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martedì 14 gennaio 2025

TEATRO STUDIO MELATO DI MILANO
"MEMORY OF MANKIND"
MARCUS LINDEEN

Dal 15 al 18 gennaio 2025
Ispirati dal lavoro dell’artista austriaco Martin Kunze, Marcus Lindeen e Marianne Ségol intrecciano materiale documentario e finzione per riflettere sulla nostra storia collettiva, tra l’ossessione di ricordare e quella di essere ricordati.


Lo spettacolo, una coproduzione internazionale con, tra gli altri, il Piccolo Teatro di Milano, va in scena in prima nazionale al Teatro Studio Melato, dal 15 al 18 gennaio.

A due stagioni dall’edizione 2022 del Festival Presente Indicativo, Marcus Lindeen, regista e drammaturgo svedese, artista associato al Piccolo Teatro, torna con un nuovo progetto.

Nel 2012, in una miniera di sale austriaca, il ceramista Martin Kunze crea La memoria dell’umanità, collezione di tavolette di ceramica su cui incide testi e immagini, con l’obiettivo di fare un backup dell’umana civiltà. Oltre dieci anni dopo, Marcus Lindeen, insieme alla drammaturga francese Marianne Ségol, lega il racconto di Kunze ad altre storie: un uomo la cui memoria si resetta completamente a intervalli regolari, e che riacquista ogni volta i ricordi grazie a sua moglie, che è una scrittrice; un archeologo queer, che vorrebbe falsificare il passato, per restituire un ruolo agli esclusi dalla Storia.

Esplorando la complessa relazione tra memoria e oblio, lo spettacolo indaga che cosa significhi ricordare, che cosa bisognerebbe tenere a mente e che cosa, invece, dovrebbe essere dimenticato.

In un tempo presente sovraccarico di strumenti per “fissare i ricordi” e, dunque, soffocato dalla pervasività di tracce e registrazioni di varia natura, la centralità sempre maggiore degli archivi comporta anche una speculare riflessione sull’importanza del dimenticare quale esercizio “etico” di discernimento e di selezione, in grado di valutare cosa “salvare” o non nel corposo e spesso informe viluppo di informazioni con cui ci si confronta. In un intervento pubblico del 2006, il cui titolo Piccola lezione sull’arte di dimenticare è un giocoso rovesciamento del volume L’arte della memoria di Francis Yates, Umberto Eco sottolineava come una memoria illimitata e strabiliante inibisca ogni concreto ed efficace atto di interpretazione della realtà e finisca così per ottundere la mente.

A sua volta, il filosofo Paul Ricoeur parla di «dovere della memoria» e «necessità dell’oblio». Proprio nel segno del delicato equilibrio tra questi due poli, lungo la sottile trama dialettica che li unisce prim’ancora di dividerli, lasciando la porta aperta all’eventualità che la memoria si “perda” tra le pieghe dell’oblio, si articola il nuovo lavoro che Marcus Lindeen, con la dramaturg e traduttrice Marianne Ségol, presenta al Piccolo Teatro di Milano.

Continuando a esplorare le potenzialità di un teatro-documentario che impasta realtà e invenzione per modellare narrazioni a stretto contatto con il pubblico, Memory of Mankind si spinge fino alle soglie di quella particolare forma di oblio che, secondo Nietzsche, permette di «trasformare e incorporare cose passate ed estranee, di sanare ferite, di sostituire parti perdute, di riplasmare in sé forme spezzate. […] Ciò che non è storico e ciò che è storico sono ugualmente necessari per la salute di un individuo, di un popolo e di una civiltà».
Claudio Longhi

La memoria (di ceramica) dell’umanità
Conversazione con Marcus Lindeen e Marianne Ségol
(intervista realizzata da Igor Hansen-Love per il Festival d’Automne di Parigi e il Kunstenfestivaldesarts 2024)

Che cosa vi ha spinto a creare Memory of Mankind?

MARCUS LINDEEN Durante il primo lockdown – nel marzo del 2020 – grazie a un articolo pubblicato sul New York Times, ho scoperto il progetto di un artista di nome Martin Kunze.

Un progetto che ho trovato subito folle e affascinante.

Da circa dieci anni, all’interno di una miniera di sale nelle montagne austriache, Kunze sta incidendo il sapere della nostra civiltà su piastre di ceramica, con la speranza che un giorno le generazioni future le riporteranno alla luce. Secondo l’artista, tali tavolette sarebbero il materiale più resistente al momento disponibile e dovrebbero permettere a questi archivi dell’umanità di rimanere leggibili per migliaia di anni, forse anche centinaia di migliaia.

Sono affascinato dalla quantità di domande sollevate da questa straordinaria iniziativa: cosa dà a Martin Kunze il diritto di raccontare la nostra storia collettiva? Cosa merita di essere ricordato, “salvato”? Cos’è che, in sostanza, costituisce la nostra storia? Da quel momento, ho avuto il desiderio di affrontare queste riflessioni all’interno di uno spettacolo.

Nel vostro spettacolo si parla del progetto di Martin Kunze, ma anche di altre storie.

Qual è il loro legame?

MARIANNE SÉGOL La memoria. Come nelle nostre creazioni precedenti, abbiamo scelto di mescolare diversi racconti attorno a un tema comune. In questo caso, ascolteremo la testimonianza di una persona amnesica, affetta da una patologia chiamata fuga dissociativa, a causa della quale perde periodicamente la memoria. Si parla anche della moglie di quest’uomo, una scrittrice, che lo aiuterà a ricomporre i ricordi attraverso la scrittura. Infine, c’è un archeologo queer che propone di raccontare la storia in modo diverso: dal punto di vista di coloro a cui generalmente non viene data voce. Di chi, in genere, è dimenticato dagli studi storici.

Qual è lo scopo nel mettere in risonanza questi racconti?

M.L. Quando lavoravo come giornalista, mi sentivo frustrato dall’obbligo di dovermi concentrare su un solo argomento, in un formato definito. Lo trovavo vincolante e riduttivo. Il teatro offre invece incontri inediti, che non avverrebbero nella vita reale. Le storie che si intrecciano nel nostro spettacolo sono vere e si arricchiscono nella discussione e nello scambio.

M.S. La sfida consiste nel posizionare questi racconti in prospettiva. Perché si completano e si problematizzano a vicenda. Perché il particolare si lega a temi più universali. Per esempio, rispetto al lavoro di Martin Kunze, l’autrice della nostra pièce diventa in qualche modo l’archivista del marito che perde la memoria. E, come l’artista austriaco, si arroga il diritto di raccontare la sua storia. Ci si chiede cosa debba essere ricordato e cosa no.

Optate, ancora una volta, per un dispositivo teatrale minimale: attori non professionisti, grande vicinanza con il pubblico, una scena quasi inesistente…

M.S. Esattamente. La scenografia è stata concepita in modo che gli spettatori possano entrare in un ambiente chiuso, come una scatola. Abbiamo cercato di creare un luogo che somigliasse a uno spazio di discussione. L’idea è che il pubblico abbia la sensazione di essere incluso in queste conversazioni, anche se non è invitato a parlare con gli attori.

M.L. Facciamo un teatro che non è un teatro “di recitazione”, e nemmeno un teatro “di attori” o “di attrici”. Il testo è il motore della trama. Raccolgo le testimonianze che mi interessano nella realtà, me le appunto e solo dopo, nella scrittura, la finzione può prendere forma. Dirigiamo e registriamo attrici e attori professionisti che interpretano questi testi. Quindi, durante le rappresentazioni, diffondiamo queste registrazioni negli auricolari delle e degli interpreti non professionisti che, a loro volta, si appropriano di quelle parole, mantenendo poca libertà di manovra. Il lavoro registico avviene durante la scrittura e la registrazione.

Qual è il vantaggio di questo metodo, che è una delle vostre caratteristiche distintive?

M.S. Nel teatro tradizionale, l’attore o l’attrice può anticipare ciò che dirà, proiettarsi nei minuti a venire. Qui, gli attori non professionisti non hanno bisogno di imparare il testo a memoria: in un certo senso, sono dei portavoce. Così, il rapporto con il presente diventa più immediato.

M.L. Per la scena, scegliamo sempre persone che abbiano un legame particolare con il tema trattato. In questo caso specifico, chi interpreta l’archeologo è un accademico che si occupa di tematiche queer. Martin Kunze è interpretato da un astrofisico che lavora a un progetto simile. In un certo senso, il tema risuona in loro.

M.S. È un teatro di testo, in cui la parola diventa il personaggio principale.

Torniamo al tema della pièce: la memoria. Con l’avvento del digitale, tutti lasciamo tracce indelebili su internet, sui social media, nei cloud… Non è forse che l’oblio stia diventando la grande questione umanista della nostra epoca?

M.S. L’oblio è connaturato alla memoria. Inizialmente, volevamo includere la testimonianza di una donna ipermnesica, cioè, dotata di una memoria straordinaria. Il suo problema è che non riesce a raccontare la propria storia, non riesce a fare ordine. Ne è sopraffatta. Non sono sicura che il digitale possa interferire molto, in questo senso. Le macchine hanno memoria, ma non hanno ricordi.

A differenza di scrittori, cineasti e pittori, il lavoro dei registi scompare con loro… In quanto artisti dello spettacolo dal vivo, siete turbati dal problema della “traccia”?

M.L. È la specificità del teatro: il suo aspetto effimero… Che è molto frustrante e, al contempo, molto bello… Mi piace l’idea di creare un’opera, che parli della memoria, ma sia destinata a scomparire.

OLTRE LA SCENA

Tutti gli appuntamenti di Oltre la scena sono a ingresso gratuito con prenotazione obbligatoria su piccoloteatro.org

TEATRO IN PLATEA

Staging the documentary

Autore e regista, tra cinema e teatro, Marcus Lindeen tiene una masterclass sul suo peculiarissimo metodo creativo. A partire dalla messa in scena di Memory of Mankind e del lavoro fatto intorno al teatro-documentario con la drammaturga e traduttrice Marianne Ségol, Lindeen mette a fuoco il processo con cui è solito trasformare documenti, interviste e racconti reali in narrazioni coinvolgenti.

Al centro della masterclass anche l’uso che Lindeen fa del "copione sonoro" – quello che guida nei suoi lavori attrici e attori grazie all’ausilio di auricolari nascosti – nonché la sua modalità di casting, che prevede l’ingaggio di interpreti non professionisti con legami “personali” alle storie che mettono in scena. Prospettive diverse e complementari su un approccio alla creazione unico, capace di sfidare le tradizionali forme di narrazione.

Si segnala che la masterclass è in lingua inglese (con traduzione dal vivo) ed è rivolta in particolare – ma non ad esclusione – a studenti e studentesse di scuole di teatro o a persone che abbiano familiarità con la scrittura per la scena/cinema e la regia. La masterclass è gratuita con prenotazione obbligatoria fino a esaurimento posti.

Per info e prenotazioni: promozione.pubblico@piccoloteatromilano.it.

Sabato 18 gennaio, ore 15, Teatro Strehler – Sala prove Fortunato
con: Marcus Lindeen

STORMI

Attore, chi sei tu?

Il teatro del Grande Attore e quello dei mattatori, l’epoca del divismo, l’avvento rivoluzionario del performer e del non professionismo. E poi il cinema, le serie tv. L’attore ha conosciuto, e tuttora attraversa, età mutevoli, sensibili ai cambiamenti offerti dai nuovi media così come dalle condizioni sociali, produttive, storiche, che ne plasmano le caratteristiche, ne condizionano i processi formativi, ne modificano la percezione. Attore, chi sei tu? è il quesito dal quale prende le mosse il terzo numero di Stormi: ne discuteranno Marcus Lindeen — che con Memory of Mankind indaga, una volta ancora, i processi osmotici tra verità e sua narrazione, e le modalità con cui restituirle nell’atto teatrale — e Armando Petrini, docente di Storia e teoria dell’attore teatrale presso l’Università degli Studi di Torino. Moderano Maddalena Giovannelli e Alessandro Iachino.

Il progetto “Stormi” è realizzato in collaborazione con l’Università degli Studi di Milano

Venerdì 17 gennaio, ore 18, Chiostro Nina Vinchi

con: Marcus Lindeen, Armando Petrini. Moderano: Maddalena Giovannelli e Alessandro Iachino

Piccolo Teatro Studio Melato (via Rivoli 6 – M2 Lanza), dal 15 al 18 gennaio 2025
Memory of Mankind
testo e regia Marcus Lindeen
ideazione Marcus Lindeen e Marianne Ségol
drammaturgia e traduzione Marianne Ségol
voci Gabriel Dufay, Julien Lewkowicz, Olga Mouak, Nathan Jousni, Marianne Ségol
musica e progetto sonoro Hans Appelqvist
scene Mathieu Lorry-Dupuy
luci Diane Guérin
costumi Charlotte Legal
con Sofia Aouine, Driver, Axel Ravier, Jean-Philippe Uzan
casting Naelle Dariya
stage manager David Marain
tecnico del suono Nicolas Brusq
tecnico video e luci Dimitri Blin
manager di produzione Emanuelle Ossena, Charlotte Pesle Beal, Lison Bellanger | EPOC produzioni
produzione compagnia Wild Minds

coproduzione T2G-Théâtre de Gennevilliers – CDN, Festival d’Automne à Paris, Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa, La Comédie de Caen – CDN de Normandie, Le META – CDN Poitiers Nouvelle-Aquitaine, Nouveau Théâtre de Besançon Centre dramatique national, Le Quai ‐ CDN Angers Pays de Loire, Kunstenfestivaldesarts Bruxelles, Wiener Festwochen, Le Grand T Nantes, Le Lieu Unique Nantes, PEP Pays-de-Loire

con il sostegno di Fondation d’entreprise Hermès
con il supporto di ADAMI
progetto sostenuto dal Ministero della Cultura – Direzione regionale degli affari culturali dell’Île-de-France
scenografia realizzata dai laboratori scenotecnici del Piccolo Teatro di Milano – Teatro d’Europa e del Nouveau Théâtre de Besançon Centre Dramatique National

Con il patrocinio dell’Ambasciata di Francia in Italia e Institut français Italia

Consigliato a partire dai 16 anni

Spettacolo in lingua francese con sovratitoli in italiano e inglese

Orari: ore 19 e 21.30

Durata: 80 minuti senza intervallo

Prezzi: posto unico non numerato 40 euro

Informazioni e prenotazioni 02.21126116 - www.piccoloteatro.org

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