scena uno spettacolo ad alta intensità emotiva, concentrandosi su una storia che fluttua tra l’autocolpevolizzazione del protagonista e il culto di sé e della sua colpevolezza, toccando temi come lo sfatamento del mito paterno e la percezione distorta dei propri ricordi.

Un turbinio di reminiscenze e suggestioni che ci lascia col fiato sospeso sino all’epilogo: il boia calerà, infine, la sua scure?

Produzione CTB

15 – 17 novembre 2024
Teatro Renato Borsoni

Cabaret Yiddish

di e con Moni Ovadia
e con
Michele Gazich violino
Giovanna Famulari violoncello
Paolo Rocca clarinetto
Nicu Nelutu Baicu fisarmonica
suono Mauro Pagiaro
produzione Centro Teatrale Bresciano, Fondazione Atlantide – Teatro Stabile di Verona
in collaborazione con Corvino Produzioni

Dopo il successo di Dio ride. Nish Koshe e del riallestimento del celebre Oylem Goylem, Moni Ovadia continua la sua collaborazione con il Centro Teatrale Bresciano portando in scena una tappa imprescindibile del suo repertorio, affondo nella cultura e nella musica ebraica. Cabaret Yiddish rappresenta, infatti, il prodromo di Oylem Goylem, spettacolo culto con cui Moni Ovadia ha fatto conoscere al grande pubblico la cultura ebraica.

Uno spettacolo da camera fatto di storie, canzonette, battute fulminee e geniale atmosfera da cabaret, dedicato a quella parte di cultura ebraica di cui lo yiddish è la lingua – inafferrabile miscuglio di tedesco, ebraico, polacco, russo, ucraino e romeno – e il klezmer la musica: un genere il cui nome deriva dalle parole ebraiche Kley Zemer, che si riferiscono agli strumenti musicali (violino, archi e clarinetto) con cui, a partire all’incirca dal XVI secolo, si suonava la musica tradizionale degli ebrei dell’Est europeo.

Ed è proprio con la musica dal vivo di un ensemble di bravissimi musicisti che Moni Ovadia ci condurrà attraverso la condizione universale dell’Ebreo errante, del suo “essere senza patria, sempre e comunque”.

Questo il cuore di Cabaret Yiddish: uno spettacolo che “sa di steppe e di retrobotteghe, di strade e di sinagoghe”, di quello che Moni Ovadia chiama “il suono dell’esilio, la musica della dispersione”, in una parola, della diaspora.

“Ho scelto di dimenticare la ‘filologia’ per percorrere un’altra possibilità proclamando che questa musica trascende le sue coordinate spazio-temporali ‘scientificamente determinate’ per parlarci delle lontananze dell’uomo, della sua anima ferita, dei suoi sentimenti assoluti, dei suoi rapporti con il mondo naturale e sociale, del suo essere ‘santo’, della sua possibilità di ergersi di fronte all’universo, debole ma sublime.

Gli umili che hanno creato tutto ciò prima di poter diventare uomini liberi sono stati depredati della loro cultura e trasformati in consumatori inebetiti ma sono comunque riusciti a lasciarci una chance postuma, una musica che si genera laddove la distanza fra cielo e terra ha la consistenza di una sottile membrana imenea che vibrando, magari solo per il tempo di una canzonetta, suggerisce, anche se è andata male, che forse siamo stati messi qui per qualcos’altro”.
Moni Ovadia

Produzione CTB

19 novembre – 1 dicembre 2024
Teatro Mina Mezzadri

Totò e Vicé

di Franco Scaldati
regia e interpretazione Enzo Vetrano e Stefano Randisi
disegno luci Maurizio Viani
costumi Mela Dell’Erba
produzione Centro Teatrale Bresciano
in collaborazione con Compagnia Vetrano – Randisi

Artisti di straordinaria sensibilità, Enzo Vetrano e Stefano Randisi fanno della dialettica e del confronto l’espressione della loro poetica, con un sodalizio che dura da oltre quarant’anni.

Da tempo hanno incontrato la poesia di Franco Scaldati – autore presente anche nel lavoro presentato la scorsa Stagione per il CTB, Fantasmi da Pirandello – e soprattutto di Totò e Vicé, i teneri e surreali clochard nati dalla fantasia del poeta, attore e drammaturgo palermitano.

Totò e Vicé sono legati da un’amicizia reciproca assoluta e vivono di frammenti di sogni che li fanno stare in bilico tra il mondo terreno e il cielo, in un tempo imprendibile tra passato e futuro, con la necessità di essere in due, per essere. Nelle loro parole, gesti, pensieri, giochi, Vetrano e Randisi si sono subito specchiati.

“Abbiamo conosciuto Franco Scaldati a Palermo, alla fine degli anni ’70. Nel 1977 avevamo affittato due locali a pochi passi di distanza, dove lavoravamo quotidianamente e presentavamo i nostri lavori al pubblico che ci seguiva. Nel 1979 ci trasferimmo in Emilia-Romagna; per lungo tempo ci siamo perduti di vista con Franco, anche se seguivamo da lontano il suo lavoro.

Poi, nel 2007, per un omaggio alla memoria di Leo De Berardinis, ci venne il desiderio di leggere alcuni frammenti di Totò e Vicé, e così, in un capannone industriale alla periferia di Bologna, le sue parole scritte in un palermitano stretto ma altamente poetico cominciarono a toccare il cuore di un pubblico che si trovò spiazzato e affascinato. Per noi una rivelazione: quei dialoghi sembravano scritti per noi, li percepivamo come qualcosa che apparteneva alla nostra vita, alla nostra storia, al nostro sentire.

E così – anche grazie all’esortazione di Franco Quadri, che venne a incontrarci al termine di una recita della tournée di Fantasmi – cominciammo l’avventura di Totò e Vicé, che dura da tredici anni e continua ancora, uno spettacolo che ha girato tutta l’Italia, e non solo. Siamo stati per ben due volte a Pechino, dove lo spettacolo ha avuto un successo strepitoso, a conferma che la poesia di questi due personaggi arriva a tutti. La cosa bella è che, anche dopo il debutto, Scaldati continuava a inviarci “pizzini” con nuove frasi, dicendoci: se vi piacciono potete usarle… regali meravigliosi che diventavano subito nuovi dialoghi dello spettacolo”.
Enzo Vetrano, Stefano Randisi

Produzione CTB

26 novembre – 1 dicembre 2024
Teatro Sociale

Andavamo a mille

uno spettacolo di Gioele Dix

collaborazione ai testi Marco Archetti, Andrea Midena
regia Gioele Dix
con Gioele Dix
e Valentina Cardinali
Savino Cesario direttore musicale, chitarra
Massimo Carrieri pianoforte, arrangiamenti
Caterina Crucitti basso, voce
Sandro De Bellis percussioni
musiche Savino Cesario
scene Angelo Lodi
assistente alla regia Beatrice Cazzaro
produzione Centro Teatrale Bresciano, Mille Miglia srl
si ringrazia Retropalco

Quando si parla di viaggiare e di gare di velocità ci si affida spesso ai numeri per raccontare cosa accade: un numero per lo spazio, uno per il tempo e uno per la velocità. Dovrebbero bastare a spiegare il senso di una corsa, legandola a dati rassicuranti e riconoscibili. Ma i conti, ci accorgiamo presto, non tornano mai quando i numeri incontrano la vita delle persone, quando la velocità ti scorre dentro come fosse viva e quando abbiamo a che fare con una gara leggendaria lunga quasi un secolo, che un numero lo porta nel nome, fin dai suoi esordi: la 1000 Miglia.

Una gara diversa dalle altre, che mette al centro l’elemento umano ancor prima delle macchine, nata nella nostra città, Brescia, e divenuta monumento, culto e specchio dei tempi.

Gioele Dix, attore, autore e regista curioso ed eclettico, ma anche automobilista appassionato, continua la sua collaborazione con il Centro Teatrale Bresciano – dopo i successi di La corsa dietro il vento e Ma per fortuna che c’era il Gaber – con questo inedito progetto: un racconto, che è insieme un tributo, al “museo viaggiante”, alla “corsa più bella del mondo”.

Con l’aiuto di un affiatato gruppo musicale e di un apparato scenografico suggestivo, Gioele Dix ci porta con sé in un percorso libero e vivissimo nella grande storia degli ultimi cento anni, vista tramite le vite degli uomini e delle donne che hanno attraversato questa competizione unica al mondo. Dal trentennio d’oro delle corse iniziato nel 1927, alla trasformazione in fenomeno culturale e di costume, percorriamo insieme un racconto fatto di incontri, avventure e tragedie, musiche e parole.

È capitato a tutti di chiedersi dove possano portare quelle strade laterali che incontriamo viaggiando. Chi conosce il modo di lavorare dell’artista milanese sa che Gioele Dix, mentre recita, quelle strade secondarie le percorre sempre. La sua è una poetica della deviazione e del percorso non rettilineo, per trovare non la strada più breve, ma la migliore, la strada più bella, quella che restituisce il senso del viaggio, vissuto in questo spettacolo con intelligenza, passione e divertimento.

Produzione CTB

29 – 30 novembre 2024
Teatro Renato Borsoni

Franciscus
Il folle che parlava agli uccelli


di e con Simone Cristicchi
scritto con Simona Orlando
canzoni inedite di Simone Cristicchi e Amara
musiche e sonorizzazioni Tony Canto
scenografia Giacomo Andrico
luci Cesare Agoni
costumi Rossella Zucchi
aiuto regia Ariele Vincenti
produzione Centro Teatrale Bresciano, Accademia Perduta Romagna Teatri
in collaborazione con Corvino Produzioni

Franciscus, il rivoluzionario, l’estremista, l’innamorato della vita.

Franciscus, che visse per un sogno. Franciscus, il folle che parlava agli uccelli.

Franciscus, che vedeva la sacralità e la bellezza in ogni volto di persona ma anche di animale, e non solo in essi ma anche nel sole, nella morte, nella terra su cui camminava insieme agli altri.

Qual è l’attualità del suo messaggio?

Cosa può dirci la filosofia del “ricchissimo” di Assisi, nella confusione della modernità affamata di senso, nelle promesse tradite del progresso?

Torna a Brescia in via straordinaria l’ultimo ed emozionante spettacolo di Simone Cristicchi, forte del successo riscontrato la scorsa Stagione.

L’attore e cantautore romano approda a San Francesco dopo un percorso sulla memoria storica, iniziato con gli spettacoli Mio nonno è morto in guerra e Magazzino 18, e giunto a quella che l’artista definisce “geografia dell’anima”, dove affronta diverse tematiche spirituali: l’eresia gnostica di David Lazzaretti, l’anelito alla felicità con Happy Next, fino all’immersione nel Paradiso di Dante.

In questo spettacolo, Cristicchi, solo in scena, ci conduce tra riflessioni, domande e canzoni inedite – che portano la firma dello stesso Cristicchi e della cantautrice Amara – per indagare e raccontare il “Santo di tutti”: che è stato innanzitutto un uomo in crisi, consumato dai dubbi, un laico che imparava facendo, si perfezionava incontrando, e il cui esempio riuscì ad attrarre una comunità, ma non senza destare sospetti di alcuni del popolo. Nello spettacolo, infatti, interpretato dallo stesso Cristicchi, compare il personaggio di Cencio, simbolo dei suoi detrattori: stracciaiolo girovago, inventore di una lingua solo sua, è l’osservatore critico del viaggio di Francesco.

Al centro di questo spettacolo, il labile confine tra follia e santità, tema cardine della vita personale e spirituale del Santo di Assisi. Ma anche la povertà, la ricerca della perfetta letizia, la spiritualità universale, l’utopia necessaria di una nuova umanità che riesca a vivere in armonia con il creato. Temi che, nel frastuono della società in cui viviamo, diventano ancora più urgenti e vividi.

Uno spettacolo ad alta intensità, che fa risuonare potenti in noi le domande più profonde e ci spinge a ricercarne una possibile risposta.

3 – 8 dicembre 2024
Teatro Sociale

Il misantropo

di Molière
progetto e collaborazione alla traduzione Andrée Ruth Shammah e Luca Micheletti
regia Andrée Ruth Shammah
traduzione Valerio Magrelli
con Fausto Cabra e con (in o. a.) Matteo Delespaul, Pietro De Pascalis, Angelo Di Genio, Filippo Lai, Marina Occhionero, Emilia Scarpati Fanetti, Andrea Soffiantini, Vito Vicino, Maria Luisa Zaltron
e la partecipazione di Corrado D’Elia
scene Margherita Palli
costumi Giovanna Buzzi
luci Fabrizio Ballini
musiche Michele Tadini
cura del movimento Isa Traversi
produzione Teatro Franco Parenti, Fondazione Teatro della Toscana

Un capolavoro del teatro, messo in scena con un’attenta cura filologica del testo. Andrée Ruth Shammah torna a Molière con Il misantropo, “una storia d’amore, un amore-possesso, una nevrosi. Un tema moderno come non mai”.

A incarnare il protagonista Alceste, il talentuoso Fausto Cabra, regista e attore bresciano: guida una compagnia di bravissimi attori, tra cui spicca Marina Occhionero nei panni di Célimène.

In scena c’è la “disperata vitalità” di un uomo solo davanti al potere, solo davanti ai benpensanti; un uomo folle, deriso dalla società, ma in realtà l’unico capace di cogliere la follia di chi lo circonda. Un uomo in costume scuro, che si muove al centro di un mondo popolato da personaggi vestiti in colori pastello, a simboleggiare una società̀ variegata nella forma, ma omologata nella sostanza.

“Non c’è volontà di giudizio – scrive Shammah – nessuno ha ragione, nessuno ha torto, la trama stessa si compone dall’evoluzione delle posizioni di ciascun personag¬gio. E credo stia proprio in quest’assenza di giudi¬zio e nell’esplorazione dei diversi punti di vista la vera essenza del Teatro, e dunque il mio omaggio a uno dei più grandi autori di tutti i tempi”.

Produzione CTB

6 – 15 dicembre 2024
Teatro Mina Mezzadri

Nella lingua e nella spada

un progetto di musica e teatro ispirato alle vite e alle opere di Oriana Fallaci e di Aléxandros Panagulis
elaborazione drammaturgica, regia e interpretazione Elena Bucci
musica in playback Luigi Ceccarelli
con registrazioni di Michele Rabbia e Paolo Ravaglia
disegno luci Loredana Oddone
cura e regia del suono Raffaele Bassetti
assistente all’allestimento Nicoletta Fabbri
scene Nomadea, Loredana Oddone
costumi Nomadea, Marta Benini, Manuela Monti
produzione Centro Teatrale Bresciano
in collaborazione con Le belle bandiere
si ringraziano Campania Teatro Festival e Ravenna Festival

Per il CTB, Elena Bucci presenta un melologo struggente in cui fa incontrare le parole sferzanti di Oriana Fallaci con l’amore per la libertà del rivoluzionario e poeta greco Aléxandros Panagulis.

La prima vittima dei tiranni / è il loro spirito. / Prima a quello / mettono le catene.

Aléxandros Panagulis, Vi scrivo da un carcere in Grecia, 1974, Rizzoli

“Grazie Oriana perché scrivendo la vostra storia d’amore e libertà hai vinto la morte.

Grazie Alekos perché distillando versi nella solitudine della tua prigionia hai vinto il dolore.

Grazie alla vostra scrittura io che non so cosa siano la guerra, la dittatura, la censura, la tortura, io sono con voi, sono voi, nella lingua e nella spada.

Questo melologo di più anime si ispira alla storia del poeta e rivoluzionario greco Alekos Panagulis e della giornalista e scrittrice Oriana Fallaci: si incontrano per un’intervista il giorno in cui Alekos, incarcerato per un attentato al dittatore Papadopoulos, viene liberato grazie a un forte movimento internazionale e restano allacciati, fino alla morte di lui, avvenuta per un misterioso incidente, nel 1976.

Alekos trova nella poesia una cura per resistere alla violenza della tirannia e del carcere; Oriana fa del suo lutto un libro. Irriducibili, spesso isolati e solitari, mai vinti nella vitalità e nell’energia, trasformano il dolore in scrittura, memoria di tutti, un tesoro al quale attingere quando manca il coraggio.

Proverò a raccontare con le mie povere parole di lei e di lui, di quell’epoca, di quella terra e della mia, dell’entusiasmo per alcuni artisti – eroi? – che vissero l’orrore della dittatura senza piegarsi, cantando: nella lingua e nella carta è la loro spada.

Grazie a loro allargo il mio sguardo di fortunata nata in tempo di pace fino al limite del buio che si avvicina. Sullo sfondo è la musica greca, che ha saputo accogliere la musica latina, araba e balcanica fino a farne una sintesi che ci identifica tutti in un unico linguaggio. Nella lingua e nella spada ha aperto una strada nuova che mi riconduce al misterioso luogo dove ho vissuto il primo fascino del teatro”.
Elena Bucci

18 – 22 dicembre 2024
Teatro Sociale

Arlecchino muto per spavento

ispirato al canovaccio Arlequin muet par crainte di Luigi Riccoboni
con (in o. a.) Sara Allevi, Marie Coutance, Matteo Cremon, Anna De Franceschi, Michele Mori, Stefano Rota, Pierdomenico Simone, Maria Luisa Zaltron, Marco Zoppello
soggetto originale e regia Marco Zoppello
scenografia Alberto Nonnato
costumi Licia Lucchese
disegno luci Matteo Pozzobon e Paolo Pollo Rodighiero
maschere Stefano Perocco di Meduna
duelli Massimiliano Cutrera
consulenza musicale Ilaria Fantin
assistente alla regia Francesca Botti
produzione StivalaccioTeatro, Teatro Stabile del Veneto - Teatro Nazionale, Teatro Stabile di Bolzano, Teatro Stabile di Verona
con il sostegno della Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza e della Fondazione Teatro Civico di Schio

È il 1716 e dopo circa quindici anni di esilio forzato i Comici Italiani tornano finalmente a essere protagonisti del teatro parigino. Per l’occasione, Luigi Riccoboni, in arte Lelio, capocomico, si circonda dei migliori interpreti dello Stivale. Ma l’Arlecchino di Tommaso Visentini non parla francese, una mancanza imperdonabile per il pubblico di Parigi. Ed è qui che la storia inventa l’arte: per ovviare, Riccoboni prepara un originale canovaccio, una storia mai scritta dove il servo bergamasco diviene muto... per spavento! È così che nasce l’Arlequin muet par crainte, uno dei canovacci più rappresentati nella Parigi dei primi del ‘700, che contribuirà alla fortuna della Commedia dell'arte.

Marco Zoppello e la sua compagnia di bravissimi attori torna a far vivere uno spettacolo dove gioco, invenzione, amore, paura e dramma si mescolano tra le smorfie inamovibili delle maschere (in cui brilla la maestria di Perocco di Meduna). Dove gli intrecci si ingarbugliano sull’equivoco e lentamente si dipanano tra le dita dei personaggi. Un mondo surreale e fantastico, eco lontano di uno splendore teatrale italiano, eclettico equilibrismo sul filo della storia e della tradizione.

29 – 30 dicembre 2024, ore 20.30
31 dicembre 2024, ore 21.30 – Spettacolo dell’ultimo dell’anno
Teatro Sociale

Fino alle stelle
Scalata in musica fino allo Stivale


di e con Agnese Fallongo e Tiziano Caputo
coordinamento creativo Adriano Evangelisti
regia Raffaele Latagliata
accompagnamento musicale dal vivo Tiziano Caputo
elementi scenografici Andrea Coppi
movimenti coreografici Annarita Gullaci
costumi Giorgia Marras
produzione Teatro de Gli Incamminati
in collaborazione con ARS Creazione e Spettacolo

“E mica ti cade dal cielo, sai? La felicità, quella... te la devi conquistare!” Così Tonino, cantastorie siciliano dall’animo poetico, musicista istrionico e affabulatore, convincerà Maria, fanciulla dal temperamento apparentemente mite, ancora ignara del suo straordinario talento, a seguirlo in un’impresa a dir poco improbabile: scalare l’intero Stivale alla ricerca di fama e gloria per arrivare... fino alle stelle!

Un sogno ardito e un po’ folle. Soprattutto negli anni ‘50, in Sicilia e senza un soldo in tasca. Ma talvolta è necessario avere il coraggio di sfidare la sorte per cercare di realizzare i propri sogni, anche a costo di apparire degli illusi. Così, Tonino e Maria, piombati casualmente l’uno nella vita dell’altra, decidono di intraprendere il viaggio. Un viaggio non solo lungo tutta la penisola attraverso regioni, dialetti e leggende, ma anche dentro loro stessi, un viaggio fatto di momenti privati, piccoli dissapori e comiche gelosie.

I talentuosi Agnese Fallongo e Tiziano Caputo recitano, cantano e suonano, dando vita a un caleidoscopio di dialoghi, battute e canzoni che ci consegna un affresco del nostro bellissimo Paese. Ci stupiscono e meravigliano con il loro destreggiarsi tra i diversi dialetti che, lungo il loro viaggio, scorrono veloci.

Una commedia musicale romantica, commovente e insieme esilarante per trascorrere insieme gli ultimi giorni dell’anno.

Produzione CTB

7 – 12 gennaio 2025
Teatro Renato Borsoni

Cassandra
o dell’inganno

drammaturgia Elisabetta Pozzi
con la collaborazione di Massimo Fini
con Elisabetta Pozzi
musiche e disegno luci Daniele D’Angelo
spazio scenico Guido Buganza
movimenti Alessio Romano
produzione Centro Teatrale Bresciano

Continua il sodalizio tra Centro Teatrale Bresciano ed Elisabetta Pozzi, tra le maggiori artiste della scena italiana, con un nuovo affondo nel Mito.

L’artista genovese da molti anni lavora intorno ai grandi temi e archetipi dell’antichità: Elektra di Hoffmannsthal, Medea, Ippolito e Ecuba di Euripide, Elena e Fedra di Ghiannis Ritsos sono soltanto alcuni dei testi che ha affrontato nel corso della sua carriera.

Tra i personaggi più frequentati in questo lungo dialogo con le radici del teatro occidentale c’è Cassandra, oggetto di numerosi studi e spettacoli di cui questo Cassandra o dell’inganno è l’ultima tappa.

Elisabetta Pozzi ha costruito una drammaturgia originale che, partendo dalle tragedie di Eschilo ed Euripide, compie un affascinante percorso intorno alla profetessa troiana – cui Apollo ha dato il dono di prevedere il futuro e, insieme, la condanna di non essere creduta – raccogliendo liberamente suggestioni e riletture da grandi testi e autori di ogni tempo, da Seneca a Christa Wolf, da Omero a Ghiannis Ritsos, fino a Wislawa Szymborska e Pier Paolo Pasolini.

In un montaggio avvincente, emerge un ritratto originale di una delle figure femminili del Mito più profondamente tragiche, per l’impotenza e la tremenda solitudine che la connotano nel sostenere il peso della conoscenza.

Dispiegando il suo magnetico talento, Elisabetta Pozzi porta in scena una figura di grande modernità, in cui convivono forza e fragilità, dando corpo e voce a un personaggio indimenticabile.

In questo emozionante spettacolo il mito di Cassandra prende nuovamente vita sotto i nostri occhi, attraversando le epoche con la sua dolorosa e inascoltata capacità di preveggenza, fino a prefigurare, nell’epilogo scritto a quattro mani con Massimo Fini, un futuro incerto per la nostra civiltà orfana di identità, in cui l’uomo moderno – con la sua incapacità di porsi dei limiti – “è ormai diventato un minuscolo ragno al centro d’una immensa tela che si tesse ormai da sola, e di cui è l’unico prigioniero”.

Il compositore Daniele D’Angelo ha creato una partitura musicale e sonora raffinata, un filo rosso che attraversa lo spettacolo intrecciandosi alle parole alte, ipnotiche ed attualissime di Cassandra.

Produzione CTB

14 – 19 gennaio 2025
Teatro Sociale

Il malato immaginario


di Molière
adattamento e traduzione Angela Dematté
regia Andrea Chiodi
con Tindaro Granata e cast in via di definizione
scene Guido Buganza
costumi Ilaria Ariemme
musiche Daniele D'Angelo
luci Cesare Agoni
cura dei movimenti Marta Ciappina
produzione Centro Teatrale Bresciano
in coproduzione con LAC Lugano Arte e Cultura, Accademia Perduta Romagna Teatri

Dopo il successo degli allestimenti dedicati a classici come La locandiera di Goldoni e La bisbetica domata di Shakespeare – per cui Tindaro Granata è stato candidato al Premio Ubu –, l’attore siciliano e il regista Andrea Chiodi tornano a collaborare lavorando su uno dei testi più fortunati di Molière, Il malato immaginario.

Il 1673 è l’anno di composizione dell’opera: un nuovo attacco di Molière contro i medici, che testimonia, ancora una volta, il suo odio viscerale per questa categoria.

“Molière – scrive Giovanni Macchia, tra i francesisti più autorevoli del Novecento – è uno scienziato delle nevrosi”. È un uomo malato, che teme di morire, ma che sa anche che ridere e far ridere è una difesa contro quelli che erano i suoi stessi mali: la gelosia, il dolore, l’ansia, la malinconia. C’è, dunque, dietro commedie che sembrano fatte di comicità persino farsesca, l’ombra di un autoritratto, un gioco, dice Macchia, “tra assenza e presenza”.

"La mia esplorazione e curiosità per questo testo – dichiara Andrea Chiodi – inizia da questa battuta di Molière: ‘Quando la lasciamo fare, la natura si tira fuori da sola pian piano dal disordine in cui è finita. È la nostra inquietudine, è la nostra impazienza che rovina tutto, e gli uomini muoiono tutti quanti per via dei farmaci e non per via delle malattie’. Una visione che fa un po' paura, ma che, allo stesso tempo, mi intriga moltissimo”.

E sarà un Malato immaginario onirico e irriverente quello firmato da Andrea Chiodi, divertente e contemporaneo nel portare in scena le vicende familiari dell’ipocondriaco Argante, circondato da medici inetti e furbi farmacisti, ben felici di alimentare le sue ansie per tornaconto personale.

Come l’avaro Arpagone, Argante è vittima di sé stesso e burattino di chi gli sta intorno, prigioniero della sua stessa paura, un’ossessione – l’ipocondria – che in questa nuova versione del capolavoro di Molière diventerà piena protagonista.

Produzione CTB

17 – 26 gennaio 2025
Teatro Mina Mezzadri

Gentiluomo in mare

di Herbert Clyde Lewis
con Maria Paiato
regia Giulio Costa
produzione Centro Teatrale Bresciano

Che cosa si prova a cadere da un piroscafo in mezzo all’Oceano Pacifico? Chiedetelo a Henry Preston Standish, il protagonista di questo breve romanzo: un agente di Borsa di New York che si è appena concesso la sua prima vacanza solitaria per poi, una volta al largo, cadere inopinatamente in mare.

Sposato, con due figli, socio di un fondo di investimento, Standish è un bravo cittadino, “scialbo come una tela grigia”, che non ha mai avuto dubbi o cedimenti. La sua è un'esistenza tranquilla e agiata, ma il tarlo di qualcosa che manca in una vita così regolare si insinua pian piano in profondità, fino a convincerlo di aver bisogno di un distacco temporaneo da tutto. Sente il bisogno di partire. Inizia così a viaggiare e finisce, con pochi altri passeggeri, sull’Arabella, in viaggio verso Panama, ultima tappa prima del rientro a casa.

Se il viaggio non andrà come sperato è solo colpa della sua condizione di gentiluomo – fonte ultima dei suoi guai –, che gli impedisce di urlare a squarciagola per chiedere soccorso una volta caduto in mare. Quando, infatti, si decide a farlo è troppo tardi e si ritrova in pieno oceano, mentre la nave si allontana per sempre all'orizzonte.

Le ore successive le passerà a riflettere sulla tragica ironia della sua sorte: una minima odissea tutta interiore che lentamente si trasforma in una sorta di regressione alla condizione prenatale, verso un pensiero originario. Standish si spoglia delle convenzioni e riesce a vedere “l’enorme divario tra alba e tramonto”, tra consuetudine e verità, a comprendere cosa davvero significhino i sentimenti e di come, pur all’interno di una società che allontana dal pensiero della morte, questa figuri, paradossalmente, come l’istante deflagrante della vita (“Avevi tutto il tempo a disposizione per pensare e maledire il tuo destino, per sentirti minuscolo e terrorizzato, per vederti risucchiare il midollo della vita a poco a poco”).

Herbert Clyde Lewis (Brooklyn, 1909-1950) scrive una novella perfetta, una storia che si sostiene grazie alla destrezza nel raccontare. Muovendosi tra i registri, dal comico al tragico, Lewis dà la concretezza della parola all’universo intangibile dei sentimenti e dei pensieri che ci parlano, così, direttamente.

La straordinaria Maria Paiato torna a collaborare con il Centro Teatrale Bresciano dopo i successi di Il delirio del particolare, Boston Marriage e Ladies Football Club portando in scena questo piccolo capolavoro della letteratura.

Produzione CTB

21 – 26 gennaio 2025
Teatro Renato Borsoni

Le emozioni che abbiamo vissuto

di e con Walter Veltroni
regia Walter Veltroni
scene Angelo Lodi
Gabriele Rossi pianoforte
produzione Centro Teatrale Bresciano
in collaborazione con Elastica e Retropalco

“La vita mi ha consentito di essere spettatore privilegiato e protagonista del mio tempo.

Credo che la restituzione di ciò che la vita ti ha donato sia un dovere, per alimentare la memoria, forma essenziale di coscienza civile.

Vorrei che, attraverso un percorso fortemente segnato dal valore dell’emozione, si potesse ricostruire, decennio per decennio, ciò che ci è successo. Lo faremo con le parole, strumento la cui potenza spesso sottovalutiamo, e attraverso la forza evocativa di stimoli derivanti dal nostro vissuto pop: film, televisione, pubblicità, musica”.

Walter Veltroni

Walter Veltroni è il protagonista di questo particolare progetto che lo vede, in veste di narratore, condurci attraverso il nostro passato più recente, facendoci rivivere il periodo storico che va dagli anni Sessanta fino agli anni Duemila. Un viaggio emozionale e di coscienza condotto decennio per decennio.

Come siamo cambiati lungo questo arco di tempo? E come siamo arrivati fino a oggi?

Gli anni Sessanta, con l’elezione di Kennedy, la musica di Gianni Morandi e dei Beatles, la minigonna, le figurine da collezionare, i capelli sempre più lunghi, le prime avventure nello spazio e l’uomo sulla luna, l’uccisione dei due Kennedy e di Martin Luther King, il Vietnam, l’alluvione di Firenze, il Sessantotto, la cultura hippie. La vita di tutti noi fu, in quel decennio, sottoposta a un’accelerazione incredibile. Cambiò tutto, in dieci anni. Il modo di vestire, di amarsi, di essere figli e genitori, di pensare la politica e la vita.

E a partire da un decennio che si aprì sorridendo con Gagarin, Giovanni XXIII, l’atmosfera di Sapore di sale e con l’autostrada che unificava il paese, e si chiuse con le bombe di Piazza Fontana, Walter Veltroni ci guida attraverso la memoria dei fatti degli anni Settanta, Ottanta e Novanta, fino al disastro delle Torri Gemelle.

Con la sua capacità di narratore, ricostruisce attraverso il ricorso alla cronaca e alla presenza in scena di oggetti originali, simbolo di quegli anni, musiche, giornali, immagini d’epoca, video inediti – parte attiva della scenografia –, il senso di questo passaggio che ci ha condotto fino ai giorni nostri.

Un racconto emozionante, fatto di ricordi personali e di madeleines, che coinvolge direttamente ognuno di noi.

22 – 23 gennaio 2025
Spettacolo in occasione della Giornata della Memoria
Teatro Sociale

Perlasca
Il coraggio di dire no


di e con Alessandro Albertin
regia Michela Ottolini
disegno luci Emanuele Lepore
produzione Teatro de Gli Incamminati
in collaborazione con Overlord Teatro
e col patrocinio della Fondazione Giorgio Perlasca

In occasione della Giornata della Memoria, torna a grande richiesta l’intenso monologo di Alessandro Albertin.

Uno spettacolo che porta in scena una storia necessaria che non possiamo non conoscere: un esempio che ci obbliga a riflettere sulla possibilità che sempre ci è data di compiere una scelta e di agire.

Siamo a Budapest, è il 1943. Il commerciante di carni italiano trentatreenne Giorgio Perlasca è ricercato dalle SS, l’unità paramilitare del partito nazista. La sua colpa è quella di non aver aderito alla Repubblica di Salò. Per i tedeschi è un traditore e la deve pagare.

In una tasca della sua giacca c’è una lettera firmata dal generale spagnolo Francisco Franco che lo invita, in caso di bisogno, a presentarsi presso una qualunque ambasciata spagnola. In pochi minuti diventa Jorge Perlasca e si mette al servizio dell’ambasciatore Sanz Briz per salvare dalla deportazione quanti più ebrei possibile. Quando Sanz Briz, per questioni politiche, è costretto a lasciare Budapest, Perlasca assume indebitamente il ruolo di ambasciatore di Spagna. In soli quarantacinque giorni, sfruttando straordinarie doti diplomatiche e un coraggio da eroe, evita la morte a più di cinquemila persone.

Con straordinaria bravura Alessandro Albertin racconta la storia di questo grande uomo e dei numerosi personaggi che l’hanno affiancato nella sua incredibile avventura.

25 – 26 gennaio 2025
Teatro Sociale

Racconti disumani

da Franz Kafka
uno spettacolo di Alessandro Gassmann
con Giorgio Pasotti
adattamento Emanuele Maria Basso
musiche Pivio e Aldo De Scalzi
scene Alessandro Gassmann
costumi Mariano Tufano
light designer Marco Palmieri
videografie Marco Schiavoni
aiuto regia Gaia Benassi
produzione Teatro Stabile d’Abruzzo e Stefano Francioni Produzioni

Due straordinari artisti come Alessandro Gassmann e Giorgio Pasotti si misurano con le parole di Franz Kafka, portando sulla scena Una relazione per un’Accademia e La tana. Due “racconti disumani”, come recita il titolo dello spettacolo, che sembrano raccontare le storie di due animali ma che, in realtà, parlano agli uomini degli uomini stessi.

Pubblicato per la prima volta nel 1917, Una relazione per un’Accademia ha per protagonista una scimmia che rivela in prima persona come, in soli cinque anni, si sia adeguata al sistema umano per uscire dalla gabbia nella quale è rinchiusa, guadagnando, così, un surrogato di libertà. Con tono divertito e distaccato, la scimmia ripercorre lo studio delle abitudini degli uomini, dando dimostrazione di quanto facile sia la loro imitazione.

La tana è uno degli ultimi racconti di Kafka, scritto durante la sua permanenza a Berlino nel 1923 e pubblicato postumo, e incompiuto, nel 1931. Il protagonista, per metà roditore e per metà architetto, racconta il suo continuo e disperato sforzo per costruirsi un’abitazione perfetta, un elaborato sistema di cunicoli che lo protegga da nemici invisibili. In questo assurdo tentativo, scava corridoi, passaggi e vicoli ciechi, in una ossessiva ricerca di sicurezza che genera null’altro che ansia e terrore.

“Kafka – commenta Gassmann – lavora sulla parte profonda di noi, sempre con una visione personale, riconoscibile, inimitabile. Penso che andare in profondità in noi stessi e guardare, attraverso le parole di Kafka, ciò che ci spaventa, possa aiutarci a capire meglio chi è intorno a noi”.

30 – 31 gennaio 2025
Teatro Sociale

Scene da un matrimonio

di Ingmar Bergman
traduzione Piero Monaci
adattamento Alessandro D’Alatri
regia Raphael Tobia Vogel
con Fausto Cabra e Sara Lazzaro
scene Nicolas Bovey
luci Oscar Frosio
musiche Matteo Ceccarini
costumi Nicoletta Ceccolini
contenuti video Luca Condorelli
produzione Teatro Franco Parenti

In accordo con Arcadia & Ricono Ltd per gentile concessione di Joseph Weinberger Limited, Londra, per conto della Ingmar Bergman Foundationc Josef Weinberger Ltd, www.josef-weinberger.com www.ingmarbergman.se

“Perché riproporre questo testo proprio oggi? Saprà parlare alle nuove generazioni come ha saputo fare con quelle passate?” si chiede Raphael Tobia Vogel, regista dello spettacolo. “Una chiave di lettura – continua Vogel – può essere, a mio avviso, il tema della mancanza di contatto umano, fisico e diretto: centralissimo ai giorni d’oggi. Le generazioni più giovani (e non solo) hanno quasi completamente sostituito l’esperienza concreta con quella virtuale. Questo scollamento progressivo dal contatto diretto con il prossimo, dalla condivisione attiva degli spazi comuni, non può che comportare un allontanamento dalla realtà. Invitare dunque gli spettatori ad affrontare esplicitamente la complessità dei sentimenti umani, amorosi, familiari o coniugali che siano, potrebbe ricordare loro quanto siano universali, ‘risvegliare’ qualcosa che è innato in noi”.

A incarnare Marianna e Giovanni, protagonisti del capolavoro cinematografico di Ingmar Bergman, qui trasposto per il palcoscenico, due giovani attori affermati: Fausto Cabra e Sara Lazzaro. Attraverso di loro riviviamo la vicenda di una coppia che cerca di restare unita pur soffrendo crepe e insoddisfazioni, rabbia, tensioni e risentimenti accumulati negli anni.

In scena, un’analisi approfondita e dolorosa della fine, i sentimenti, la famiglia e il peso delle convenzioni sociali. L’anatomia di una crisi matrimoniale che si trasforma, nel confronto con l’altro, in una radiografia del sé.

4 – 9 febbraio 2025
Teatro Mina Mezzadri

Se son fiori moriranno

testo e regia Rosario Palazzolo
con Simona Malato, Chiara Peritore
e con Delia Calò
scene e costumi Mela Dell’Erba
musiche originali Gianluca Misiti
light designer Gabriele Gugliara
aiuto regia Angelo Grasso
produzione Teatro Biondo di Palermo

“Sabotare la realtà con l’immaginazione – spiega l’autore e regista dello spettacolo – è l’unica alternativa che abbiamo, la sola che ci permette di spostare in avanti il limite del precipizio, ridisegnando continuamente il panorama, costruendo immaginari improbabili, trasfigurando la verità”.

L’immaginazione è al centro di questa storia struggente che ha per protagoniste una madre e una figlia, un’agonia lunga quindici anni, una stanza sprangata, un dolore che sbatte sulle pareti, che rimbalza sui corpi, che si allunga e si allarga continuamente. È il dolore di Adele: il destino ha voluto che la sua bambina, cadendo, sbattesse la testa, restando in uno stato vegetativo permanente. Rinchiusa in una stanza sbilenca, Adele cura freneticamente il corpo della sua bambina, nel frattempo cresciuto, lo tiene in vita, in attesa delle sue illusorie epifanie.

Il pubblico è un comprimario silenzioso, che osserva e giudica, decide, e che a un certo punto avrà la responsabilità più acuminata di tutte, quella di acchiappare i personaggi e portarli altrove, fosse solo nelle proprie vite.

Un’insolita indagine nel territorio dell’immaginazione, della sua potenza che, come scrive Palazzolo, “è una manna, una maledizione, un ordigno e una trappola, è ciò da cui non riusciamo a separarci, ciò che difendiamo con la nostra stessa vita gettando sul piatto pure quello che non abbiamo, purché rallenti l’inesorabilità degli eventi, esponendoci a un’agonia insopportabile, che impariamo a sopportare”.

5 – 9 febbraio 2025
Teatro Sociale

La coscienza di Zeno

di Italo Svevo
con Alessandro Haber
e con Alberto Onofrietti, Francesco Migliaccio
e Valentina Violo, Ester Galazzi, Riccardo Maranzana, Emanuele Fortunati, Francesco Godina, Meredith Airò Farulla, Caterina Benevoli, Chiara Pellegrin, Giovanni Schiavo
regia Paolo Valerio
adattamento Monica Codena e Paolo Valerio
scene e costumi Marta Crisolini Malatesta
luci Gigi Saccomandi
musiche Oragravity
video Alessandro Papa
movimenti di scena Monica Codena
produzione Teatro Stabile del Friuli Venezia Giulia, Goldenart Production

Capolavoro della letteratura del Novecento, romanzo di respiro potentemente europeo, ironico e di affascinante complessità, La coscienza di Zeno di Italo Svevo ha celebrato nel 2023 i cent’anni dalla pubblicazione.

Paolo Valerio ne porta in scena un nuovo allestimento in cui il protagonista – proseguendo un’illustre tradizione attoriale, che ha visto cimentarsi nel ruolo Renzo Montagnani, Giulio Bosetti, Alberto Lionello, Johnny Dorelli – ha il volto di Alessandro Haber, attore dal carisma potentissimo e dall’istinto scenico assolutamente personale.

Romanzo psicanalitico e pietra miliare della nostra letteratura, La coscienza di Zeno possiede una propria vivace teatralità, per la sperimentazione di una scrittura innovativa e per il suo essere dominato dalla coinvolgente, complessa e attualissima figura di Zeno Cosini.

Il romanzo, infatti, sgorga dagli appunti del protagonista che si sottopone alle cure dello psicanalista Dottor S. cercando, per quella via, di risolvere il suo mal di vivere, la sua nevrosi e incapacità di sentirsi “in sintonia” con il mondo e con la realtà. Il suo percepirsi inetto e malato, e i suoi ostinati – ma mai del tutto convinti – tentativi di cambiare e guarire, portano Zeno ad attraversare l’esistenza, intrecciando sorprendentemente quotidianità borghese a episodi surreali, ricchi di humour e di verità, e a illuminazioni che possiedono una forza che ancora ci scuote.

Produzione CTB

12 – 13 febbraio 2025
Teatro Renato Borsoni

Se dicessimo la verità
Ultimo capitolo


da un’idea di Giulia Minoli
drammaturgia Emanuela Giordano e Giulia Minoli
regia Emanuela Giordano
musiche originali Tommaso Di Giulio
con Daria D’Aloia, Lucia Limonta, Simone Tudda
produzione Centro Teatrale Bresciano, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, Teatro Stabile di Bolzano, Fondazione TRG
con il patrocinio di Fondazione della Comunità Bresciana
Se dicessimo la verità. Ultimo capitolo è parte integrante de Il Palcoscenico della legalità, un progetto di CCO-Crisi Come Opportunità

“Lo spettacolo è una ‘ragionata’ provocazione contro quella rete mafiosa, trasversale e onnipresente, che vorrebbe sconfitta la coscienza collettiva”. Così scrivono Emanuela Giordano e Giulia Minoli, ideatrici di quest’opera–dibattito sulla legalità che ci parla di globalizzazione, alta finanza, ma anche di giornalisti impegnati e testimoni di giustizia: una provocazione, per farci riflettere, capire e reagire.

Da dieci anni lo spettacolo attraversa l’Italia raccontando storie di resistenza e lotta alla criminalità organizzata. Un testo vivo, che si rinnova e si nutre delle tante vicende e persone che a ogni passaggio ne arricchiscono i contenuti e la drammaturgia.

Le autrici si concentrano sul nostro presente, minacciato da una “distrazione di massa” che lascia ancora maggior spazio al potere criminale, alla “prassi” corruttiva come modus vivendi. Raccontano gli aspetti meno conosciuti del fenomeno mafioso. Al centro la ‘ndrangheta che si è insediata al Nord Italia, minacciando l’assetto urbanistico del territorio, le sue regole sociali, la sua storia “sana”.

Uno spettacolo potente, che punta i riflettori sulla complessità di un problema che non può più essere affrontato tracciando con sicurezza una linea di demarcazione tra chi è “contaminato” e chi non lo è.

Produzione CTB

18 – 23 febbraio 2025
Teatro Mina Mezzadri

Cenci. Rinascimento contemporaneo


traduzione e riscrittura dall'opera di Shelley, Artaud, Stendhal e dagli atti del processo contro Beatrice Cenci di Giorgia Cerruti e Davide Giglio
regia Giorgia Cerruti
regista assistente Alessia Donadio
con Davide Giglio, Francesco Pennacchia, Francesca Ziggiotti, Giorgia Cerruti
visual concept, disegno luci Lucio Diana
sound design, composizione Guglielmo Diana
ideazione costumi Serena Trevisi Marceddu e Giorgia Cerruti
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Stabile Torino - Teatro Nazionale, Sardegna Teatro, Scarti / Centro di Produzione, La Spezia
in collaborazione con Piccola Compagnia della Magnolia
con il sostegno in residenza di creazione presso Teatro Akropolis, Genova

“Vorrei provare a innalzare la storia di questa famiglia rinascimentale italiana a simbolo di vulnerabilità alla violenza contemporanea e al patriarcato dominante. Una donna sfida il potere virile e parla all'umanità attuale, rivelando le pieghe più subdole dell’odierno potere imperante”. Così Giorgia Cerruti presenta il suo nuovo lavoro.

11 settembre 1599, Roma. Beatrice Cenci, nobildonna appartenuta a una delle più influenti famiglie della capitale, viene decapitata per parricidio durante il pontificato di Papa Clemente VIII, per essersi difesa dai ripetuti abusi di un padre violento e depravato. Vittima prima dei soprusi, poi della giustizia che ignora le richieste di aiuto.

Il processo, cui assistono ammutoliti anche Caravaggio e Artemisia Gentileschi, spacca la città: “Aver volontà di togliersi dall’ingiustizia é delitto o justizia”?

Nel tempo la vicenda appassiona e commuove straordinari artisti: Stendhal, Shelley e Artaud raccontano l’accaduto con la propria sensibilità, permettendo di tracciare una linea che, attraverso i secoli, denuncia l’anarchia del male, il sacrilegio come rovescio della religione, la responsabilità personale dell’ingiustizia che si propaga all’intera società, la religione come fondamento - tutt’oggi - dell’edificio sociale del nostro Paese, malato e bisognoso di laicità”.

19 – 23 febbraio 2025
Teatro Sociale

La pulce nell’orecchio


di Georges Feydeau
traduzione, adattamento e drammaturgia Carmelo Rifici, Tindaro Granata
regia Carmelo Rifici
con (in o. a.) Alfonso De Vreese, Giulia Heathfield Di Renzi, Ugo Fiore, Tindaro Granata, Christian La Rosa, Marta Malvestiti, Marco Mavaracchio, Francesca Osso, Alberto Pirazzini, Emilia Tiburzi, Carlotta Viscovo e un attore in via di definizione
scene Guido Buganza
costumi Margherita Baldoni
luci Alessandro Verazzi
musiche Zeno Gabaglio
assistente alla regia Giacomo Toccaceli
produzione LAC Lugano Arte e Cultura, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa
partner di produzione Gruppo Ospedaliero Moncucco – Clinica Moncucco e Clinica Santa Chiara

L’esilarante vaudeville di Georges Feydeau – tra i maggiori commediografi francesi del primo Novecento, che contribuì in modo sostanziale al genere della commedia brillante – offre la possibilità a Carmelo Rifici di lavorare sul tema del linguaggio e sulle sue ambiguità.

Al centro della vicenda, una moglie e suo marito: Raimonda, allarmata dal comportamento freddo e distratto di Vittorio Emanuele, sospetta che egli abbia un’amante. Il dubbio – la “pulce nell’orecchio” – le è nato dopo il ritrovamento di un paio di bretelle, simili a quelle indossate abitualmente dal consorte, presso l’Hotel Feydeau, un albergo assai equivoco nei pressi di Parigi. Per mettere alla prova la presunta infedeltà del marito, Raimonda gli tende una trappola... In un domino di fraintendimenti e incomprensioni, tra pareti girevoli, alibi inaspettati, sosia, sudamericani gelosi e travestimenti vari, va in scena il rocambolesco tentativo da parte di tutti i personaggi di cercare di salvare le apparenze!

Un gioco linguistico raffinato, una farsa, una macchina comica perfetta portata in scena da un cast di altissimo livello guidato da Tindaro Granata, Christian La Rosa, Carlotta Viscovo e Alfonso De Vreese.

Produzione CTB

7 – 16 marzo 2025
Teatro Renato Borsoni

Il teatro comico di Carlo Goldoni

di Valentina Diana
da Carlo Goldoni
regia e interpretazione Invisibile Kollettivo:
Nicola Bortolotti, Lorenzo Fontana, Alessandro Mor, Franca Penone, Elena Russo Arman
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro dell’Elfo
in collaborazione con Invisibile Kollettivo

In un solo anno, tra il 1750 e il 1751, Carlo Goldoni scrive sedici nuove commedie. La prima è Il teatro comico, un vero e proprio manifesto poetico in cui l’autore “mette in commedia” la sua idea di riforma teatrale. Vuole abbandonare il canovaccio per mettere in scena testi più solidi, con personaggi che raccontino la realtà nei suoi aspetti più sfaccettati e umani, e offrano agli spettatori la possibilità di rispecchiarsi e di ridere di se stessi.

Nel Teatro comico troviamo, dunque, una compagnia di comici alle prese non solo con le prove di una commedia nuova, ma con un modo tutto nuovo di fare teatro. Orazio, capo della compagnia e alter ego di Goldoni, cerca di istruire gli attori su un inedito approccio all’arte della scena. Se la deve vedere col vecchio Tonino, spaventato a morte dal nuovo che avanza, con Placida, prima donna, determinata, invece, a rimanere al passo coi tempi, e Gianni, preoccupato solo di far ridere. Nel gruppo anche Lelio ed Eleonora, pronti a tutto pur di trovare un posto nella compagnia e riuscire finalmente a sbarcare il lunario…

In una divertente girandola tra entusiasmi, paure, lotte, ripicche, imprevisti slanci di solidarietà, ci troviamo a sbirciare le sorti di questo irresistibile gruppo di teatranti che riflette le storture e i paradossi di un’intera società e, allo stesso tempo, esprime la passione e l’orgoglio per il proprio mestiere. Così, mentre li vediamo lottare per le loro concrete e umanissime esigenze – la necessità di guadagnare, la fame, il desiderio di successo –, scopriamo la loro vera vocazione e la fortissima volontà di non disperdere il senso poetico del loro mestiere.

Dopo il successo di Come tu mi vuoi di Pirandello, Invisibile Kollettivo torna a collaborare con il Centro Teatrale Bresciano con un inedito lavoro su Goldoni, affidandosi alla riscrittura ironica e poetica di Valentina Diana, autrice edita da Einaudi e recentemente ospite al Royal Court Theatre di Londra all’interno del progetto Fabulamundi Playwriting Europe.

A partire dalle questioni ancora attualissime poste da Goldoni quasi trecento anni fa, lo spettacolo offre uno sguardo sul nostro tempo e su come raccontarlo, affondando il dito in tutte le pene dell’umano e, insieme, mantenendo intatta e forte, come Goldoni ci insegna, la capacità di ridere.

12 – 16 marzo 2025
Teatro Sociale

Vicini di casa

dalla commedia Sentimental di Cesc Gay
traduzione e adattamento Pino Tierno
con Amanda Sandrelli, Gigio Alberti, Alessandra Acciai, Alberto Giusta
regia Antonio Zavatteri
scene Roberto Crea
luci Aldo Mantovani
costumi Francesca Marsella
produzione Nido di Ragno / CMC Produzioni, Cardellino srl, Teatro Stabile di Verona
in collaborazione con Festival Teatrale di Borgio Verezzi

Anna e Giulio stanno insieme da molti anni. Hanno un lavoro, una bambina, qualche interesse e molte frustrazioni. Lui, che avrebbe voluto fare il musicista ma si è dovuto accontentare dell’insegnamento, si rifugia spesso in terrazza a guardare le stelle. Lei, che avrebbe voluto un altro figlio ma ha dovuto accettare la resistenza di lui, cerca conforto nei manuali di auto-aiuto. Una coppia come tante, al confine fra amore e abitudine, in equilibrio precario. Ma pur sempre in equilibrio.

A scardinare questa stabilità ci pensano Laura e Toni, i vicini di casa. Anna e Giulio li conoscono poco, sanno soltanto che i due fanno di continuo l’amore, rumorosamente! Giulio li considera incivili, Anna ha il coraggio di ammettere che, in fondo, invidia la loro vivace vita erotica.

Così, durante un aperitivo, fra un bicchiere di vino e un altro, le due coppie si confrontano sul terreno della sessualità, raccontandosi fantasie, vizi e segreti che Anna e Giulio si confesseranno per la prima volta dall’inizio della loro relazione.

Forte del successo riscosso in Spagna, approda per la prima volta in italia Vicini di casa, adattamento della commedia Sentimental di Cesc Gay (che ha firmato anche la regia del fortunato film tratto nel 2020 dall’opera teatrale). Una commedia libera e provocatoria che indaga con divertita leggerezza inibizioni e ipocrisie del nostro tempo. In scena, due fra gli interpreti più versatili e sensibili della scena teatrale italiana: Amanda Sandrelli e Gigio Alberti, diretti da Antonio Zavatteri.

19 – 23 marzo 2025
Teatro Sociale

Storia di una capinera

di Giovanni Verga
adattamento Micaela Miano
regia Guglielmo Ferro
con Enrico Guarneri, Nadia De Luca
con la partecipazione straordinaria di Emanuela Muni
e (in o. a.) Rosario Marco Amato, Verdiana Barbagallo, Federica Breci, Alessandra Falci, Elisa Franco, Loredana Marino, Liborio Natali
regista collaboratore Giampaolo Romania
scene Salvo Manciagli
musiche Massimiliano Pace
costumi Sartoria Pipi
produzione Progetto Teatrando

“Storia di un cuore tenero, timido, che aveva amato e pianto e pregato senza osare di far scorgere le sue lagrime o di far sentire la sua preghiera, che infine si era chiuso nel suo dolore ed era morto”. Così Verga presenta Storia di una capinera, romanzo che ha per protagonista Maria, novizia, destinata al convento dal padre a soli sette anni, la cui vocazione vacillerà a causa della passione per il giovane Nino.

Siamo nella stanza del convento, prigione simbolica dove Giuseppe Vizzini – il padre, rimasto vedovo – è il carceriere e Maria la reclusa. Tratteggiando il rigido impianto culturale e umano delle famiglie dell’epoca, è proprio sul drammatico rapporto tra padre e figlia, sui loro dubbi e tormenti che si concentra lo spettacolo diretto da Guglielmo Ferro, sulle conseguenze delle scelte di un uomo che per amore, paura e rispetto delle convenzioni causa alla figlia la morte del corpo e dello spirito. Se Maria è vittima, infatti, non lo è dell’amore peccaminoso per Nino, ma lo è del vero peccatore “verghiano”, il padre, che ha firmato la sua condanna all’infelicità.

A dare corpo e voce a questo capolavoro della nostra letteratura, Enrico Guarneri, interprete magistrale e già acclamato protagonista nelle scorse stagioni del CTB di grandi allestimenti come I Malavoglia, Mastro Don Gesualdo e La roba. A condividere la scena con lui, una bravissima Nadia De Luca.

26 – 30 marzo 2025
Teatro Sociale

Sarabanda

di Ingmar Bergman
regia Roberto Andò
con Renato Carpentieri, Alvia Reale, Elia Schilton, Caterina Tieghi
scene Gianni Carluccio
costumi Daniela Cernigliaro
musiche Pasquale Scialò
suono Hubert Westkemper
produzione Teatro di Napoli – Teatro Nazionale, Teatro Nazionale di Genova, Teatro Biondo Palermo

Sebbene pensata per il cinema, Sarabanda, ultima opera di Ingmar Bergman, ha una struttura straordinariamente affine al linguaggio teatrale. In questa sorta di testamento artistico, il Maestro svedese torna a parlare dei protagonisti di Scene da un matrimonio diventati, trent'anni dopo, più maturi ma anche più spietati.

Il loro è un ultimo confronto che, in presenza d’un figlio e di una nipote, evidenzia le molteplici sfumature delle relazioni umane e familiari e la loro capacità di generare rimpianti, rimorsi, rancori.

Il mistero dell’amore e dell’odio, l’ineluttabile conflitto tra genitori e figli, tra indifferenza e attaccamento morboso, la vecchiaia, l’angoscia degli “ultimi giorni”, lo scenario della vita, “troppo grande” per la debolezza umana, sono i temi di questa Sarabanda, danza lenta e severa in cui le coppie si formano e si disfano: dieci scene, dieci dialoghi in cui i personaggi s’incontrano a due a due, per poi sciogliersi definitivamente.

Un testo scomodo nella sua cruda onestà, ma il cui vero messaggio non è affidato alle parole, ma ai silenzi e ai gesti: alla tenerezza di un abbraccio, di un tenersi per mano, di un denudarsi accettando di rivelare l’uno all’altro la fragilità di corpi segnati dal tempo e dal peso di vivere.

Roberto Andò porta sulla scena il congedo di Bergman dalla cinepresa con due attori di primissimo piano, Renato Carpentieri e Alvia Reale, a incarnare i protagonisti.

27 – 30 marzo 2025
Teatro Renato Borsoni

Letizia va alla guerra
La suora, la sposa e la puttana


di Agnese Fallongo
con Agnese Fallongo e Tiziano Caputo
accompagnamento musicale dal vivo Tiziano Caputo
coordinamento creativo Raffaele Latagliata
ideazione e regia Adriano Evangelisti
produzione Teatro de Gli Incamminati
in collaborazione con Ars Creazione e Spettacolo

Racconto tragicomico, intriso di tenerezza e umanità, lo spettacolo ci presenta tre donne che vivono nel periodo tra le due Guerre mondiali. Portano lo stesso nome e vanno incontro a un unico destino.

Tre donne del popolo, il cui quotidiano è irrimediabilmente travolto dalla guerra: le loro vite verranno sconvolte e si troveranno a compiere piccoli grandi atti di coraggio, in nome dell’amore. Tre età differenti: una fanciulla, una donna e un’anziana che, seppur nell’abissale diversità dei loro caratteri e dei loro mestieri, sono legate indissolubilmente.

La prima Letizia è una giovane sposa, partita dalla Sicilia per il fronte carnico durante la Prima Guerra mondiale, nella speranza di ritrovare suo marito Michele. La seconda Letizia, invece, è un’orfanella cresciuta a Littoria (Latina) dalle suore. Giungerà a Roma nel momento in cui l’Italia aderisce al secondo conflitto mondiale e finirà per prostituirsi. Infine, Suor Letizia, un’anziana sorella dalle origini venete e dai modi bruschi che, presi i voti in tarda età, si rivelerà essere il sorprendente collegamento tra i destini di queste donne, tanto lontane quanto unite.

Impegnati nella recitazione e nell’esecuzione di musiche dal vivo, con la sorprendente capacità di intonare i diversi dialetti delle nostre regioni, Agnese Fallongo e Tiziano Caputo sono soli in scena: un uomo e una donna che danno vita a oltre dieci personaggi, con l’intento di far vivere “la storia dei piccoli”.

“Intendevo dare voce alle persone comuni – scrive l’autrice– quelle rimaste nell’ombra, e in particolare alle donne che molto hanno amato e troppo hanno taciuto. Un’ode alla donna e alla vita”.

2 – 6 aprile 2025
Teatro Sociale

Memorie di una schiava

liberamente tratto da Spedizione al baobab di Wilma Stockenström
traduzione Susanna Basso
progetto, adattamento drammaturgico e regia Gigi Di Luca
con Pamela Villoresi e Baba Sissoko
musiche dal vivo Baba Sissoko
scene Luigi Ferrigno
costumi Giovanna Napolitano
produzione Teatro Biondo di Palermo
con il patrocinio dell’Ambasciata del Sudafrica in Italia

“Poema vegetale”, come lo definisce la traduttrice Susanna Basso, il romanzo Spedizione al baobab della scrittrice sudafricana bianca Wilma Stockenström, cui è ispirato lo spettacolo, è stato scritto nel 1981 in afrikaans. Il racconto di una schiava che trova parola nella lingua stessa di chi quella sofferenza ha causato, nella lingua straniera dell’offesa.

Pamela Villoresi incarna la protagonista che racconta il suo desiderio di opporre resistenza a una vita di violenze alle quali è stata “naturalmente” costretta. Lo spettacolo è il poetico monologo di una figura femminile della quale non si conosce il nome perché – dice – “pronuncio il mio nome e non significa nulla”.

L’albero, il mitico e simbolico baobab in cui la vecchia schiava alla fine della sua vita si rifugia, l’accoglie e la protegge: “Conosco l’interno del mio albero come un cieco casa sua, come si può conoscere qualcosa che è nostra soltanto, e come invece non ho mai conosciuto le capanne e le stanze in cui mi veniva ordinato di dormire”. Dietro le spalle c’è la schiavitù, con le facce e i corpi dei padroni che hanno tormentato la sua vita.

Le riflessioni della protagonista ci aiutano a pensare e ci spingono a indagare sulle schiavitù di oggi, sulle nuove forme di costrizione che continuano a negare la libertà e la dignità umana.

Diversi i piani narrativi: parole, immagini e musiche, eseguite dal vivo da Baba Sissoko, griot maliano chiamato a intonare un solo grande “canto corale di libertà”. La regia di Gigi Di Luca esalta il rapporto tra musica etnica e parola, linguaggi essenziali per un recupero dell’identità collettiva, attraverso i codici della tradizione popolare che si rifrangono nelle forme del contemporaneo.

8 – 11 aprile 2025
Teatro Renato Borsoni

N.E.R.D.s - sintomi

un progetto di Amadio / Fornasari
testo e regia Bruno Fornasari
con Tommaso Amadio, Emanuele Arrigazzi, Riccardo Buffonini, Umberto Terruso
scene e costumi Erika Carretta
produzione Teatro Filodrammatici di Milano
con il sostegno di Regione Lombardia e Fondazione Cariplo – Progetto NEXT 2014

Finito di scrivere il discorso per mamma e papà? / Non ancora. Vorrei un finale commovente. / Lo so già che piangerò. Ma se mi vedi ridere non ti preoccupare. È la stessa parte di cervello che si attiva.

N.E.R.D. – acronimo di Non Erosive Reflux Desease –, in medicina, indica il classico bruciore di stomaco, fastidioso ma apparentemente innocuo. E questa commedia nera di Bruno Fornasari ne porta in scena, come recita il titolo, i sintomi.

Siamo in un agriturismo famoso per banchetti e cerimonie. In scena una famiglia tradizionale: Padre, Madre e quattro figli maschi. È il cinquantesimo anniversario di matrimonio dei genitori e per l’occasione i figli Nico, Enri, Robi e Dani, insieme ad altri parenti e conoscenti, si ritrovano per festeggiare. L’idea è quella che tutto sia perfetto, con tanto di torta nuziale, discorso dei figli e fotografie agli sposini nel parco, vicino al laghetto con le paperelle. È solo mezzogiorno e tutto sembra andare per il meglio, all’una in punto verranno serviti gli antipasti. In questo clima di calma apparente fa il suo ingresso Laura, l’ultima persona che la Madre avrebbe voluto vedere al proprio anniversario… Ed è così che in quell’ora beata che separa i festanti dai primi stuzzichini, va in scena la rocambolesca detonazione di anni di silenzio, egoismi, rivalità. Un’ora di delirio dal ritmo serrato – e con un finale sorprendente –, in cui la rappresentazione rassicurante e solida dell’universo famigliare si sgretola sotto le leggi della conservazione della specie.

Produzione CTB

10 – 13 aprile 2025
Teatro Sociale

Notte Morricone

Creazione per i danzatori del Centro Coreografico Nazionale / Aterballetto
regia e coreografia Marcos Morau
musica Ennio Morricone
direzione e adattamento musicale a cura di Maurizio Billi
set e luci Marc Salicrú
costumi Silvia Delagneau
produzione Fondazione Nazionale della Danza / Aterballetto
coproduzione Centro Teatrale Bresciano, Macerata Opera Festival, Fondazione Teatro di Roma, Fondazione I Teatri di Reggio Emilia, Centro Servizi Culturali Santa Chiara Trento, Ravenna Festival Orchestra Giovanile Luigi Cherubini

Ennio Morricone, genio della musica contemporanea, riletto e interpretato da uno dei più importanti coreografi internazionali, Marcos Morau. Artista capace di interrogare a fondo la contemporaneità, in Morau il tema dell’ibridazione dei linguaggi è nativo, e l’immaginazione più visionaria è parte integrante del suo flusso creativo. Costruisce mondi e paesaggi immaginari in cui il movimento e l'immagine s'incontrano e si fondono.

“Sebbene sia quasi impossibile separare la sua musica dalle immagini che la accompagnano – dichiara Morau – Morricone trascende e si intreccia con la vita stessa, con i ricordi, con la bellezza e la crudeltà di un mondo che continua ad avanzare”.

Notte Morricone si svolge nel crepuscolo di una notte ordinaria nella vita di un creatore. Solo e stordito davanti ai suoi fogli prende appunti e visualizza melodie per film che non esistono ancora, facendo rivivere le storie nell'aria rarefatta della sua stanza. La notte sarà piena di visitatori, alcuni musicisti, che risponderanno alla sua chiamata creativa per registrare le sue fuggevoli idee in uno studio di registrazione improvvisato. E lì, tra fogli e note musicali, apparirà il ragazzo, quello che voleva essere un medico, quello che sapeva di non saper suonare la tromba come Chet Baker, ma al quale la vita aveva riservato un destino diverso: diventare un'icona per l'eternità. E la notte continuerà ad avanzare, fino a trasformare la casa del creatore in un cinema, dove arriveranno visitatori di ogni genere per vedere i suoi film e passare la notte con lui. E ogni notte sarà una nuova opportunità per dare vita al sogno di tutti loro. Musicisti, bambini, fidanzati o di coloro che vanno al cinema da soli.

“C'è uno spazio di malinconia in noi – continua Morau – che si riempie di immagini e di una musica che ha la capacità di trasformare il presente nel passato e il passato nella necessità di essere ogni giorno persone migliori; e questo è già un motivo sufficiente perché la vita abbia un significato”.

Con Notte Morricone va in scena una creazione imponente per i sedici danzatori del Centro Coreografico Nazionale / Aterballetto, in cui l’eredità del Maestro diventa ispirazione e immaginario per una nuova poesia dei corpi. Uno spettacolo totale, che intreccia danza, arti visive e suggestioni cinematografiche.

22 – 27 aprile 2025
Teatro Mina Mezzadri

Erodiàs + Mater Strangosciàs

da Tre lai di Giovanni Testori 
un progetto di Sandro Lombardi
per Anna Della Rosa 
assistente alla regia Virginia Landi
assistente alla drammaturgia Alberto Marcello
disegno luci Vincenzo De Angelis
produzione Emilia Romagna Teatro Fondazione ERT / Teatro Nazionale, Compagnia Lombardi-Tiezzi
progetto realizzato in collaborazione con Associazione Giovanni Testori

I Tre lai testoriani sono tre laceranti monologhi in forma di poesia, pronunciati da tre figure femminili: Cleopatra, che soffre per l’amore consumato, ma poi drammaticamente perduto, per il generale romano Antonio; Erodiade, tormentata dalla follia per una relazione mai realizzata con il profeta Giovanni; e Maria, piena d’amore puro di fronte alla sofferenza del Figlio sul Calvario. Sono donne che, in modo diverso, si trovano ad affrontare un vuoto incolmabile e abissale.

Negli anni ’90, le angosce di queste eroine sono state messe in voce da Sandro Lombardi: un’interpretazione che è diventata pietra miliare nella storia del nostro teatro. “Testori offre molto all’attore – spiega Lombardi –: è, la sua, una poetica del sangue e delle viscere in cui si celebra il mistero della parola che si incarna.”

Venticinque anni dopo la sua interpretazione, Lombardi ha sentito il desiderio di consegnare ad Anna Della Rosa i ruoli di Erodiade e della Mater Dolorosa, dopo aver assistito alla Cleopatràs messa in scena da Valter Malosti nel 2020 in cui lei era protagonista.

Non una regia, ma un vero e proprio dono, secondo la tradizione del teatro orientale, in cui l’attore più esperto consegna al più giovane una sua interpretazione.

I lai sono il testamento ultimo di Giovanni Testori e il vertice della sua straordinaria stagione creativa. Queste eroine a cavallo di un trapasso epocale, tra loro contemporanee e lontanissime, dalla morte riemergono per raccontarsi e piangere sul corpo dell’amato e raccontare a noi tutti il mistero per eccellenza, quello dell’Amore.

Produzione CTB

6 – 11 maggio 2025
Teatro Sociale

Moby Dick

di Herman Melville
adattamento Micaela Miano
regia Guglielmo Ferro
con Moni Ovadia e Giulio Corso
e cast in via di definizione
produzione Centro Teatrale Bresciano, Teatro Quirino, Compagnia Molière

A partire dalla sua pubblicazione nel 1851, il romanzo di Herman Melville, capolavoro della letteratura americana, ha ispirato e continua a ispirare registi, poeti e autori. L’epica storia della balena bianca e dei suoi inseguitori riprende vita in questa versione diretta da Gugliemo Ferro, con Moni Ovadia straordinario protagonista nelle vesti del Capitano Achab: una coppia già collaudata nella scorsa stagione del CTB con l’applaudita messa in scena di Assassinio nella cattedrale di T.S. Eliot.

La narrazione teatrale inizia sulla baleniera Pequod. Qui, in un susseguirsi frenetico di tempeste, battute di caccia, avvistamenti, bonacce, canti, riti pagani e preghiere, si consumerà la tragedia di tutti i personaggi: Queequeg, Pip, Ismaele, Lana caprina, Tashtego, Flask, Daggoo, Stubb, Fedallah…

Il Pequod è il vascello stregato che porta la ciurma verso la perdizione. Il doblone d’oro sul suo albero maestro e il patto di sangue dei marinai sono la chiamata mefistofelica verso gli abissi della non-conoscenza.

Una particolare importanza, nel racconto, è assegnata al rapporto tra il Capitano Achab e il primo ufficiale Starbuck, reso sulla scena da Giulio Corso. Achab, ossessionato dalla vendetta, è l’uomo empio che disconosce Dio, l’uomo dell’oltre e della violazione. Starbuck, invece, è il suo alter ego, voce della coscienza e della prudenza, testimone di una visione teocentrica che si scaglia contro la blasfemia dell’odio di Achab verso la balena bianca.

E se nella caccia maniacale a Moby Dick è la follia a guidare il capitano Achab, è sul piano del conflitto umano contro Starbuck che Achab conosce l’orrore: la parte recondita della sua stessa coscienza.

La malattia di Achab è Moby Dick, ma Starbuck ne è la manifestazione clinica. Moby Dick gli fa male con la sua “assenza” lì dove Starbuck lo fa con la sua “presenza”.

Un conflitto posto sullo stesso piano, uno specchio dove galleggia il peccato originale… una balena bianca in un abisso nero. E poi lo specchio si crepa.

Moby Dick non è una balena, è una condanna, una maledizione che diventa sfida tra uomini. È la storia di un’ossessione epica che ha la fisionomia di una tragedia shakesperiana, tale è il senso drammatico dei suoi personaggi.

Non c’è redenzione sul Pequod, solo una fitta nebbia.

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